Intervenento alla commemorazione della strage dei Georgofili Il procuratore Grasso: "Stragi del '93 per aiutare una forza politica" Chiara l'allusione all'ascesa di Berlusconi Abbattere il governo delle stragi e della restaurazione del fascismo Le bombe del '93 a Milano, Firenze e Roma non furono solo opera della mafia, ma servirono a preparare la discesa in campo di una "nuova forza politica". A sostenerlo stavolta non sono solo le "toghe rosse" e i "magistrati politicizzati" delle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze che hanno riaperto le inchieste sulle stragi del '92-93, ma è una fonte autorevole e insospettabile come il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, che lo ha affermato il 26 maggio a Firenze intervenendo alla commemorazione della strage di via dei Georgofili, avvenuta nella notte tra il 26 e 27 maggio 1993. "L'attentato al patrimonio artistico e culturale dello Stato - ha detto Grasso parlando agli studenti dei licei - assumeva duplice finalità: quella di orientare la situazione in atto in Sicilia verso una prospettiva indipendentista, che è sempre balzata fuori nei momenti critici della storia siciliana, e attuare una vera e propria dimostrazione di forza attraverso azioni criminose eclatanti che, sconvolgendo, avrebbero dato la possibilità ad una entità esterna di proporsi come soluzione per poter riprendere in pugno l'intera situazione economica, politica, sociale, che veniva dalle macerie di Tangentopoli". Nel giorno della sua riconferma al vertice della Direzione nazionale antimafia (Dna), Grasso ha voluto così dare un chiaro segnale di appoggio e incoraggiamento ai magistrati che cercano di far luce, anche con gravi rischi per la loro sicurezza, su quella sanguinosa stagione di stragi che si apre nel '92 con l'assassinio di Falcone e Borsellino e si conclude nell'estate del '93 con le bombe a Milano, Firenze e Roma e il fallito (o rientrato) attentato allo stadio Olimpico, pochi mesi prima della comparsa di "Forza Italia" e della discesa in campo di Berlusconi. Anche se Grasso non la cita mai direttamente, infatti, è chiaro chi sia questa "entità esterna" a cui il procuratore allude: Forza Italia (FI) il partito creato praticamente da Dell'Utri per il cavaliere piduista, che proprio in Sicilia ebbe il suo battesimo e del cui primo club è provato che facessero parte diversi esponenti di Cosa nostra. Le stragi del '92-93 e la nascita di FI Che Dell'Utri fosse l'elemento di congiunzione, l'uomo cerniera tra la mafia e il nuovo soggetto politico su cui essa puntava, dopo la scomparsa dei partiti al potere nella prima repubblica, principalmente la DC e il PSI spazzati via dal ciclone tangentopoli, non lo dicono soltanto le nuove rivelazioni di collaboratori di giustizia come Gaspare Spatuzza e Massimo Ciancimino, che peraltro i magistrati inquirenti considerano molto attendibili (dichiarazioni, va ricordato, definite una "bomba atomica" dal presidente della Camera Fini). C'è anche la condanna a 9 anni avuta da Dell'Utri in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa e in attesa di conferma nel processo d'appello che dovrebbe concludersi il prossimo giugno presso il tribunale di Palermo. Anche la stessa sentenza di archiviazione con cui si concluse nel 1998 la prima inchiesta sulla strage dei Georgofili, e che indicava in "autore 1" (Berlusconi) e "autore 2" (Dell'Utri) i presunti mandanti politici dell'attentato compiuto per mano della mafia, pur riconoscendo l'insussistenza della prova di "una intesa preliminare" tra FI e Cosa nostra, indispensabile per poter continuare le indagini, confermava al tempo stesso la validità dell'ipotesi da cui erano partiti gli inquirenti, riconoscendo che il rapporto di reciproco interesse e di mutuo scambio tra Berlusconi, Dell'Utri e i boss mafiosi non solo esisteva, ma che "non ha mai cessato di dimensionarsi (almeno in parte) sulle esigenze di Cosa nostra, vale a dire sulle esigenze di una organizzazione criminale". Oggi Grasso, che in qualità di sostituto procuratore nazionale antimafia, scrisse allora quella sentenza assieme all'aggiunto Fleury e ai sostituti Chelazzi, Nicolosi e Crini, ne riconferma quest'ultimo aspetto, tornato alla ribalta con la riapertura delle inchieste a Firenze, Palermo e Caltanissetta, sottolineando che "Cosa nostra, attraverso queste azioni criminali, ha inteso agevolare l'avvento di nuove realtà politiche che potessero poi esaudire le sue richieste". La denuncia del PMLI Ciò conferma in pieno quanto il PMLI e "Il Bolscevico" sostenevano già nel 1992, fin dall'assassinio di Salvo Lima che precedette gli attentati di Capaci e di via D'Amelio, e cioè che la mafia si stava spostando su altre forze e altri referenti politici e che dietro la sua strategia stragista c'era la regia occulta della P2 e dei servizi segreti che lavoravano per completare il passaggio alla seconda repubblica, dopo la distruzione della prima operata con tangentopoli. Gli attentati e le bombe di quel sanguinoso biennio dovevano infatti preparare l'avvento del regime neofascista assuefacendo il Paese a misure sempre più autoritarie dettate dall'emergenza, fino a sfociare in un vero e proprio governo della P2, quello che si realizzò appunto con il primo governo Berlusconi. Subito dopo la strage di Firenze in un comunicato stampa del 27 maggio 1993, l'Ufficio politico del PMLI ha scritto: "Si tratta di stragi golpiste che hanno per obiettivo la realizzazione integrale del famigerato 'piano di rinascita democratica' di Gelli e della P2, cioè della vecchia e nuova destra fascista economica, finanziaria e statale che ha instaurato la seconda repubblica e ora preme per la legge elettorale maggioritaria e uninominale e per il presidenzialismo. È impossibile perciò che i mandanti di queste efferate stragi non siano conosciuti dai supremi vertici dello Stato e del governo. Pertanto chiediamo le immediate dimissioni del governo Ciampi, tra l'altro responsabile diretto dell''ordine pubblico' e dei servizi segreti, e lo scioglimento degli stessi servizi segreti coinvolti fino al collo nelle stragi". Attacchi, precisazioni e conferme Sapendo di esporsi a critiche perché la sola certezza politica non è sufficiente e occorrono anche le prove giudiziarie, il procuratore Grasso ha voluto anche precisare che "occorre dimostrare l'esistenza di una intesa criminale con un soggetto anche politico in via di formazione, intenzionato a promuovere e sfruttare una situazione di grave perturbamento dell'ordine pubblico per agevolare le prospettive di affermazione politica; e dimostrare l'esistenza di contatti riconducibili allo scambio successivo alle stragi". Infatti puntualmente le dichiarazioni di Grasso hanno provocato reazioni furibonde da parte dei cani da guardia del neoduce: in particolare il piduista Cicchitto ha definito la sua un'"interpretazione farneticante" e il rinnegato Ferrara, sul Foglio del 31 maggio, ha tacciato Grasso e chiunque osi insinuare "ipotesi senza indizi, senza prove, senza criterio di responsabilità" sul coinvolgimento di FI e di Berlusconi nelle stragi del '93, di essere "un calunniatore, un sicofante e un criminale" che "sparge veleni per l'aria che respiriamo". Dopo questi attacchi il capo della Dna ha cercato di smorzare le polemiche con delle precisazioni che hanno attenuato in parte l'effetto dirompente delle sue dichiarazioni ai Georgofili, come ha fatto parlando ad un convegno a Siena, in cui ha sostenuto che dire che nel '93 c'era un vuoto politico da riempire "non mi pare un'eresia" e che questo non significa che "chi lo ha riempito sia da collegare necessariamente" a una forza politica in particolare. Ma sta di fatto che se la più alta e autorevole autorità antimafia in Italia ha ritenuto di fare dichiarazioni così gravi e impegnative, vuol dire che negli atti delle inchieste di cui è a conoscenza ci devono essere cose veramente grosse ed esplosive. Dalle parole del procuratore si capisce chiaramente che gli inquirenti che hanno riaperto il capitolo delle stragi di mafia hanno ormai sufficientemente chiaro a quale strategia esse obbedivano e chi ne furono i mandanti politici, ma che avendo a che fare con un personaggio che oltre a essere capo del governo e del partito di maggioranza, controlla anche gran parte dei mezzi di informazione e tiene in pugno il parlamento e perfino la stessa "opposizione" parlamentare, sono costretti, anche alla luce dell'esperienza con Andreotti ed altri politici indagati per mafia, ad andare con i piedi di piombo e ad assicurarsi prove assolutamente schiaccianti prima di poterlo incriminare. Non per nulla, smentendo con una battuta chi prendendo spunto da un'immagine sul sito Dagospia con Berlusconi dietro le sbarre gli chiedeva se le sue dichiarazioni preludevano ad un'incriminazione del premier, Grasso ha risposto in questa maniera che suona alquanto sibillina ed evasiva: "Calma, nessun mandato di cattura per Berlusconi anche perché non ne avrei i poteri". Quindi non solo le sue "precisazioni" successive non attenuano né smentiscono in nulla le dichiarazioni di Firenze, ma queste ne hanno a loro volta provocate altre dirette a suffragare la stessa tesi della mano politica dietro le stragi di mafia: come quelle dell'ex leader del PD Veltroni, membro della Commissione antimafia, secondo il quale si dovrebbe chiamarle "stragi di un anti Stato, che era o forse è annidato dentro e contro lo Stato". E come quelle dell'ex capo dello Stato Ciampi, che ha rievocato in un'intervista a La Repubblica la drammatica notte del luglio 1993 quando lui era presidente del Consiglio e scoppiarono le bombe a Milano e a Roma, e contemporaneamente il suo telefono fu isolato ed egli ebbe la netta sensazione "che fossimo a un passo da un colpo di Stato. Lo pensai allora e lo penso ancora oggi". A costoro bisognerebbe domandare però perché abbiano aspettato 17 anni per farsi tornare la memoria, e perché continuino a menare il can per l'aia parlando genericamente di "pezzi di anti Stato" e roba del genere invece di vuotare finalmente il sacco su tutto quello che sanno, nomi e cognomi dei mandanti compresi, che essi conoscono benissimo! Per non parlare dell'idolo del "difensore della Costituzione", Scalfaro, chiamato in causa dal suo predecessore come testimone, che ha subito gettato acqua sul fuoco dicendo di ricordare "non nitidamente" quella drammatica e concitata notte del paventato golpe e bacchettando anzi Grasso e tutti i magistrati a cui ha rivolto un monito a tacere in assenza di prove certe e documentate di quel che dicono. Berlusconi è una iattura per l'Italia democratica e antifascista. Le sue mani grondano sangue. Egli si è macchiato del crimine di aver restaurato il fascismo. Imperdonabile! "Gli autentici antifascisti abbiano il coraggio di ammetterlo e di prendere le misure conseguenti". Questo è l'appello che ha lanciato il 31 agosto 2009 l'Ufficio politico del PMLI il quale così continuava: "Occorre con urgenza chiamare le masse a scendere in piazza per abbattere la nuova dittatura fascista. Il PMLI non ha la forza sufficiente per farlo, chi l'ha lo faccia senza indugio, altrimenti si assumerà una responsabilità storica che non sarà mai cancellata. Contiamo sull'aiuto degli intellettuali e dei giornalisti antifascisti non a parole per smascherare la vera natura di questo governo e per far maturare l'idea che non c'è altro modo per liberarsi del neoduce Berlusconi che quello della lotta di piazza e di massa". 1 giugno 2010 |