Il premier siriano Hijab abbandona Assad Il vicepremier del governo di Damasco a Mosca: "Si può discutere sulle dimissioni di Assad" L'Italia imperialista già lavora per il dopo Le cronache della rivolta contro il regime di Bashar al Assad continuano a essere segnate dalla lunga lista degli scontri e dei morti che si registrano dalla capitale Damasco alla seconda città del paese, Aleppo, di cui l'opposizione afferma di controllare la maggioranza dei quartieri, alle città minori in tutto il paese. I paesi imperialisti, a partire dalla triade Usa-Gran Bretagna-Francia, composta da governi della destra e della "sinistra" borghese, paventano la possibilità di un intervento militare nel caso Assad adoperi armi chimiche; un intervento bloccato al momento dalla concorrente Russia che si fa garante del non uso di tali armi da parte di Damasco e tiene bloccata col diritto di veto ogni possibile risoluzione Onu che servisse da giustificazione per l'intervento esterno. Fra i paesi del Movimento dei Non Allineati riuniti a Teheran il 30 agosto si è discusso di iniziative diplomatiche di mediazione tra le parti per la formazione di un nuovo governo siriano una volta confermata la contrarietà a ogni intervento armato. Nel frattempo il regime siriano perde pezzi importanti. Il 6 agosto, il primo ministro Riyad Hijab, abbandonava assieme a alcuni ministri il governo del presidente Assad e si rifugiava in Giordania. Una defezione importante che indebolisce Assad tanto che il vicepremier Qadri Jamil, in visita a Mosca il 20 agosto, ammetteva per la prima volta la possibilità di dimissioni del presidente. Nella conferenza stampa a Mosca, Jamil affermava che il suo governo sarebbe "disponibile a discutere" le dimissioni di Bashar al Assad, ovviamente non come condizione pregiudiziale per far partire il tavolo negoziale ma solo nel corso di un processo di dialogo nazionale. Il vice premier siriano in merito al pericolo di uso delle armi chimiche da parte di Damasco sottolineava che questa è "una storia che ci ricorda quella dell'Iraq. L'occidente cerca una scusa per un intervento armato in Siria. Se questa scusa non funziona, ne troveranno altre". In un giro di contatti telefonici il 22 agosto, Barack Obama, David Cameron, e François Hollande mettevano a punto l'intesa fra i tre paesi imperialisti sui modi di sostenere quella parte dell'opposizione siriana da loro sponsorizzata. Già l'11 agosto il ministro degli esteri inglese, William Hague, aveva annunciato l'invio di 5 milioni di sterline, pari a 6,3 milioni di euro, ai ribelli siriani, soldi che non sarebbero destinati all'acquisto di armamenti ma soltanto a rifornimenti di attrezzature radio, telefoni satellitari e generatori elettrici. Dopo il giro di consultazioni anche Usa e Francia annunciavano l'invio di mezzi "non letali" di protezione e comunicazione all'opposizione siriana. Al governo francese del socialista Hollande pareva un po' poco e il 24 agosto il ministro della difesa, Jean-Yves Le Drian, rilanciava l'idea di stabilire una "no-fly zone" in Siria anche senza un mandato del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, bastava fosse organizzata da una "coalizione internazionale". La destra di Sarkozy aveva forzato ma atteso il via libera dell'Onu per attaccare la Libia, alla "sinistra" di Hollande basta una "coalizione di volenterosi" come quella raccolta da Bush per attaccare l'Iraq. Con queste ambizioni interventiste dei principali paesi imperialisti appare sempre complicato, o forse di facciata, il compito del nuovo inviato speciale dell'Onu e della Lega araba in Siria, il diplomatico algerino Lakhdar Brahimi, nominato il 18 agosto al posto del dimissionario Kofi Annan. L'imperialismo italiano non può tenere il passo degli alleati ma non rinuncia alle proprie ambizioni imperialiste sulla Siria. Riposte per ora nel cassetto le voglie di essere in prima fila nell'intervento militare, il ministro degli Esteri Giulio Terzi ha sottolineato il 22 agosto che "la crisi dell'attuale regime è ormai un dato irreversibile. Si avvicinano i tempi per una transizione inevitabile, che dovrà essere guidata dal popolo siriano ma che la comunità internazionale ha il dovere morale, oltre che l'interesse, di sostenere", ovvero di pilotare, come ambirebbe Terzi che ha precisato come l'Italia "oltre a promuovere il dialogo e a dare assistenza ai profughi, sta considerando la fornitura all'opposizione di strumenti di comunicazione utili per poter prevenire attacchi contro civili e stiamo impostando la nostra azione per il dopo-Assad". Una pesante ipoteca imperialista posta sul futuro del popolo siriano. Di transizione pacifica per la Siria si è parlato al vertice dei paesi del Movimento dei Non Allineati riuniti a Teheran. Il presidente egiziano Mohamed Morsi ha espresso solidarietà alla battaglia del popolo siriano contro "un regime oppressivo che ha perso legittimità". Paragonando la rivolta in Siria con quelle che hanno rovesciato i vecchi regimi in Tunisia e in Egitto ha affermato che "dobbiamo dichiarare la nostra piena solidarietà con la lotta di coloro che cercano libertà e giustizia in Siria e tradurre questa simpatia in una chiara visione politica a sostegno di una transizione pacifica a un sistema democratico che rifletta la richiesta di libertà del popolo siriano". Al termine del vertice i Non Allineati decidevano di intervenire nella crisi siriana attraverso una troika formata da Egitto, Iran e Venezuela. La posizione esposta da Morsi a Teheran è stata ribadita nel comunicato congiunto dei governi cinese e egiziano diffuso l'1 settembre dopo la visita del presidente egiziano a Pechino. I due governi incoraggiano "le parti in causa a risolvere le controversie attraverso un completo e pacifico dialogo politico" e si oppongono "a qualsiasi intervento militare esterno, sollecitando il governo di Assad e tutte le parti in causa a fermare tutti gli omicidi e le altre violenze". Dopo la Russia che da Mosca ha fatto parlare il vicepremier siriano sulla possibilità delle dimissioni di Assad, anche la Cina, l'altro "protettore" del regime siriano, poco prima aveva mandato un segnale al governo di Damasco dichiarandosi "equidistante" tra le parti. Un portavoce del ministero degli Esteri cinese dichiarava il 14 agosto che la Cina "nei suoi sforzi diplomatici ha mantenuto un equilibrio tra il governo siriano e l'opposizione" e annunciava una prossima visita di esponenti dell'opposizione siriana a Pechino. 5 settembre 2012 |