Escogitata furbescamente da Grillo come valvola di sfogo delle masse di sinistra che invocano il cambiamento L'illusione Rodotà Un giurista apologeta della Costituzione e delle istituzioni borghesi e capitaliste non potrà mai cambiare l'Italia Per cambiare davvero l'Italia occorrono il socialismo e il potere del proletariato Di fronte alla rielezione del presidenzialista e golpista Giorgio Napolitano, il Movimento 5 Stelle, Sel e anche qualche esponente del PD continua a contrapporgli e a invocare il nome di Rodotà rimpiangendo l'occasione mancata di un vero cambiamento. Ma le cose stanno veramente così? Rodotà è stato candidato al Colle più alto dal M5S, al quale si è poi accodata Sel di Vendola, attraverso le cosiddette "quirinarie", cioè una sorta di elezione in rete, dove era arrivato terzo dopo Milena Gabanelli e Gino Strada, che però hanno rinunciato alla candidatura. Rodotà invece ha subito accettato, "contento come un bambino" l'ha descritto Grillo, passando sopra tutto ciò che si erano reciprocamente detti solo qualche mese fa. Non è un segreto che Grillo non ha mai avuto in simpatia il famoso giurista calabrese che anzi portava ad esempio dei "privilegi della casta" con i suoi 8.455 euro lordi di pensione. E nel 2006, quando fece l'elenco dei suoi preferiti al Quirinale Rodotà non c'era. C'erano invece Giovanni Sartori, Margherita Hack e pure Mario Monti. D'altra parte Rodotà non era stato certo morbido con Grillo e il M5S quando in un intervista a Left del luglio 2012 affermava: "Anche oggi vedo grandi pericoli. Il fatto che Grillo dica che sarà cancellata la democrazia rappresentativa perché si farà tutto in Rete, rischia di dare ragione a coloro che dicono che la democrazia elettronica è la forma del populismo del terzo millennio. (...) Quando si scopre che Grillo al Nord dice non diamo la cittadinanza agli immigrati, al Sud che la mafia è meglio del ceto politico, allora vediamo che il tessuto di questi movimenti è estremamente pericoloso. E rischia di congiungersi con quello che c'è in giro nell'Europa. A cominciare dal terribile populismo ungherese al quale la Ue non ha reagito adeguatamente". Ma si sa in certi casi si "fa di necessità virtù", e così Grillo furbescamente si affida a Rodotà per dare una valvola di sfogo alle masse di sinistra che invocano, anche dalla base del PD, il cambiamento; e Rodotà da parte sua accetta di buon grado di prestarsi a questo gioco e tentare di scalare il Quirinale. Ma questo con il "cambiamento" ha veramente poco a che fare. E il motivo principale è che Rodotà è tutt'altro che espressione del "nuovo che avanza". Egli è piuttosto un vecchio e navigato politico della "sinistra" borghese, un vero e proprio cultore e apologeta della Costituzione e delle istituzioni borghesi e capitalistiche, insomma, solo un'illusione di cambiamento. Tant'è vero che dopo l'elezione di Napolitano, di fronte alle prime dichiarazioni di Grillo, poi ritirate, che invocavano la piazza, Rodotà, che in quel momento partecipava a un convegno a Bari, pressato anche dalle telefonate del PD che gli chiedevano di dissociarsi, gettava acqua sul fuoco dichiarando che l'elezione di Napolitano aveva piena "legittimità democratica e costituzionale", e che lui era "sempre stato contrario alle marce su Roma". E, sempre alla faccia del cambiamento, Rodotà avrebbe anche confessato di aver fatto segretamente il tifo per l'elezione del democristiano Prodi. Un liberal-democratico e riformista Rodotà non rappresenta il "nuovo" e non certo per una questione anagrafica anche se il 30 maggio prossimo compirà ottanta anni. Nato nel 1933 a Cosenza (con ascendenze albanesi) ha frequentato il liceo classico Bernardino Telesio nella città natale e successivamente si è laureato all'Università La Sapienza a Roma nel 1955 in giurisprudenza, discutendo una tesi con il docente Emilio Betti, allievo di Rosario Nicolò. Nella stessa Università diventerà poi ordinario di diritto civile. Alla fine degli anni '50 inizia la sua carriera politica. Aderisce al neonato partito radicale di Mario Pannunzio. Intanto si sposa con Carla, collaboratrice de "La Repubblica" per le questioni giuridico-costituzionali e ha due figli: Maria Laura, giornalista, e Carlo, coadiutore alla Consob. Dopo i radicali, si orienta verso il PSI non come militante ma come fidato consigliere di Antonio Giolitti, quand'era ministro del bilancio e della programmazione e poi dello stesso segretario Francesco De Martino che invece era vicepresidente del consiglio nei governi Rumor e Colombo. Nel '70 con Gino Giugni, Enzo Cheli, Giuliano Amato, Augusto Barbera è tra i fondatori della rivista "Politica del diritto". Con la sconfitta di De Martino e l'ascesa di Craxi, Rodotà decide di spostarsi verso i centri di ricerca cosiddetti del "marxismo italiano" come il CESPE guidato da Giorgio Amendola e la rivista "Democrazia e diritto". Nel 1979 entra alla Camera eletto nelle liste del PCI revisionista come indipendente. Viene confermato nell'83 (divenendo anche presidente del gruppo della Sinistra indipendente) e nel 1987. Nello stesso anno diviene ministro della Giustizia nel "governo ombra" di Occhetto. Nel 1989, invece viene eletto al parlamento europeo. Con Occhetto e la liquidazione del PCI È un convinto sostenitore della svolta della Bolognina e quindi della liquidazione del PCI revisionista avvenuta nel gennaio '91. Occhetto a lui affida per la prima volta l'incarico di presidente del Consiglio nazionale del partito nato dalle macerie del PCI, ossia il PDS. L'obiettivo del segretario PDS è proprio quello di dimostrare una rottura col passato e la volontà del nuovo partito di aprirsi verso nuove ideologie e nuove culture liberali. Rodotà viene scelto proprio perché non era e non è mai stato comunista. "Mozart mi piace più dell'Internazionale e la falce e martello non mi mancano proprio", così diceva il professore appena eletto presidente del PDS. Nel 1992 torna a Montecitorio questa volta come capolista del PDS nella circoscrizione di Firenze. È membro e vicepresidente della nuova Commissione bicamerale per le "riforme" istituzionali De Mita-Iotti. Era già stato membro della prima Commissione Bozzi. Diventa vicepresidente della Camera. È qui che la carriera politica di Rodotà registra una battuta d'arresto che anche allora lo vede contrapposto proprio a Giorgio Napolitano. Si trattava di scegliere il successore alla presidenza della Camera di Oscar Luigi Scalfaro, salito al Quirinale. Il successore naturale sembra essere proprio Rodotà in virtù del fatto che era il vicepresidente e aveva presieduto proprio la seduta congiunta del parlamento convocato per l'elezione del capo dello Stato. In più era il presidente del PDS e deputato, seppure come indipendente, nelle liste del PCI e poi del PDS dal 1979. Invece fu silurato per il veto del partito socialista che gli preferì il "migliorista" Napolitano che fu eletto al quinto scrutinio, mentre Rodotà si fermò a 61 voti, ossia la somma di PRC, Verdi e La Rete di Orlando. Rodotà si dimise dalla presidenza del PDS, decise di non ricandidarsi alla fine della legislatura che durò solo due anni e tornò all'attività accademica. Ha fra l'altro insegnato in molte università straniere come Oxford, in Francia, Stati Uniti, Germania. Ma non si limitò certo a fare il professore. Continuò infatti a svolgere un ruolo politico e poi a ricoprire compiti istituzionali. Nel 1994 è presidente della Fondazione Basso. Nel '95 è fra i firmatari di un appello per una "nuova associazione della sinistra" insieme a Giovanni Ferrara, Cacciari, Bassolino, Canfora, Garavini, Chiarante, Serri, ecc. Nel 1997 viene eletto dal parlamento a maggioranza del "centro-sinistra" presidente dell'Autorità garante della privacy istituita per la prima volta. Incarico che manterrà fino al 2005. Intervistato dal Tg3 spiegò all'epoca che "per il cittadino ora cambierà molto" nel senso che non sarebbe più stato alla "mercé dei raccoglitori di informazione" (sic!). Convinto sostenitore della Ue Forte è anche il suo legame con l'Unione europea imperialista. Dal 1983 al 1994 è stato membro dell'Assemblea permanente del Consiglio d'Europa. Nel 1989, quando viene eletto deputato europeo, partecipa alla scrittura della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Dal 1998 al 2002 ha presieduto il gruppo di coordinamento dei Garanti per il diritto alla riservatezza dell'Unione europea. È stato anche dal 1993 al 2005 membro del gruppo di sei esperti della Commissione dell'Unione Europea per l'etica delle biotecnologie e presidente della commissione scientifica dell'Agenzia europea dei diritti fondamentali. Nel 2007 partecipa ad una commissione ministeriale per dettare una nuova normativa del Codice civile in materia di beni pubblici. Questa commissione voluta da Clemente Mastella (UDC) e presieduta da Rodotà ha presentato in Senato un disegno di legge delega che però non è mai stato discusso. Non pare proprio la biografia di un esponente della cosiddetta "società civile" come si tenta di farlo passare vista la sua attività di studio e difesa dei beni comuni, manifestata in particolare in occasione della campagna referendaria del 2011 sull'acqua pubblica. Tanto meno può essere presentato come un politico in grado di cambiare l'Italia da sinistra dal momento che egli è ed è sempre stato per tutta la sua vita parte integrante del capitalismo e delle sue istituzioni. Per cambiare davvero l'Italia occorrono il socialismo e il potere del proletariato. Il resto, per quanto accattivanti, sono solo illusioni. 24 aprile 2013 |