2.326 operaie e operai coraggiosi e determinati non si piegano al diktat di Marchionne Importante risultato del No (45,9%) al referendum di Mirafiori Vince il sì (54,1%) grazie al voto determinante di capi, capetti e quadri Riaprire le trattative. La Fiom deve rimanere in Mirafiori Come già accadde per Pomigliano, le previsioni, date per certe, sul risultato del referendum alla Fiat di Mirafiori sull'accordo separato del 23 dicembre scorso che si è svolto nei giorni 13 e 14 gennaio, si sono rivelate sbagliate e di grosso. In tanti sostenevano con sicumera che i sì avrebbero stravinto. C'era anche chi arrivava a dire, come la UILM, che i consensi all'intesa avrebbero raggiunto l'80% dei votanti. E non è che non ci fossero i motivi per sbilanciarsi verso questo esito: anzitutto lo schieramento a favore d Marchionne, composto dentro la fabbrica dai sindacati complici (FIM-CISL, UILM-UIL, FISMIC E UGL) e fuori da Confindustria e governo, dai partiti della destra e in larga parte anche della "sinistra" borghese, i mass-media di regime; il pesante e intollerabile ricatto occupazionale ripetuto fino all'ultimo minuto del nuovo Valletta (o passa l'accordo, oppure trasferisco le produzioni all'estero), ricatto vergognosamente appoggiato esplicitamente dal neoduce Berlusconi nel corso di una visita ufficiale in Germania; l'insufficiente informazione fornita ai lavoratori sul testo dell'accordo, ai quali è stato persino impedito, di fatto, di riunirsi in assemblea. Solo la FIOM ha diffuso il testo e tenuto incontri. Le cose non sono andate così. Ciò che è emerso dalle urne è un qualcosa di molto diverso e in un certo senso di clamoroso. La lettura dei dati dice infatti che i sì hanno vinto, è vero, ma si tratta di una vittoria assai stentata e risicata, rimasta incerta fino all'ultimo, ottenuta sul filo di lana grazie all'apporto determinante dei capi, capetti e quadri aziendali, che sconta l'opposizione di quasi la metà dei lavoratori e soprattutto la bocciatura da parte degli operai del montaggio e della lastratura, ossia di coloro che dovranno sopportare il maggior peso del peggioramento delle condizioni di lavoro stabilite nell'accordo separato. Gli operai hanno detto di No La partecipazione al voto è stata altissima. Su 5.431 aventi diritto hanno votato in 5.120 pari al 94,27%. Si sono espressi per il sì in 2.735 (54,1%) mentre i voti contrari sono stati 2.326 (45,9%), 59 le schede tra bianche e nulle. Ma è nel dettaglio che emerge il vero significato del risultato referendario. Al montaggio, i no sono stati 1.577 (53,2%), i sì 1.385 (46,8). Alla lastratura 423 (50,5%) i voti contrari, 414 (49,5%) quelli a favore. Alla verniciatura sono risultati, sia pure di poco, più numerosi i sì, 254 (56,4%) rispetto ai no, 196 (43,6%). I turnisti di notte, chiamati in gergo "pipistrelli": 262 sì (70,4%), 110 no (29,2%). Gli impiegati: 420 sì (95,5%), 20 no (4,5%). Una lettura di questi dati, onesta e corretta, dice che: non c'è stato alcun plebiscito a favore di Marchionne; gli operai del montaggio e della lastratura che sono poi quelli più penalizzati dall'accordo, per la riduzione delle pause, lo spostamento della mensa al fine turno, la giornata di lavoro di 10 ore, il divieto a scioperare ad esempio contro ritmi di lavoro eccessivi lesivi della salute, con coraggio non hanno piegato la testa e non hanno ceduto al ricatto padronale; alla verniciatura dove le condizioni di lavoro sono un poco migliori, e dove c'è più autonomia nello svolgimento delle mansioni, i sì e i no si sono quasi eguagliati; tra i turnisti notturni, con una paga sensibilmente più pesante rispetto ai giornalieri, il favore all'accordo è stato più elevato; è con tutta evidenza il voto degli impiegati che poi nel concreto sono in prevalenza (300 circa) capi, capisquadra, capireparto cioè uomini al comando dell'azienda, che non sono minimamente toccati dalla nuova organizzazione del lavoro voluta dalla Fiat, che hanno determinato la vittoria complessiva dei sì. Inoltre 40 impiegati sono della direzione del personale. Una sconfitta politica per Marchionne e i sindacati complici Una vittoria numerica insomma, che si traduce in un'innegabile e oggettiva sconfitta politica per il vertice della Fiat e i sindacati complici sostenitori dell'accordo separato. Perché? Marchionne non ha ottenuto il consenso desiderato e sperato, e anche tra quelli che si sono schierati per il sì ce ne sono moltissimi che non condividono l'accordo, lo hanno votato costretti dal ricatto e dal bisogno. Il risultato di Mirafiori è per l'azienda peggiore di oltre il 7% dei voti rispetto a quello, già non lusinghiero, ottenuto nel referendum di Pomigliano, quando i sì furono il 62,2% e i no 38,8%. Per contro la FIOM, l'unica che ha avversato con forza e tenacia l'accordo padronale e che la Fiat avrebbe voluto e vorrebbe emarginare e cacciare dai suoi stabilimenti, ne esce notevolmente rafforzata. Basti dire che la FIOM a Mirafiori conta solo il 13% degli iscritti, mentre gli altri sindacati firmatari complessivamente ne hanno il 37% (12 la FIM, 11 la UILM, 9 la FISMIC, 4 l'UGL). Numericamente gli iscritti alla FIOM sono 600, i voti raccolti alle ultime elezioni delle Rsu 900, i no al referendum 2.325. Difficile ignorare questa crescita di consenso degli operai di Mirafiori al sindacato dei metalmeccanici della CGIL. Che questo non sia il risultato sperato dai vertici aziendali lo si comprende bene dal tono delle dichiarazioni di Marchionne e del presidente Fiat John Elkann nient'affatto entusiastiche e che si limitano a un semplice ringraziamento verso coloro che (con la pistola puntata alla tempia) hanno votato sì. "Hanno dimostrato di avere fiducia - afferma Marchionne ipocritamente - in se stessi e nel futuro. La loro scelta rappresenta il coraggio di compiere un passo in avanti contro l'immobilismo di chi parla soltanto o aspetta che le cose succedono". "Sono grato a chi ha avuto fiducia sul futuro e nella Fiat: la loro scelta - dice Elkann - apre nuove prospettive per tutte le donne e gli uomini a Mirafiori". Nessuno dei due ricorda che i lavoratori sono stati chiamati (dall'azienda) a votare sotto ricatto, senza cioè poter scegliere liberamente come esprimersi. Nessuno dei due prende atto che, nonostante tutto, la maggioranza degli operai della catena e la quasi metà dei lavoratori di Mirafiori gli hanno votato contro. Ambedue fanno finta di non sapere che in queste condizioni la partita non è chiusa, non si può chiudere e andrà riaperta. Per quanto il vertice Fiat faccia finta di nulla, per quanto i vari Sacconi, Bonanni, Angeletti, cantino vittoria e, addirittura, auspichino di generalizzare le relazioni industriali di stampo mussoliniano imposte alla Fiat, in altre grandi aziende, in altri settori, il risultato del no è andato oltre ogni più rosea aspettativa, ha dell'incredibile date le circostante in cui si è determinato; tutti ci dovranno fare i conti. Noi applaudiamo le operaie e gli operai che hanno avuto questo coraggio e questa determinazione. Ringraziamo il 27delegati e i 190 iscritti della FIOM di Mirafiori che, riuniti in comitato, hanno portato avanti le ragioni del no. Un ringraziamento che va esteso al gruppo dirigente della FIOM che ha avuto la forza di non firmare e di avversare con forza l'intesa padronale. Per la FIOM è un risultato straordinario Anche i vertici dei sindacati complici non hanno fatto salti di gioia. Nei loro comunicati hanno tenuto i toni bassi, trincerandosi dietro degli slogan del tipo "abbiamo salvato il lavoro", "abbiamo dato una prospettiva a Mirafiori", "ora l'azienda da domani dia il via al piano industriale" senza ricordare che per tutto il 2011 tutti i lavoratori saranno messi in cassa integrazione. Di grande soddisfazione invece il giudizio della FIOM. "Quello di Mirafiori - ha detto a caldo il segretario generale, Maurizio Landini - è un risultato straordinario e inaspettato... Alla luce di questo risultato sarebbe un atto di saggezza da parte di Fiat, riaprire una trattativa vera, perché le fabbriche, per funzionare, hanno bisogno del consenso dei lavoratori, ed è evidente che l'Azienda non ce l'ha. Il sindacato e i lavoratori vogliono l'investimento, ma vogliono anche continuare ad avere diritti e dignità". "Se c'è un sindacato - ha concluso - che, con questo voto dimostra di essere rappresentativo è la Fiom". Il messaggio è chiaro: la FIOM non accetta l'accordo nemmeno, e a maggior ragione, dopo il risultato referendario, non metterà nessuna "firma tecnica", la lotta prosegue per riaprire le trattative e per trovare un nuovo accordo non lesivo dei diritti e delle libertà sindacali degli operai. Il presidente della CC della FIOM, Giorgio Cremaschi, sostiene le stesse posizioni quando afferma che: "la maggioranza degli operai di Mirafiori ha fatto un atto di coraggio. È stata una sconfitta politica per Marchionne, il voto dà forza a tutti noi e andremo avanti per rovesciare l'accordo-vergogna". Non sono pochi quelli che, dando validità alla striminzita ed estorta vittoria del sì, vorrebbero che la faccenda fosse chiusa qui, e l'accordo voluto da Marchionne fosse accettato anche dalla FIOM. Tra questi, oltre a governo e, il segretario del PD, Bersani. Lo stesso segretario della CGIL, Susanna Camusso, rileva la dimensione del dissenso che si è espresso nel referendum e il suo significato, ma non per rimettere in discussione l'accordo di Marchionne. A lei basta ridiscutere con Confindustria e le altre organizzazioni sindacali le regole della rappresentanza sindacale. "Il voto di Mirafiori per il quale Rsu e iscritti FIOM si sono spesi - ha detto Camusso -, dimostra che non c'è la possibilità di governare la fabbrica senza il consenso dei lavoratori e quindi nega il ritorno del modello autoritario delle fabbriche-caserme. Sappiano Marchionne e Confindustria che così non si governa. Si tratta di un voto che conferma l'esigenza di definire regole di rappresentanza e democrazia per tutti". "L'obiettivo - ha aggiunto - è raggiungere un accordo con gli altri sindacati e le associazioni di impresa sulle regole della rappresentanza e sulla democrazia". Non vi è alcun dubbio sulla necessità e l'urgenza di ridefinire nuove regole di rappresentanza e di democrazia sindacale che metta fine alla stagione degli accordi separati, che impedisca a sindacati minoritari di decidere anche per gli altri e soprattutto dia ai lavoratori il diritto di decidere, sempre e non solo quando lo decidono i padroni, sulle piattaforme e sugli accordi che li riguardano. Ma la vertenza Fiat non può essere considerata chiusa. In questo stiamo con la FIOM e con la sua volontà di proseguire la lotta. di cui lo sciopero generale del 28 gennaio prossimo fa parte, per riaprire le trattative e per affossare un accordo che peggiora le condizioni di lavoro, demolisce il contratto nazionale e demolisce diritti e libertà sindacali fondamentali. La FIOM fuori da Mirafiori? Dopo il risultato referendario è ancora più assurdo e inaccettabile! La CGIL si muova subito per indire, assieme ai "sindacati di base", uno sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi per indurre alla ragione il nuovo Valletta, Marchionne, e il nuovo Mussolini, Berlusconi. 19 gennaio 2011 |