Oltre ai trotzkisti I grandi borghesi sponsor di Pisapia Imprenditori, finanzieri, professionisti, costruttori privati. Sono loro ad avere generato, abbandonandosi alcuni persino a testimonianze pubbliche entusiaste, la cosiddetta onda arancione che ha portato Giuliano Pisapia alla poltrona più alta di Palazzo Marino. I trotzkisti l'hanno definita in modo sfacciato una "rivoluzione", finendo così ancora una volta per reggere il sacco alla borghesia, in modo particolare alla sua frazione "sinistra", la quale, dopo un lungo ventennio di dominio incontrastato della destra borghese, ha ripreso le redini del capoluogo lombardo. "Incredibile, chi l'avrebbe mai sognato", s'è lasciato scappare il banchiere prodiano Alessandro Profumo, scalzato dal timone di Unicredit dal governo del neoduce Berlusconi. Altri banchieri hanno festeggiato insieme a Profumo, seppure in modo più contenuto, come Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, e Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa. Chi aveva per tempo scommesso sulla vittoria di Pisapia, sono gli speculatori di Piazza Affari, che, per voce di Francesco Micheli, un professionista delle scalate di società cominciate alla Bi Invest dei Bonanni e proseguite anche con la Montedison quand'era alleato di Cefis, noto anche per l'affaire eBescom con la giunta Albertini di "centro-destra" (conveniente solo per lui e i suoi amici), avevano individuato nell'avvocato trotzkista milanese l'esponente della "vecchia borghesia socialista", quella degli Antonio Greppi, Carlo Tognioli e Paolo Pillitteri, amica dei padroni e alla fine travolta dall'endemico affarismo tangentista dell'"era craxiana". Così come altrettanto noto è il sostegno dato a Pisapia dal magnate del tessile Piero Bassetti e dall'economista Marco Vitale, già vicini alla giunta fascio-leghista di Marco Formentini. Lo stesso Carlo De Benedetti, padrone di "Repubblica", ha sostenuto Pisapia persino con una sottoscrizione. A tirare la volata a Pisapia è stata non una fantomatica borghesia progressista, favola a cui credono solo i trotzkisti e i revisionisti, ma la tradizionale borghesia affaristica milanese che ha scelto di puntare su un nuovo cavallo, diciamo arancione anziché nero, ma, al di là del colore, sempre di cavallo borghese si tratta. Sono questi gli sponsor della grande borghesia scesi in campo per Pisapia. Con la sua elezione hanno consumato la loro vittoria sul re del mattone cittadino Salvatore Ligresti, sugli immobiliaristi come Cabassi, Catella, Caltagirone, Hines e Bizzi, sul consulente berlusconiano Bruno Ermolli (dalla Scala alle banche, Ermolli è la cosiddetta eminenza grigia del neoduce) e sul mondo che gira intorno al polo ospedaliero privato San Raffaele (attualmente in gravi difficoltà economiche) del sacerdote imprenditore, l'arci-berlusconiano don Luigi Verzè. Il colpo inferto al potere berlusconiano è ben visto persino da Mediobanca, che il prossimo autunno rinnoverà il patto di sindacato alla luce dei nuovi equilibri emersi. Con Pisapia ha vinto la borghesia del capitalismo familiare milanese, delle banche e di Piazza Affari contro quella degli immobiliaristi rampanti. Per quest'ultimi resta però tutto in piedi il grande affare dell'Expo. In mezzo, tra la "sinistra" e la destra borghese, si sta ricollocando, mai troppo entusiasta della giunta Moratti, la Compagnia delle Opere, come dimostrano le affettuose attenzioni che Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia, sta riservando a Pisapia, da lui incensato come "l'uomo che ha saputo far sognare Milano". Un complimento che suona fin troppo spudoratamente come un benvenuto nell'affarismo borghese. 8 giugno 2011 |