L'immunità parlamentare, alle origini e oggi L'immunità rappresenta, in generale, l'esenzione da un onere, da un obbligo o da un dovere. Il termine è una parola composta di origine latina, immunitas, inmunitas derivata dall'arcaico munus, che significa ufficio, dovere, compito o prestazione, comunemente usata dai latini per indicare la dispensa da una attività o da imposte e servizi pubblici. L'immunità, nello specifico, consiste in una situazione giuridica soggettiva privilegiata riconosciuta e garantita a taluni soggetti giuridici in considerazione della loro posizione e funzione istituzionale. Le immunità si distinguono per i loro effetti: alcune di esse estendono le garanzie protettive sino alla non punibilità o al riconoscimento di irresponsabilità per talune fattispecie criminose, o ad altre esenzioni civili, in deroga alle previsioni ordinamentali ordinarie. L'origine dell'immunità parlamentare è coeva alla nascita dei parlamenti moderni e coincide con la proclamazione della Bill of Rights inglese dove i relatori affermarono che "la libertà di parola, di discussione e di procedure in parlamento non potrà essere accusata o messa in discussione in altra corte o luogo al di fuori del parlamento". Con l'insindacabilità parlamentare vi fu la prima libertà codificata (ribattezzata freedom of speech) ai membri del Parlamento fu garantito il diritto di critica dei parlamentari al Re e ai suoi ministri e conseguentemente ciò spianò, nel secolo successivo, l'utilizzo della procedura di impeachment come momento di censura politica e giustiziale all'esecutivo. All'ordinamento inglese si allineò di lì a poco quello statunitense la cui immunità (designata come speech or debate cause) fu contornata anche dal divieto di arresto, tranne nei casi di tradimento, delitto o turbativa della quiete. I costituenti francesi del 1791 disegnarono l'immunità prevedendo non solo l'inviolabilità dei rappresentanti della nazione e l'impossibilità di perseguirli per gli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni, ma anche il divieto di arresto se non in flagranza di reato e, per la prima volta, il divieto di procedimento penale senza l'autorizzazione a procedere del corpo legislativo. In Italia lo Statuto Albertino recepì nel XIX secolo i contenuti anglosassoni e francesi sulla immunità parlamentare: all'insindacabilità delle opinioni espresse dai parlamentari (contenute nell'allora art. 51) si affiancò, nel dettato costituzionale, il divieto assoluto di arresto per tutto il mandato (art. 45-46 dello Statuto), tranne in flagranza del delitto e, nel caso, sarebbe stato soltanto il Senato a giudicare dei reati commessi dai suoi membri. L'immunità parlamentare nella Costituzione del 1948 Preliminarmente va ricordato che l'immunità borghese nel nostro Paese è estesa al Presidente della Repubblica che non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, fatta eccezione per i casi di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, come stabilito dall' art. 90 della Costituzione, per i quali può esser posto in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, e giudicato dalla Corte Costituzionale, integrata nella sua composizione da 16 cittadini tratti a sorte da un elenco di 41 persone compilato dal Parlamento tra i cittadini aventi i requisiti per l'eleggibilità a senatore. Per gli atti non rientranti nel concetto di atti eseguiti nello svolgimento delle proprie funzioni il Presidente della Repubblica dovrebbe essere equiparato a qualsiasi altro cittadino, ma a tutt'oggi ragioni di opportunità propugnate dalla borghesia nazionale hanno posto in essere una barriera in grado di porre un muro di gomma dove il Presidente, dal 1948 ad oggi non è mai stato sottoposto al vaglio e al giudizio della magistratura ordinaria, considerata anche la sua posizione di vertice nel Consiglio superiore della magistratura. All'immunità presidenziale, si aggiunge quella di parlamentare europeo grazie all'approvazione del protocollo di Bruxelles dell'8 aprile 1965 che ha riconosciuto ai parlamentari le medesime immunità e prerogative di cui godono gli appartenenti al Parlamento del loro Paese. Attualmente l'Unione Europea imperialista mantiene questo privilegio, senza che non vi sia stato mai un intervento a riguardo, ma lasciando invariato il dettato voluto dai paesi capitalisti quasi 45 anni fa. Con l'avvento della Costituzione del '48 l'immunità parlamentare non fu eliminata ma anzi è stato dedicato dalla democrazia borghese un articolo apposito (il 68) che reca due distinte immunità parlamentari: l'insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle funzioni, sul piano della responsabilità sostanziale (primo comma) e una serie di immunità proprie del procedimento penale, sul piano processuale (secondo e terzo comma). L'art. 68 della Carta fondamentale democratico-borghese, infatti, afferma: "I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza". In base alla lettura della disposizione è oggi consentito alla magistratura sottoporre ad indagini i parlamentari senza richiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza; arrestare il parlamentare in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna; mettere in arresto il parlamentare solo nel caso in cui sia colto nell'atto di commettere un reato per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. A questi poteri limitatissimi a disposizione dei giudici, quasi in aperto contrasto del principio di uguaglianza dell'art. 3 Cost., non è consentito all'autorità giudiziaria, senza la preventiva autorizzazione della Camera: sottoporre a perquisizione personale o domiciliare il parlamentare, arrestare o privare della libertà personale il membro del Parlamento ad eccezione di una sentenza irrevocabile o della flagranza, e procedere ad intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni e a sequestro della corrispondenza. In sostanza attualmente i parlamentari del regime neofascista godono di privilegi tali da trovarsi in una vera e propria torre d'avorio inespugnabile, alla faccia della tanto decantata "uguaglianza sostanziale dei cittadini dinanzi alla legge". L'abrogazione di parte dei privilegi immunitari e il tentativo della casa del fascio di reintrodurli Altra prerogativa dei parlamentari del regime neofascista è l'insindacabilità: difatti essi non possono essere chiamati a rispondere per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle funzioni (art. 68, primo comma, Cost. come modificato dalla legge costituzionale del 29 ottobre 1993, n. 3). Ad esempio nell'URSS di Lenin e Stalin e nella Cina di Mao avveniva tutto il contrario con l'introduzione del principio di revocabilità in qualsiasi momento, laddove chi veniva eletto dal popolo non rispettava la volontà delle masse. Invece i parlamentari dell'ormai defunta democrazia borghese godono di amplissimi privilegi, non avendo nessuna responsabilità penale, civile, amministrativa o patrimoniale per tali attività: e confrontando proprio con il regime costituzionale presente negli stati socialisti, rispetto ai suoi elettori essi risultano esenti dal "vincolo di mandato". Ulteriore sbarramento antipopolare è stato il varo della legge n. 140 del 2003 per cui la Camera di appartenenza del parlamentare può essere chiamata a pronunciarsi sul fatto che un determinato comportamento rientri o meno nell'ambito di applicazione della insindacabilità, lasciando al giudice competente del procedimento contro il parlamentare soltanto un "mero dissenso" sollevando un dispendioso (e dagli esiti incerti) conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale. L'insindacabilità relativa al periodo in cui era nell'esercizio delle funzioni (quindi, in sostanza, per le opinioni e per i voti che ha espresso nella sua qualità di parlamentare) rimane anche dopo la fine del periodo parlamentare. Successivamente al tifone di Tangentopoli di inizio anni Novanta, dove emerse tutto il marciume della classe dominante borghese, nel 1993 intervenne la già richiamata riforma costituzionale (la n. 3/1993), che escluse dall'immunità parlamentare il caso in cui un deputato dovesse essere perseguito in virtù di una sentenza di condanna passata in giudicato È proprio quest'ultima modifica che vorrebbe reintrodurre il governo del neoduce Berlusconi: in questo caso il Mussolini di Arcore sa benissimo che la controriforma dell'immunità parlamentare coinciderebbe con l'assoluta impunità per le eventuali condanne per i diversi processi cui è implicato, da quello Mills al lodo Mondadori, riapertisi vorticosamente dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul lodo Alfano. Una immunità pari a quella dei parlamentari europei, che, secondo il fascista Fini, "non deve destare scandalo" ma che in realtà è parte integrante del prossimo golpe giudiziario, cianciato subdolamente, dal nero esecutivo di palazzo Chigi, come "riforma della giustizia" e che, riprendendo le fila della controriforma Castelli del 2002, prevede, tra l'altro, la separazione delle carriere fra magistratura giudicante e inquirente, l'abolizione della progressione automatica delle carriere, la "riforma'' del sistema elettorale del CSM, il controllo da parte del governo dell'azione penale. Né più né meno il completamento del progetto piduista voluto prima da Gelli e la P2, propugnato negli anni Ottanta dal neoduce Craxi e oggi perseguito dall'esecutivo del nuovo emulo di Mussolini, Berlusconi. 18 novembre 2009 |