Brogli elettorali in Kenya rivolta nelle strade Kibaki e Odinga s'incontreranno con la mediazione degli Stati Uniti Su pressione del mediatore americano inviato da Bush a Nairobi il presidente Mwai Kibaki e il leader dell'opposizione Raila Odinga si incontreranno per cercare una soluzione alla crisi aperta dopo le elezioni del 27 dicembre in Kenya segnate da brogli e seguite da una rivolta dei sostenitori di Odinga. Una rivolta repressa nel sangue dall'esercito e che ha causato secondo stime dell'opposizione almeno un migliaio di morti e oltre 250 mila sfollati. I 14 quattordici milioni di elettori keniani erano chiamati alle urne per rinnovare il parlamento, 175 amministrazioni locali e soprattutto per eleggere il nuovo presidente della repubblica in una sfida tra il presidente uscente Mwai Kibaki e il leader del Movimento democratico arancione (Odm) Odinga dato per favorito. Il presidente Kibaki era stato eletto nel 2002 e si era impegnato soprattutto a lottare contro la corruzione. Il suo governo non ha intaccato né l'alto tasso di disoccupazione, né la criminalità e la dilagante povertà; è stato invece coinvolto in ripetuti scandali legati essenzialmente a episodi di corruzione. Già alla viglilia del voto l'Odm aveva accusato il governo di aver inviato ai seggi poliziotti vestiti da rappresentanti di partito, con urne false piene di schede elettorali già votate col nome del presidente uscente. Accuse che avevano originato proteste e scontri in alcune province. Proteste che sono esplose il 29 novembre nelle province dell'Ovest e nelle baraccopoli di Nairobi quando ancora la commissione elettorale non aveva annunciato l'esito del voto che secondo alcuni sondaggi dava per vincitore Odinga. E quando il 30 dicembre il responsabile della commissione elettorale annunciava che Kibaki aveva vinto con oltre 230mila voti di margine è scattata la rivolta. Segnata anche da scontri fra le due diverse etnie rappresentate dai due candidati. Gli osservatori dell'Unione Europea esprimevano dubbi sulla regolarità del voto, l'opposizione non riconosceva il verdetto e chiedeva un riconteggio delle schede "davanti però a osservatori internazionali e giornalisti". La risposta di Kibaki era l'immediato giuramento quale nuovo presidente. La rivolta delle opposizioni si estendeva in gran parte del paese. L'1 gennaio nelle principali città del Paese era imposto il coprifuoco e a Nairobi la polizia avvisava che avrebbe sparato a chiunque lo avesse violato. Le vittime degli scontri erano già diverse centinaia. Il 3 gennaio con l'esercito schierato per le strade delle principali città le opposizioni annullavano le manifestazioni ma continuavano a chiedere l'annullamento del voto. Il procuratore generale del Kenya offriva la possibilità dell'apertura di un'inchiesta indipendente sulle operazioni di voto e il riconteggio delle preferenze. L'opposizione però chiedeva la ripetizione del voto e nel frattempo le dimissioni di Kibaki. Maggiore ascolto aveva l'intervento degli Usa con Bush che inviava nel Paese Jandayi Frazer, vicesegretario di Stato incaricato degli Affari africani. L'imperialismo americano ha interesse a mantenere un Kenya amico e sufficientemente stabile confinante con Somalia e Sudan, un alleato sicuro assieme all'Etiopia per sviluppare il suo controllo nell'Africa orientale e contenere l'espansionismo della rivale Cina. Su pressione della Frazer, Kibaki e Odinga accettavano di incontrarsi. Anche se le posizioni restavano lontane. Il presidente Kibaki apriva all'ipotesi di un governo di unità nazionale in cui far entrare anche il Movimento di Odinga; il quale però rispondeva picche chiedendo l'annullamento del voto e la ripetizione delle elezioni entro tre mesi. 9 gennaio 2008 |