Per proteggere Berlusconi dalle intercettazioni telefoniche Imbavagliata la stampa, favoriti i mafiosi Avanza la terza repubblica sulla linea della P2 ANM: "Muore la giustizia penale in Italia". Giornalisti e editori uniti: "pronti a scioperare" Con 318 voti a favore, 224 contrari e un astenuto, l'11 giugno la Camera nera ha approvato con l'ennesimo voto di fiducia e a scrutinio segreto il disegno di legge (ddl) Alfano recante le nuove "Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice, degli atti di indagine, e integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche". Il testo, votato anche da 17 "franchi tiratori" dell'"opposizione" parlamentare del regime, passa ora al vaglio del Senato per l'approvazione definitiva. Si tratta, come abbiamo già denunciato fin dal suo varo in Consiglio dei ministri il 13 giugno 2008 e poi il 16 febbraio 2009 col primo via libera della commissione Giustizia della Camera, di un provvedimento liberticida e fascista nei confronti di giudici e giornalisti; funzionale alla definitiva instaurazione in campo giudiziario della terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista, elaborato sulla base del cosiddetto "Piano di rinascita democratica" della P2 e studiato apposta per favorire i mafiosi e proteggere il nuovo Mussolini, Berlusconi, dalle intercettazioni telefoniche e da quel "grumo eversivo" di magistrati e giornalisti che osano indagare e ficcare il naso nelle sue sporche malefatte pubbliche e private. Lo conferma l'atteggiamento connivente del capo dello Stato Napolitano che, nonostante gli appelli di magistrati e giornalisti a far valere le sue prerogative di garante dei principi costituzionali, di fatto copre il nuovo Mussolini e chiede tempo: "riservandomi di esaminare il testo approvato dalla Camera, di seguire il successivo iter parlamentare e poi di prendere le decisioni che mi competono". Lo conferma l'imbelle e inaffidabile "opposizione" che, di fronte al diciannovesimo voto di fiducia imposto dal governo in appena 13 mesi, ha chiesto il voto segreto in Aula sperando in uno "sfilacciamento" della maggioranza e invece si è ritrovata con 17 suoi deputati che hanno votato a favore di Berlusconi. Lo conferma la sfrontatezza del governo, ormai assimilabile al gran consiglio fascista di mussoliniana memoria, che lavora compatto affinché non si disturbi il manovratore e, di fronte alle proposte di modifica del testo avanzate dal procuratore generale antimafia Grasso, prima promette di modificare la legge, ma poi, su ordine del neoduce, respinge tutti i rilievi e approva il testo senza variare una virgola rispetto a quanto già deciso in Commissione. Istigazione a delinquere La verità è che, col pretesto di "garantire il diritto dei cittadini alla privacy e alla sicurezza", Berlusconi vuole regolare una volta per tutte i conti con magistrati e giornalisti togliendo ai primi un importante strumento investigativo come il sistema delle intercettazioni mentre i secondi saranno letteralmente imbavagliati. Se a ciò aggiungiamo il già depositato progetto di "riforma" del processo penale che, invece della "certezza della pena" introduce di fatto la certezza della prescrizione dei reati, ne risulta che mafiosi, truffatori, ladri, assassini, corrotti e corruttori possono tranquillamente continuare a delinquere senza correre il rischio di finire in galera. Con la nuova legge potranno essere intercettati solo i reati che prevedono pene oltre i 5 anni. L'intercettazione può essere disposta solo se vi sono "evidenti indizi di colpevolezza" e soltanto se è "assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini". Ossia si rovescia completamente la fase istruttoria. Il Gip (giudice per indagini preliminari) non può più intercettare un sospettato di reato al fine di raccogliere sufficienti notizie di reato a suo carico per poi procedere all'incriminazione; egli può chiedere l'intercettazione solo dopo aver scoperto, non si sa con quali mezzi, "evidenti indizi di colpevolezza". Ma se esistono già gli "evidenti indizi di colpevolezza" vuol dire che siamo di fronte non più a un sospettato, ma a un imputato di reato già accertato su cui ovviamente non ha più senso attivare un'intercettazione. Insomma: quando sarebbe utile per scoprire un crimine, l'intercettazione non si può fare, mentre quando non serve più perché il Gip (magari grazie a una sfera di cristallo) è già in possesso di "evidenti indizi di colpevolezza", la si può fare. Ad esempio il ritrovamento di un cadavere e l'evidenza che si tratta di una persona uccisa non saranno più sufficienti per autorizzare le intercettazioni fino a quando il magistrato non individua anche il possibile autore. Inoltre la nuova legge prevede che l'autorizzazione a intercettare è decisa da un tribunale collegiale composto da tre giudici (magari di nomina governativa). E non tiene minimamente in conto il carattere d'urgenza e tempestività richiesto dalle circostanze e dagli sviluppi investigativi. La richiesta del pubblico ministero (Pm) a intercettare, infatti, deve essere vistata dal Procuratore capo e inviata non più al Gip del tribunale competente, ma al Gip del tribunale del capoluogo del distretto della Corte d'Appello nel cui ambito ha sede il Gip competente che, poi, dovrà decidere in seduta collegiale con decreto motivato e contestuale alla richiesta dell'autorità giudiziaria. Cioè se, per esempio, il Gip competente è quello di Agrigento, la richiesta va inviata al Gip del tribunale di Palermo che, appunto, è il tribunale del capoluogo del distretto. E prima che Palermo comunichi ad Agrigento la decisione possono trascorrere settimane se non mesi a tutto vantaggio del sospettato che ha tutto il tempo per consumare o reiterare il crimine. Le intercettazioni autorizzate per un'indagine non possono essere più utilizzate in un procedimento diverso da quello per cui sono state autorizzate. Ossia se un Pm che indaga su reato di una certa gravità, viene autorizzato a intercettare, ma poi scopre, grazie proprio alle intercettazioni, un reato ancora più grave, non può utilizzare le risultanze di indagine già in suo possesso ma, per procedere, deve aprire un nuovo fascicolo e ricominciare da zero. Non a caso la normativa prevede l'istituzione di un archivio riservato per la conservazione degli atti (che quindi non vanno più depositati in cancelleria) e le registrazioni vanno immediatamente distrutte dopo la sentenza definitiva. Le telefonate e i relativi verbali saranno custodite in un archivio presso la Procura. I procuratori avranno il potere di gestione e controllo dei centri di intercettazione e di ascolto. Anche il fattore temporale diventa fondamentale, perché con le nuove norme le intercettazioni non possono durare più di trenta giorni, prorogabili per altri trenta giorni in due volte (15+15). Per reati di mafia, terrorismo o minaccia col mezzo del telefono si può arrivare a 40 giorni prorogabili di altri 20. La norma è estesa anche alle riprese visive che di fatto vengono equiparate alle intercettazioni telefoniche e ambientali che sarà possibile attivare "solo se vi è fondato motivo di ritenere che nei luoghi dove sono disposte si stia svolgendo l'attività criminosa". Quando si indaga per mafia, terrorismo e reati gravissimi quali riduzione in schiavitù, tratta di persone, sequestro di persona per rapina o estorsione, contrabbando, traffico di stupefacenti: l'autorizzazione a disporre le intercettazioni è data solo se vi sono "sufficienti indizi di colpa". E le operazioni non possono superare i 40 giorni ma possono essere prorogate dal tribunale con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni, qualora permangano gli stessi presupposti, entro i termini di durata massima delle indagini preliminari. Da ciò risulta abbastanza chiaro che queste modifiche comporteranno gravi intralci alle indagini, specie per i reati di mafia e dei cosiddetti "colletti bianchi", che finiranno per diventare proibitive per il combinato disposto degli "evidenti indizi di colpevolezza" e della scansione temporale in cui esse vengono suddivise. La norma salva clero e servizi segreti Tra le pieghe del decreto c'è anche una norma salva clero. Il ddl all'articolo 12 dispone infatti che per le intercettazioni che riguardano vescovi, sacerdoti e rappresentanti del clero in genere, imputati di corruzione, usura o altro, il pubblico ministero deve inviare "l'informazione" addirittura "al Cardinale Segretario di Stato" presso la santa Sede. Mentre se si indagano semplici monaci e sacerdoti (per esempio per violenze sessuali) si deve avvisare il vescovo diocesano. Non solo. Lo stop alle intercettazioni è esteso anche agli 007: se un pubblico ministero volesse ascoltare le conversazioni telefoniche di un esponente dei servizi segreti dovrà informarne entro 5 giorni il presidente del Consiglio che deciderà se apporre o meno il segreto di Stato. Nel ddl all'articolo 1 è inoltre inserita una norma che prevede "l'obbligo di astenersi" per il magistrato che ha "pubblicamente rilasciato dichiarazioni" sul procedimento che gli è stato affidato. Lo stesso articolo prevede che il capo dell'ufficio o il procuratore generale è obbligato a sostituire il magistrato sotto indagine per rivelazione del segreto d'ufficio. Inoltre il pubblico ufficiale o il magistrato responsabili della fuga di notizie sulle intercettazioni saranno puniti con l'ammenda da 500 a 1.032 euro. Durissimo il giudizio dell'Associazione nazionale magistrati secondo cui la riforma delle intercettazioni segna nei fatti "la morte della giustizia penale in Italia". In un momento in cui "la sicurezza dei cittadini è sovente evocata come priorità del Paese - si legge nel documento diffuso dal sindacato delle toghe - lascia sgomenti il fatto che il Parlamento stia per effettuare scelte che rappresentano un oggettivo favore ai peggiori delinquenti". Tali norme "impediranno alle forze di polizia e alla magistratura inquirente di individuare i responsabili di gravissimi reati". In pratica, prosegue l'Anm, è come se governo e parlamento chiedessero "alle forze dell'ordine e alla magistratura inquirente di tutelare la sicurezza dei cittadini uscendo per strada disarmati e con un braccio legato dietro la schiena". Il sindacato delle toghe ricorda i più recenti episodi di cronaca: gli stupri di Roma, le violenze nella clinica di Milano, le scalate bancarie alla Antonveneta e alla Bnl. In nessuno di questi casi, dicono, "con la nuova legge sarebbe stato possibile accertare i fatti e trovare i colpevoli". Sarebbe allora "più serio e coerente assumersi la responsabilità politica di abrogare l'istituto delle intercettazioni piuttosto che trasformarle in uno strumento non più utilizzabile. È semplicemente assurdo pensare che si possano fare intercettazioni solo nei confronti del colpevole già individuato. Ed è del tutto irragionevole prevedere che le intercettazioni debbano sempre essere interrotte dopo 60 giorni, anche nei casi, come un sequestro di persona, un traffico di stupefacenti o di armi, in cui il reato sia in corso di esecuzione". E non basta: "la equiparazione delle riprese visive alle attività di intercettazione rappresenta un grave danno per la lotta al crimine. Con queste norme non saranno possibili riprese visive per identificare gli autori di rapine in banca, spaccio di stupefacenti nelle piazze, violenza negli stadi, assenteismo nei pubblici uffici". Un allarme recepito anche dal procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso che avverte: "con l'approvazione del ddl Alfano ci sarà una minore potenzialità dal punto di vista investigativo". Bavaglio e manette alla stampa Al depotenziamento degli strumenti investigativi, si aggiunge il bavaglio informativo sulle inchieste di cui non si potrà avere più notizia "anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari". Sulle grandi inchieste di mafia e corruzione che spesso hanno una fase investigativa molto lunga, non ci potrà più essere nessun controllo da parte dell'opinione pubblica e su esse calerà un silenzio tombale imposto da pesanti sanzioni sia per i giornalisti (per i quali è addirittura previsto il carcere) che per i magistrati. A tutto vantaggio dei criminali che truffano lo Stato, corrompono, devastano l'ambiente e attentano alla salute o alla vita dei cittadini o degli operai nei cantieri, tanto per fare qualche esempio. Gli editori dei giornali che violeranno il divieto di pubblicazione saranno puniti con multe da 64.500 fino a 465mila euro. Per i giornalisti invece che infrangono il divieto, il provvedimento prevede l'arresto fino a 30 giorni o l'ammenda fino a 5mila euro oppure fino a 10mila se si tratta di intercettazioni. Chi invece pubblicherà il contenuto di intercettazioni per le quali è stata ordinata la distruzione sarà punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Stessa pena anche per chi pubblica anche per riassunto o in parte atti e contenuti relativi a conversazioni o flussi di comunicazione riguardanti fatti e circostanze o persone estranee alle indagini di cui sia stata disposta l'espunzione. La pena minima di 6 mesi tuttavia è commutabile in pena pecuniaria. Contro il ddl Alfano scendono in campo anche i giornalisti e gli editori che in un comunicato congiunto condannano le "limitazioni ingiustificate al diritto di cronaca" introdotte nella legislatura con "le sanzioni detentive nei confronti dei giornalisti e la responsabilità oggettiva a carico degli editori" e chiedono di introdurre nel disegno di legge "le correzioni necessarie alla tutela di valori essenziali per la democrazia". Se ciò non dovesse avvenire ha avvertito Franco Siddi, segretario generale della Federazione nazionale stampa italiana, i giornalisti "sono pronti a portare avanti la loro battaglia utilizzando l'arma dello sciopero, nonché ricorrendo alla Corte costituzionale e a quella europea dei diritti dell'uomo". Inoltre Siddi ha avvertito che "se tutto questo non fosse sufficiente, passeremo alla disobbedienza civile, pubblicando quello che riterremo utile e necessario, anche se non pubblicabile secondo il ddl, e ce ne assumeremo la responsabilità". Insomma questa normativa mina alle fondamenta il potere giudiziario e l'indipendenza della magistratura e spazza via ogni residua libertà democratico borghese inerente il "diritto all'informazione libera e pluralista" per nascondere all'opinione pubblica la criminalità mafiosa, la corruzione e il malaffare che regnano sovrani a tutti i livelli nelle istituzioni di questo marcio sistema capitalista. 17 giugno 2009 |