In vista dell'apertura dei tavoli concertativi col governo Insoddisfacente e ambiguo il documento unitario CGIL, CISL, UIL Aperture sull'età pensionabile, cedimenti sulla legge, scelta sbagliata sulla contrattazione "Rete 28 aprile" vota contro È il caso di ribadirlo. Archiviato il governo Berlusconi che non andava oltre al "dialogo sociale", ossia il consenso a scatola chiusa delle decisioni già prese, con l'avvento del governo dell'Unione è tornata una grande voglia di concertazione e di "patti sociali" da parte dei sindacati confederali, della Confindustria e dello stesso Prodi, che lo disse chiaramente anche nel discorso programmatico presentato in parlamento. E allora c'è chi parla di "patto per lo sviluppo", chi di "patto per la produttività", chi di "patto per l'Italia" riecheggiando nel nome quello fatto da Berlusconi e Cisl e Uil con l'esclusione della Cgil nel 2002. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è espresso in questo senso. L'ultimo della serie, il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che ha invitato il governo e le "parti sociali" a fare come nel '93 sulla scala mobile e la "politica dei redditi". Bisogna riconoscere che in questa direzione un tratto di strada è già stato fatto: il "memorandum" sulle pensioni, l'accordo per il trasferimento del Tfr ai fondi pensione con il truffaldino silenzio-assenso, il benestare alla legge finanziaria 2007, il "memorandum" per controriformare il pubblico impiego, per non dire delle liberalizzazioni di Bersani. Ma non basta. Il "bello", si fa per dire, deve ancora venire. Per le prossime settimane, per i prossimi mesi è prevista infatti l'apertura di ben tre tavoli concertativi. Una decisione questa presa, pensate un po', nel corso di una "cena di lavoro" a Palazzo Chigi, tra il presidente del consiglio e i suoi ministri all'Economia, al Lavoro, allo sviluppo economico e i segretari generali sindacali Epifani, Bonanni, Angeletti. Tavoli dedicati alla politica economica e finanziaria, investimenti, competitività, flessibilità del lavoro, "riforma della contrattazione" e altro ancora, il primo; al welfare, quindi pensioni anzitutto, poi anche "ammortizzatori sociali", il secondo; infine, pubblico impiego, ossia mobilità, esodi incentivati, produttività del lavoro, strumenti di meritocrazia. Tanti argomenti, tutti molto importanti e di peso che possono avere e che avranno conseguenze di rilievo sulle condizioni di vita e di lavoro delle larghe masse lavoratrici, ma anche dei pensionati e dei giovani. A questo scopo le segreterie nazionali di Cgil, Cisl, Uil hanno messo a punto il 5 febbraio scorso un documento unitario "per il confronto con il governo". Poi presentato e approvato nei singoli direttivi confederali nazionali, non senza suscitare dissensi; per esempio in quello della Cgil dove a differenza di "Lavoro e società" che ha aderito, i membri che fanno capo a "Rete 28 aprile" hanno votato contro, mentre Rinaldini ed altri con lui si sono astenuti. Una ulteriore ratifica al documento è avvenuta nella riunione unitaria degli esecutivi di tutte e tre le confederazioni del 2 febbraio. Da qui dovrebbe partire una consultazione più vasta tra gli iscritti e tra i lavoratori, una consultazione finta, formale, finalizzata ad ottenere un consenso acritico, giacché non c'è possibilità di modifiche sostanziali, non è previsto di votare la piattaforma elaborata dai vertici. Di che documento si tratta? Quali sono le sue caratteristiche? La piattaforma rivendicativa è chiara nelle richieste ed è adeguata ai bisogni? Epifani, Bonanni e Angeletti hanno parlato di compromesso tra le posizioni talvolta differenti delle tre confederazioni. Se questo è vero, va detto che il compromesso è stato trovato nel punto più basso e sfavorevole ai lavoratori. Il segretario della Cgil, nella relazione tenuta nel direttivo nazionale, ha detto che ha tenuto le posizioni, ma non è vero. Un altro aspetto del documento sono le ambiguità contenute in esso. Nel senso che a fronte di dichiarazioni di carattere generale, anche condivisibili, per esempio quando afferma che va potenziato il potere d'acquisto dei salari e delle pensioni, oppure deve essere cancellato lo "scalone" previsto nella "riforma" Maroni per il 1° gennaio 2008, oppure ancora deve essere contrastata la precarietà, lascia varchi o "maglie larghe", come sostiene "Rete 28 aprile", da dove possono passare cose assai spiacevoli, misure assolutamente inaccettabili. Per altro verso, si trovano delle "soluzioni" che aprono altri problemi. Da questi varchi può passare, ed è facile che passi in una logica di scambio (via lo "scalone", no alla riduzione dei coefficienti delle rendite pensionistiche) l'innalzamento dell'età pensionabile, sia pure nella forma della volontarietà incentivata. È significativo il fatto che l'emendamento presentato da Dino Greco (Cgil) per dichiarare irrinunciabile il pensionamento a 57 anni dopo 35 anni di attività e chiedere la garanzia di una pensione pubblica al 60-65% dell'ultimo salario percepito, sia stato bocciato. In ogni caso, a proposito delle ambiguità, non si chiede chiaramente la cancellazione dello "scalone" ma il suo superamento, forse con scalini intermedi. Un altro varco è rappresentato dalla rinuncia a chiedere l'abrogazione della legge 30, dove può passare ed è facile che passi qualche modifica di essa, con il riconoscimento di alcuni diritti per i parasubordinati, lasciando intatta la sua impostazione di fondo che ha portato alla precarietà di massa. Ancora: l'istituto del contratto nazionale ne esce indebolito; ciò favorendo la contrattazione di secondo livello con agevolazioni fiscali alle imprese che siglano contratti aziendali. Tutto ciò risulta comprensibile e conforme all'impostazione politica di fondo di stampo cogestionario data al documento sintetizzata nel "mettere al centro della propria iniziativa e al centro delle scelte del paese il tema della crescita economica e sociale" e che rappresenta "il primo punto di confronto tra sindacati, Governo e imprese". Della serie: l'"azienda Italia" viene prima e i bisogni dei lavoratori dopo e di conseguenza. Questa storia l'abbiamo già sentita tante volte e si sa come è andata a finire. In una nota del 9 febbraio "Rete 28 aprile" dà notizia che non ha approvato il documento unitario proposto dalla segreteria confederale su welfare, sviluppo e pubblico impiego. "Abbiamo rifiutato - si legge - in modo netto un documento che apre la strada all'aumento dell'età pensionabile... Abbiamo rifiutato in modo netto un documento che indebolisce ulteriormente il contratto nazionale". Alla riunione congiunta dei direttivi delle tre Confederazioni, il documento unitario ha ricevuto quattro voti contrari: due dei metalmeccanici (Giorgio Cremaschi e Jole Vaccargiu, uno dei chimici Carlo Carelli, uno della Federazione dei lavoratori della conoscenza (Flc) Mimmo Rizzuti. Astenuto il segretario generale della Uilm Antonino Regazzi. La parola deve ora passare agli operai, ai lavoratori, i quali in assemblea generale, sull'esempio degli operai della Fiat Mirafiori quando contestarono i tre segretari generali confederali, si devono far sentire, non devono rinunciare a criticare queste posizioni e ad ottenere delle modifiche, devono chiedere che si voti sulla piattaforma, devono avere la garanzia che le ipotesi di accordo siano poi sottoposte al loro giudizio vincolante. 21 febbraio 2007 |