Dopo quelli del PDL e della Lega per le spese folli Indagati 29 consiglieri lombardi di PD, IDV, SEL e UDC Computer e smartphone per natale, cene sushi, orchidee Dal nostro corrispondente della Lombardia L'ennesimo scandalo si è abbattuto sul Pirellone ma, questa volta, a finire nel mirino degli inquirenti sono stati i consiglieri dell'"opposizione". Dopo aver passato al setaccio i conti di PD, IDV, SEL e UDC per analizzare richieste di rimborso spese che risultavano alquanto anomale ed estranee all'attività istituzionale in Regione, i magistrati hanno deciso di indagare per peculato 29 consiglieri. L'inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, e dai pm Paolo Filippini e Antonio D'Alessio e costituisce uno sviluppo di quella che ha visto indagati per spese folli 62 consiglieri del PDL e della Lega Nord. La maggioranza degli indagati è del PD e, oltre al capogruppo Luca Gaffuri, sono coinvolti, tra l'altro, Luigi Civati che ha chiesto oltre 3.000 euro di rimborsi per corse in taxi, posteggi, biglietti ferroviari, francobolli e pernottamenti in hotel e Francesco Prina, che avrebbe utilizzato i rimborsi regionali per pagare diverse fatture a lui intestate ricevute da Enel e Telecom. Tutti i capigruppo risultano indagati: Stefano Zamponi (IDV), che aveva sempre dichiarato di essere in prima linea nella battaglia contro gli sprechi della "casta" lombarda, Chiara Cremonesi (SEL), Elisabetta Fatuzzo (Pensionati) e Gianmarco Quadrini (UDC). È indagato anche Mario Scotti (UDC), ex assessore alla Casa della giunta Formigoni. I consiglieri, non paghi del loro vergognoso stipendio di 9 mila euro netti al mese, avrebbero chiesto i rimborsi regionali per pagarsi ogni sorta di spesa personale, dai caffè agli aperitivi, alle cene sushi, ai computer, tablet e smartphone acquistati per i figli sotto natale. I vendoliani di SEL, a quanto risulta dai rimborsi, non si sono fatti mancare nemmeno le orchidee. Umberto Ambrosoli, il candidato del "centro-sinistra" alle imminenti elezioni regionali che assicurava che non avrebbe mai candidato degli indagati, ora fa retromarcia dal momento che se ne ritrova in lista sei e cerca di arrampicarsi sugli specchi parlando di un ridicolo "patto scritto" che obbligherebbe i candidati a dimettersi in caso di rinvio a giudizio. Questa è l'ennesima dimostrazione di quanto siano marce le istituzioni borghesi dell'imperante regime neofascista e federalista, un sistema che già di per sé corrompe legalmente i politicanti borghesi con stipendi e pensioni d'oro aggiunti a privilegi vari, una corruzione economica e morale che ha come scopo il consolidare il distacco tra "eletti" e "elettori" spingendo ancor di più i primi a identificare i propri interessi con quelli della classe dominante borghese regionale e nazionale a scapito delle masse lavoratrici e popolari che sborsano più soldi in tasse dirette e indirette per vederli versare poi nelle tasche di questa pletora di parassiti di "rappresentanti del popolo". 20 febbraio 2013 |