Importante inchiesta nazionale Fiom sulla condizione dei metalmeccanici in Italia Maltrattati come cinquant'anni fa Sfruttamento, bassi salari, allungamento dell'orario, diseguaglianze per le donne, lavori ripetitivi e parcellizzati, poca sicurezza e danni alla salute, autoritarismo Cambiare politica sindacale È importante, molto importante, l'inchiesta nazionale realizzata dalla Fiom sulle condizioni di lavoro dei metalmeccanici pubblicata il 29 febbraio scorso. È importante per l'ampiezza dei lavoratori coinvolti, per i risultati ottenuti nel campo della conoscenza dei problemi indagati e anche perché smaschera tante favole e tante menzogne di parte padronale e non solo, sugli operai, la loro consistenza, le condizioni di lavoro, i trattamenti economici ricevuti. Un aggiornamento dei dati era in effetti necessario, visto che l'ultima inchiesta di analogo tenore risale e diversi decenni fa. Alcune cifre per capire le dimensioni davvero poderose dell'indagine eseguita. Circa 100 mila lavoratrici e lavoratori di oltre 4 mila imprese metalmeccaniche, su tutto il territorio nazionale e in tutti i comparti di settore, hanno compilato il questionario distribuito dalla Fiom. Di questi, circa 70 mila operai e 30 mila impiegati, tecnici e coordinatori; oltre 3 mila migranti, 29 mila donne, 10 mila precari, quasi 35 mila lavoratori con meno di 35 anni. Il 44% dei lavoratori che hanno aderito all'inchiesta non è iscritto ad alcun sindacato. Si tratta di un campione di massa ben rappresentativo dell'insieme degli addetti, 2 milioni circa, compresi i dipendenti delle aziende artigiane. Equivale al 40% dell'industria manifatturiera intesa complessivamente. Il quadro che ne esce, sconosciuto per i più, è agghiacciante e suscita rabbia e indignazione. Fatte le debite differenze, pare essere tornati agli anni '50 in termini di sfruttamento capitalistico, bassi salari, prolungamento dell'orario di lavoro, disagio e fatica nelle operazioni lavorative, precarietà, sicurezza e salute, autoritarismo e persecuzioni. Redditi individuali e familiari I salari dei lavoratori italiani sono tra i più bassi dei paesi dell'Unione europea. L'inchiesta conferma questo dato in modo eclatante. Il reddito netto medio mensile registrato non supera i 1.246 euro; ma c'è un 30% di metalmeccanici che percepisce un reddito inferiore a 1.100 euro al mese. In modo più specifico: un operaio guadagna mediamente 1.170 euro al mese, un impiegato poco di più, 1.370 euro. I redditi delle donne sono sempre inferiori a quelli - già bassi - degli uomini, anche a parità di orario di lavoro, di inquadramento e di anzianità. A questo proposito è interessante notare che una donna su tre (32%) non arriva a percepire 1.000 euro al mese. Assieme alle donne i più svantaggiati sono i precari che nel 60% dei casi non superano i 1.100 euro mensili. Un altro aspetto da rilevare, la differenza minima, appena 100 euro, tra quello che percepisce un operaio con meno di 35 anni (1.111 euro) e un operaio con più di 45 anni (1.225 euro) ciò a smentire la tesi fasulla secondo cui i "padri" dovrebbero cedere qualcosa a favore dei "figli". Se la situazione dei redditi individuali è quella tragica descritta, la situazione dei redditi familiari è persino più critica. L'inchiesta ha fotografato un reddito netto medio familiare di 2.125 euro al mese. Ma quasi la metà, ossia il 41% dei metalmeccanici, ha un reddito familiare inferiore a 1.900 euro al mese. Se il nucleo familiare conta tre o quattro persone il reddito procapite si aggira tra i 500 e i 700 euro. Nel Sud, è appena il caso di dirlo, vi sono condizioni peggiori: il 48% ha un reddito familiare inferiore a 1.500 euro. Sempre nel Mezzogiorno il 53% delle famiglie di un metalmeccanico sono monoreddito. Considerato che la maggioranza degli intervistati sostiene spese per l'affitto (21,4%) o per il mutuo casa (42,2%) è dura, molto dura arrivare a fine mese con simili salari. Orari di lavoro Ampie flessibilità e allungamento dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale. Uno su quattro degli intervistati (26,3%) lavora più di 40 ore alla settimana. Quanto di più non è specificato. Circa un operaio maschio su quattro (25%) lavora anche la notte; soprattutto al Sud e soprattutto tra i migranti. Il 57% degli operai maschi lavora di sabato almeno una volta al mese. I più tartassati sono i migranti i quali più spesso lavorano oltre il normale orario di lavoro giornaliero e settimanale, la notte e il sabato. I bassi salari sono una delle cause principali dell'aumento del lavoro straordinario: serve per "arrotondare" la paga. Lavoro precario Molto diffuso il lavoro precario. L'indagine parla di un 10% che in termini numerici dovrebbe aggirarsi sulle 200 mila unità. Il 25% di questi - uno su quattro - ha già avuto con l'attuale datore di lavoro tre o più contratti precari. Tra i lavoratori precari con meno di 35 anni la percentuale sale al 16%. Se il precario è donna la percentuale sale ancora fino al 20%. Questa enorme massa di precari oltre a ricevere una paga da fame è totalmente ricattabile dal padrone in relazione al rinnovo del contratto di lavoro, per giunta a tempo determinato. In maggioranza nelle categorie basse Un altro dato che esce confermato dall'inchiesta è quello relativo a un inquadramento professionale con la stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori inseriti nei livelli meno qualificati. Al 3° livello troviamo il 27% degli operai e ben il 58,8% delle operaie; al 4° livello gli operai sono il 33% mentre le operaie già scendono al 28. Anche gli impiegati tutto sommato in maggioranza sono compresi nelle categorie (impiegatizie) più basse visto che il 61% di essi non va oltre al 5° livello. E pensare che i metalmeccanici, a seguito delle lotte del '68, furono tra i primi nel nostro Paese a inserire l'inquadramento unico operai-impiegati e le mansioni a rotazione per favorire un sistema di avanzamento professionale collettivo. Il lavoro a catena Ai bassi salari, alle qualifiche poco professionalizzate, a un orario flessibile e allungato fa riscontro un lavoro ripetitivo, parcellizzato, frustrante. Le risposte sui questionari sono eloquenti: per la maggior parte (65%) - tanto più tra le donne - il lavoro è ripetitivo e molto parcellizzato, con atti e movimenti che durano meno di 30 secondi. Il 53% giudica il suo lavoro monotono. Per il 51% i ritmi sono quasi sempre elevati, dettati soprattuto da obiettivi di produzione, ma spesso anche dalla velocità di una macchina e dal controllo dei capi. Insomma l'organizzazione del lavoro detta tayloristica, a catena, estremamente parcellizzata e ripetitiva nel settore metalmeccanico non è affatto superata, come in tanti hanno spesso sostenuto. Ciò emerge anche dalla mancanza di autonomia dei lavoratori nello svolgimento del loro lavoro. Infatti, trattando di operai, più della metà può cambiare l'ordine di priorità dei compiti da svolgere; uno su tre non può cambiare il metodo di lavoro; più del 35% non può cambiare la velocità del ritmo di lavoro; l'83% non è libero di influire in maniera determinante sul proprio orario di lavoro; il 36% non ha abbastanza tempo per terminare il proprio lavoro; il 44% non è libero di decidere quando prendere le vacanze o giorni di permesso; mentre uno su quattro dichiara di non poter fare una pausa quando ne sente il bisogno. Insomma, l'operaio come appendice della macchina, e come schiavo del padrone privo del suo tempo e della sua libertà. Ciononostante le aziende pretendono dai lavoratori il rispetto di procedure di qualità (87%), l'autovalutazione della qualità (73,4%), la soluzione autonoma di problemi imprevisti (67,2%), l'apprendimento di nuove nozioni (54,5%). Rischi per la salute Forte la denuncia sui danni alla salute a causa dell'ambiente di lavoro malsano e insalubre. Il 56,5% degli operai lamenta di essere esposto a rumori molto forti, il 50,3% a vibrazioni, il 43% a polveri e sostanze chimiche. In molti casi il rischio infortuni viene giudicato elevato. Il 20% teme di potersi far male; il 12% ha paura di far male ai colleghi; il 17,3% è preoccupato di poter contrarre malattie. Ben il 40% ritiene che la propria salute sia stata compromessa a causa del lavoro. Gli operai segnalano dolori alla schiena (40,2%); disturbi a spalle e collo (34,2%); problemi all'udito (23,5%); inoltre tensione e stanchezza (27,8%), irritabilità (21,5%), ansia (19%), insonnia (14,2%), dolori allo stomaco (12%). Non vanno meglio le cose in materia di sicurezza. Un operaio su cinque non è soddisfatto delle informazioni ricevute sulla sicurezza. Uno su due non ha mai avuto contatti con il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza in azienda. Solo il 58% degli operai considera il proprio posto di lavoro a norma. Si comprende bene perché il 60% degli operai affermi di non credere di farcela a svolgere lo stesso lavoro di oggi quando avrà 60 anni, e che il 48% speri, in futuro, di poter lavorare un numero minore di ore. Intimidazioni, violenze, discriminazioni Pesante e intollerabile l'autoritarismo che vige nei luoghi di lavoro, composto di intimidazioni, violenze e discriminazioni soprattuto nei confronti dei migranti, degli operai del Sud e delle grandi fabbriche e dei più giovani e delle donne. Ecco cosa ha registrato l'inchiesta: tra i migranti il 20% ha subito intimidazioni, il 5,3% violenze fisiche da parte dei colleghi, il 27,5% discriminazioni legate alla nazionalità e il 21,7 all'etnia e alla razza, l'11,4% ha ricevuto provvedimenti disciplinari. Inoltre, il 20,7% degli operai del Sud e il 17,5% delle grandi fabbriche ha subito intimidazioni, il 7,6% ha ricevuto provvedimenti disciplinari. Tra i più giovani, il 16,4% con meno di 18 anni ha subito intimidazioni, il 6,8% violenze da parte dei colleghi, il 7,8% discriminazioni legate alle preferenze sessuali. Infine, l'11, 4% delle donne ha subito discriminazioni di genere. I dati di questa inchiesta, che sono "La voce di 100.000 lavoratrici e lavoratori", sono preziosi e rivelatori per capire la condizione operaia oggi in Italia tra i metalmeccanici, ma anche in modo molto indicativo, nell'insieme dell'industria. Sono dati che segnalano un peggioramento delle condizioni di lavoro e di trattamento economico e normativo molto forte. Sono dati che denunciano un arretramento anch'esso molto forte nel campo dei diritti sindacali dei lavoratori. Le conquiste degli anni '70 sono state progressivamente cancellate e i padroni hanno recuperato il terreno perduto nei luoghi di lavoro. C'è bisogno di riflettere, c'è bisogno di reagire. Dovrebbero farlo anzitutto i vertici sindacali confederali che certo portano gravi responsabilità di questo epilogo, per cambiare linea in materia di politica salariale, in tema di precarietà, circa la contrattazione dell'orario e dell'organizzazione del lavoro, circa la democrazia e la rappresentatività sindacale in fabbrica. Dovrebbero farlo per cambiare atteggiamento nei confronti del governo e del padronato, da concertativo a conflittuale e di lotta. Senza fare concessioni sul contratto nazionale di lavoro e il salario subordinato alla produttività. Dovrebbero farlo anche i sindacati di categoria che, con evidenza, non sono riusciti a difendere adeguatamente gli interessi dei lavoratori rappresentati. In ogni caso c'è bisogno di lavorare senza sosta per sviluppare un ampio e intenso movimenti di lotta che metta al centro gli interessi degli operai dentro e fuori la fabbrica e insieme un radicale rinnovamento sindacale. 23 aprile 2008 |