Inciucio tra Pdl e Pd Passano al Senato le mozioni convergenti di PDL-Lega e PD-UDC sulle "riforme" costituzionali La Finocchiaro disponibile alla "convenzione costituente" proposta dalla Lega e a dialogare sulla giustizia Mentre il neoduce Berlusconi continuava a tenere per il collo il parlamento, costringendolo ad occuparsi quasi esclusivamente e in via assolutamente prioritaria delle sue leggi ad personam per salvarlo dai processi, e mentre si stava preparando la grande manifestazione di Roma per chiedere le dimissioni del premier plurinquisito e sottoporsi al giudizio della magistratura, al Senato nero andava in scena alla chetichella un vergognoso inciucio tra la maggioranza e la cosiddetta "opposizione". Il 2 dicembre, infatti, l'aula di Palazzo Madama approvava due mozioni quasi identiche e convergenti, una di PDL e Lega e una di PD e UDC, che auspicano entrambe le "riforme" costituzionali da approvare in questa legislatura con "la più ampia maggioranza parlamentare", così come da sempre invoca ad ogni piè sospinto il rinnegato Napolitano, che evidentemente di questo inciucio è il gran suggeritore dietro le quinte. Le due mozioni, quella a firma di Gasparri (PDL) e Bricolo (Lega), e quella a firma di Finocchiaro (PD) e D'Alia (UDC-SVP), sono identiche per la prima metà, dove si ribadisce "l'esigenza di una revisione del testo costituzionale, in quanto alcune delle scelte compiute oltre mezzo secolo fa dai padri costituenti in materia di ordinamento della Repubblica richiedono oggi un adeguamento". Le differenze nella seconda parte riguardano più che altro certe formulazioni e certe sottolineature. Entrambe auspicano infatti "riforme" condivise "dalla più ampia maggioranza", ma quella della "opposizione" impegna il governo "a partecipare" al confronto parlamentare, mentre quella della maggioranza impegna il governo "ad incoraggiare", "sostenere", "promuovere", "favorire", "stimolare" ecc. le varie "riforme" in parlamento: in altre parole quella del PD-UDC mette più in rilievo il ruolo del parlamento, mentre quella di PDL-Lega dà la preminenza al ruolo del governo che ha sempre l'iniziativa in mano e pilota il parlamento. Entrambe partono dalla bozza Violante già approvata nella scorsa legislatura in maniera "bipartisan", e chiedono perciò la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto (con l'istituzione del Senato federale, anche per completare il federalismo fiscale già approvato anch'esso con formula "bipartisan") e il rafforzamento dei poteri del governo, vale a dire il presidenzialismo; ma la mozione Finocchiaro-D'Alia vi aggiunge ipocritamente accanto anche il rafforzamento dei poteri del parlamento e la "riforma" elettorale, per stemperare l'impronta chiaramente presidenzialista della mozione Gasparri-Bricolo, che invece nomina solo i poteri del governo. Infine, entrambe le mozioni chiedono una "riforma" dell'ordinamento giurisdizionale, ma anche qui la mozione PD-UDC, rispetto a quella PDL-Lega, per prevenire le critiche dei magistrati, vi aggiunge ipocritamente il codicillo "che tenga fermi i principi di autonomia e indipendenza che riguardi l'equilibrio complessivo tra i poteri dello Stato". Disgustoso mercimonio PDL-PD In verità per tutta la giornata si era svolto un disgustoso mercimonio tra la Finocchiaro (che evidentemente ha già archiviato la sceneggiata della legge sul "processo breve" scagliata contro il muro) e il gerarca fascio-berlusconiano Gasparri, per arrivare ad un unico testo condiviso. E ci erano arrivati ad un passo, se non fosse che la maggioranza, già infastidita dalle precisazioni sul ruolo del parlamento e sulla legge elettorale, non si fosse opposta recisamente al pur fumoso richiamo alla "indipendenza" della magistratura, fatto inserire dalla minoranza veltroniana dopo un lungo tira e molla con la maggioranza bersaniana-dalemiana. Alla fine le due cosche del Senato neofascista si sono accordate per un compromesso da officiare col più classico rito inciucista: ognuna ha votato la propria mozione mentre l'altra lasciava l'aula per non votare contro. L'IDV, che aveva presentato una propria mozione, respinta, ha parlato apertamente di "inciucio", mentre governo e "opposizione" hanno espresso una soddisfazione "bipartisan", sia pure con motivazioni e accenti diversi: "Ora può partire una fase costituente", ha gioito raggiante il presidente del Senato nero, Schifani. Più burbanzosa la soddisfazione del capogruppo PDL Gasparri, che mettendo le mani avanti ha detto "sì al confronto, ma non accetteremo veti o freni: il presidenzialismo c'è già di fatto, la gente lo sa". Mentre il suo vice Quagliariello ha avvertito il PD che dalle "riforme", condivise o no, "non si può espellere il capitolo della giustizia". Non che il PD stia dando l'impressione di essere una fortezza impenetrabile, su questo punto. Tutt'altro. Non c'è solo l'intervista di Letta al Corriere della Sera a metterlo fortemente in dubbio, con il suo clamoroso quanto compiacente assist al neoduce, a cui ha riconosciuto il diritto di difendersi anche "dai" processi; dichiarazione subito appoggiata da Bersani, mentre fino ad ieri il PD ammetteva solo che Berlusconi si doveva difendere nei processi. C'è anche la più recente intervista, sempre al CdS (ma come mai i dirigenti del PD sceglieranno sempre il quotidiano della grande borghesia milanese per le loro aperture più sbracate al cavaliere piduista e alla destra fascio-leghista?) del rinnegato Violante, da poco nominato dal PD responsabile per le "riforme" (il che è tutto un programma). Le aperture del PD al governo In questa intervista, non a caso molto apprezzata da Bondi, perché ancor più sconciamente di quella di Letta difende a spada tratta Berlusconi dalle accuse di mafia concordando con lui che "da nove giorni il futuro politico del sistema italiano sta girando intorno alle parole di un pentito di mafia", Violante conferma l'apertura del PD alla controriforma fascista e piduista della magistratura invocata dal nuovo Mussolini, affermando che il sistema italiano è fragile e "va consolidato attraverso riforme costituzionali, dentro le quali si deve rivedere anche il rapporto tra politica e giustizia". Ci sono inoltre le aperture di Bersani & C. alle leggi ammazza-processi del premier; se non al "processo-breve" e all'immunità parlamentare (che spergiurano di rifiutare, ma è tutta da vedere) almeno alle altre due che nel frattempo il neoduce ha messo in cantiere: il nuovo lodo Alfano da approvare con modifica alla Costituzione e il "legittimo impedimento", che consentirebbe a tutti i membri del governo e del parlamento di rinviare di sei mesi le udienze. Su queste due, come sulla controriforma della giustizia, non è certo un mistero che il PD, anche su pressione dell'UDC, è disposto a trattare al di là dei proclami di facciata. Non per nulla, rispolverando le mai sopite nostalgie per la Bicamerale golpista del rinnegato D'Alema, Anna Finocchiaro ha aperto alla proposta di una "convenzione costituente" avanzata da Calderoli nel dibattito al Senato sulle "riforme": "Una convenzione? È una proposta, parliamone", ha dichiarato la capogruppo piddina, aggiungendo poi per coprirsi, ma anche tradendo le inconfessabili tentazioni inciuciste: "non c'è nessuno scambio, noi siamo contrari al processo breve, ma l'unico modo per impedire le leggi ad personam sono le riforme". 16 dicembre 2009 |