Riesumando e appoggiando le posizioni del riformista e revisionista Di Vittorio "Il manifesto" trotzkista esalta il XX Congresso del PCUS della restaurazione del capitalismo in Urss e appoggia la controrivoluzione ungherese del '56 Rossanda: "Recuperando il rapporto di Krusciov si potevano evitare i fatti di Ungheria" Parlato: "la rivolta di Budapest non era fascista. Io la pensavo come Di Vittorio" Anche "il manifesto", nell'edizione domenicale del 22 ottobre, ha pubblicato il suo bravo inserto di quattro pagine dedicato alla rievocazione dei fatti d'Ungheria del 1956. Inserto che nella grafica e negli articoli non si differenzia in nulla, nella sostanza, dall'alluvione mediatica celebratoria della stampa di regime: stesse foto di rivoltosi che bruciano ritratti di Stalin, del traditore Nagy tra la folla plaudente, degli "insorti" in armi e così via. Mentre per quanto riguarda il contenuto degli articoli c'è un apparente tentativo di "storicizzare" l'evento, secondo la tipica tattica trotzkista di fingere una posizione "intermedia" tra le due interpretazioni dei fatti ungheresi del '56 (fu una rivoluzione o una controrivoluzione?). Ma nella pratica il quotidiano di via Tomacelli finisce per sposare decisamente la prima, unendosi quindi di fatto alla canea reazionaria, anticomunista e revisionista che si è scatenata cogliendo l'occasione del cinquantenario della controrivoluzione ungherese per attaccare il socialismo e rovesciare i verdetti storici. In particolare sono due gli articoli che reggono questa sporca operazione, pur apparendo in polemica tra di loro e muovendo da posizioni formalmente opposte: uno di Rossana Rossanda e l'altro di Valentino Parlato. Per Rossanda, che ripete la giaculatoria comune a tutta la "sinistra" riformista, l'appoggio del PCI all'intervento sovietico fu un'"occasione perduta" per smarcarsi dall'Urss e favorire una "democratizzazione" sia del PCI che dei paesi del "socialismo reale". Per Parlato, invece, quella di Togliatti e del vertice del PCI fu una decisione "dolorosa ma necessaria", stante la situazione internazionale "difficile" di allora. Ma è nelle argomentazioni e motivazioni di queste due, a prima vista divergenti posizioni, che i due giornalisti trotzkisti convergono invece chiaramente sull'appoggio alla controrivoluzione ungherese e sul revisionismo. Rossanda lo fa riesumando il rapporto segreto di Krusciov al XX Congresso del PCUS, decantato come la stella polare a cui allora tutti i partiti comunisti avrebbero dovuto guardare per orientarsi, compresa la posizione da prendere sui fatti ungheresi: "...non è vano chiedersi - dice infatti Rossanda, che cosa sarebbe avvenuto 'se' nel 1956 il rapporto segreto di Krusciov fosse stato recepito come un goffo ma serio segnale, 'se' il PCUS e gli altri partiti lo avessero elaborato invece che sfuggito, 'se' pochi mesi dopo avessero inteso la rivolta di Poznàn, e poi quella di Budapest, e infine 'se', digerita di malavoglia la prima, la seconda non fosse stata repressa dall'intervento militare sovietico". In sostanza costei accusa i partiti revisionisti di allora di non essere stati abbastanza e coraggiosamente tali, e di non aver appoggiato fino in fondo la destalinizzazione e la restaurazione del capitalismo in Urss, lanciata da Krusciov col XX Congresso del PCUS : linea che non fu sufficientemente recepita, a suo dire, da questo stesso partito e dagli altri partiti "fratelli". È perlomeno curiosa, se non ridicola, una simile tesi da parte di una che, dieci anni dopo i fatti di Ungheria, verrà radiata dal PCI per le sue posizioni "maoiste" e per le sue accuse da "sinistra" al partito diretto allora da Longo, di essere cioè un partito socialdemocratico che aveva abbandonato la via rivoluzionaria per quella riformista, l'internazionalismo proletario per la via italiana al socialismo, e così via. Ma si sa, la coerenza non è mai stata una variabile indipendente per i trotzkisti. Gli equilibrismi di Parlato Da parte sua, Parlato sembra polemizzare con lei quando dice: "Non mi convince neppure la tesi dell''occasione perduta' da parte del PCI. A mio parere il PCI del 1956, che già aveva mal digerito il rapporto segreto di Krusciov, si sarebbe spaccato. Qualcuno si ricorda di Pietro Secchia"? Tanto che più oltre ribadisce: "...penso che la scelta del 1956, per quanto dolorosa, sia stata anche una scelta obbligata e in questo senso anche una scelta valida. Tutt'altra storia è quella del 1968, di Praga e della repressione di quella bella (sic) primavera". Allora, per Parlato, quella di Budapest fu una controrivoluzione? Neanche per sogno: "Allora avevo 25 anni - chiarisce infatti l'editorialista de 'il manifesto' - ero nel PCI e ci rimasi. Non pensai affatto che la rivolta di Budapest fosse fascista. Sentii vergogna e dolore, apprezzai la presa di posizione di Di Vittorio; ma anche Di Vittorio rimase nel PCI". C'è di che restare frastornati da simili spericolati equilibrismi! Se la rivolta non fu fascista vuol dire che hanno ragione i rinnegati e la destra a dire che fu operaia e popolare, magari anche di "sinistra", già che ci siamo; addirittura - perché no - "comunista", come sostengono gli imbroglioni trotzkisti Bertinotti e Giordano, che esaltano ancora il traditore Nagy come un "comunista coerente". E allora Parlato avrebbe dovuto schierarsi contro l'intervento sovietico, non appoggiarlo. E infatti fece anche quello, dal momento che "apprezzò" la posizione del revisionista Di Vittorio, che condannava l'intervento e appoggiava la controrivoluzione. Insomma, Parlato fece ambedue le cose, stava con Togliatti e con Di Vittorio, e il bello è che non ci trova nulla di strano! Davvero, la coerenza non è moneta corrente dalle parti di via Tomacelli! Con chi si schierò Di Vittorio Evidentemente Parlato si copre dietro la figura di Di Vittorio perché in questo modo, da buon trotzkista, può tenere il piede in due staffe: abiurare la posizione che tenne all'epoca dei fatti, passando anche lui sotto le forche caudine dei "vincitori di oggi", come li chiama servilmente Bertinotti, cioè la destra anticomunista, neofascista, clericale e liberale, attraverso l'esaltazione di uno dei pochi dirigenti revisionisti del PCI che appoggiò la controrivoluzione ungherese e attaccò l'intervento sovietico, ma senza doversi spingere, come Napolitano e i rinnegati DS, fino al punto di dire che avevano ragione Giolitti, che uscì dal PCI, e Nenni, che ruppe l'alleanza con questo partito finendo in braccio alla DC. Anzi, non solo Parlato, ma è tutto il gruppo trotzkista de "il manifesto" che ha scelto questa scappatoia opportunista, visto che al dissenso di Di Vittorio e della Cgil l'inserto dedica un lungo articolo di rievocazione ed esaltazione. La figura del sindacalista pugliese si presta perfettamente per questa sporca operazione trasformistica, sia perché per il suo passato di organizzatore delle lotte bracciantili nel dopoguerra gode ancora di una fama prestigiosa nella base contadina e operaia dei partiti della "sinistra" borghese, sia perché non ruppe con il PCI come fecero Giolitti ed altri intellettuali di allora, pur facendo votare alla segreteria della Cgil un comunicato sui fatti di Ungheria in cui si esprimeva "la condanna storica e definitiva di metodi di governo e di direzione politica ed economica antidemocratici, che determinano il distacco fra dirigenti e masse popolari": in pratica si schierò dalla parte dei controrivoluzionari ungheresi e attaccò l'URSS e il movimento operaio internazionale, che aveva sollecitato il suo intervento per impedire che l'Ungheria cadesse nelle grinfie dell'imperialismo. Così facendo Di Vittorio, che era, non dimentichiamolo, pur sempre un riformista e un revisionista, e per di più della corrente amendoliana, cioè della destra del PCI, si schierava di fatto anche con tutte quelle forze reazionarie che auspicavano e brigavano per il distacco dell'Ungheria dagli altri paesi socialisti, e cioè la Nato, il governo democristiano-liberale di Segni, i fascisti del MSI, il golpista Edgardo Sogno, che tentò di formare un corpo di volontari e di spie da inviare in quel paese, e in parte riuscì ad infiltrarvi degli agenti, il Vaticano, che appoggiava il cardinale reazionario Mindszenty e i ribelli fascisti, e così via. Coprirsi dietro la posizione di Di Vittorio significa perciò finire lo stesso, anche se in modo meno diretto e sfacciato, nello stesso calderone dove si riscrive la storia in chiave anticomunista in cui sono finiti i rinnegati Napolitano e Fassino e l'imbroglione trotzkista Bertinotti. 2 novembre 2006 |