L'Ires-Cgil mette a confronto i modelli contrattuali Con la proposta della Confindustria i salari perdono quasi 2 mila euro Interessante, davvero interessante lo studio condotto dall'Ires-Cgil su "Salari e contrattazione-Modelli a confronto" illustrato alla stampa nelle sede nazionale della Cgil di Corso Italia (Roma) il 2 ottobre scorso. Da esso emerge che applicando l'ipotesi d'accordo avanzata da Confindustria come nuovo modello contrattuale, il salario di un lavoratore dipendente perderebbe cumulativamente, nei prossimi quattro anni, circa il 2,7% del suo valore, ossia 1.914 euro. A determinare questo taglio sono le due richieste di Confindustria, contenute nel suo documento, di depurare dal tasso d'inflazione previsionale, cui ancorare i futuri incrementi economici contrattuali, il differenziale energetico importato, pari a circa un punto percentuale dell'inflazione e quella di partire da un valore economico del punto di inflazione alla base degli aumenti contrattuali, più basso di quello attuale. Se i salari infatti, pur decurtati del valore punto, si incrementassero seguendo l'indice armonizzato europeo (Ipca) e non fossero "sterilizzati" dalla voce energia la loro crescita, è la tesi dell'Ires-Cgil, risulterebbe in linea con l'inflazione effettiva aumentando del 3,6% nel 2008; del 3,2% nel 2009; del 2,8% nel 2010; del 2,3% nel 2011. Con la ricetta confindustriale invece i salari registrerebbero un aumento decisamente più contenuto: 2,4% nel 2008, cioè l'1,2% in meno rispetto all'indice europeo; il 2,5 nel 2009, lo 0,7% in meno; il 2,2 nel 2010, lo 0,6% in meno; il 2,1 nel 2011, lo 0,2% in meno. C'è il trucco nella proposta padronale di nuovo modello contrattuale. Eccolo: oggi la base di calcolo degli aumenti è definita contratto per contratto. Confindustria invece vuole una base di calcolo unica, parametrata sulle retribuzioni più basse che, per molte categorie, vuol dire a parità di inflazione molto meno salario. Poi c'è il problema dell'inflazione depurata che fa sì che i lavoratori paghino due volte i costi dell'energia: attraverso il caro vita e il mancato recupero salariale. Non è tutto. Il modello contrattuale della Confindustria risulta peggiore persino del Protocollo del 23 luglio 1993 tuttora vigente. La simulazione realizzata dall'Ires-Cgil, rivela infatti che per il periodo 2004-2008 il taglio (teorico) delle retribuzioni sarebbe stato del 2,3% pari a circa 1.357 euro cumulativi. Nel 2004, col modello vigente, i salari sono cresciuti del 2,8%, con la proposta degli industriali si sarebbero fermati al 2%. Peggio nel 2005: al +3,1% ottenuto col protocollo sarebbe corrisposto un +1,8%. E così nel 2006, 2,8% contro il 2%, nel 2007, 2,3% contro il 2% e nel 2008, +3,4% contro il 2,4% di Confindustria. Percentuali che tradotte in termini monetari equivarrebbero ad una perdita di salario di circa 1.032 euro per un metalmeccanico, di 1.465 per un lavoratore chimico e di 1.299 euro per un lavoratore del commercio. L'indagine mette in evidenza, tra le altre cose, questo dato: l'Italia è all'ultimo posto tra i paesi sviluppati in termini di potere d'acquisto delle retribuzioni. Dal 2000 al 2006 esse sono cresciute del 17%, proprio come l'inflazione. Diversamente, negli altri paesi industrializzati la crescita tra retribuzioni nominali e inflazione si è risolta a favore delle prime, in molti casi anche in modo sostanzioso. Un altro dato importante riguarda la mancata restituzione del fiscal-drag che per il periodo 2002-2008 ha prodotto una perdita media di salario pari a 1.182 euro. Considerando solo il 2008, il drenaggio fiscale comporta un aumento del prelievo per i lavoratori dipendenti di 0,3 punti per chi è senza carichi e di 0,5 punti per chi ha moglie e figli a carico. Se fosse data la restituzione del fiscal-drag ammonterebbe a 3,6 miliardi di euro. 15 ottobre 2008 |