La storia del PMLI dal settembre 1967 al dicembre 1985 di Giovanni Scuderi Qui di seguito iniziamo la pubblicazione del Capitolo VII dal titolo originale La lunga marcia organizzativa del PMLI del Rapporto presentato dal compagno Giovanni Scuderi al 3° Congresso nazionale del PMLI, svoltosi a Firenze nei giorni 27-28-29 dicembre 1985. In quel Rapporto il Segretario generale del PMLI dedicava un intero capitolo a ripercorrere e approfondire l'inedita storia della gestazione, nascita, costruzione e sviluppo del Partito marxista-leninista in Italia. "Attraverso una minuziosa ed educativa ricostruzione storica dei diciotto anni di lotta - si legge nella Mozione sul Rapporto - per la costruzione del Partito marxista-leninista italiano, il Rapporto ha mostrato non solo i caratteri originali e le condizioni del tutto straordinarie che ne hanno segnato la nascita ma soprattutto che il PMLI è il prodotto maturo dell'esigenza storica del proletariato italiano di avere il suo partito per conquistare il potere politico. La lotta per il socialismo in Italia è la lotta per la costruzione del PMLI questa è la peculiarità della rivoluzione socialista italiana. Una costruzione che assume il carattere di una lunga marcia organizzativa la cui conclusione annuncerà l'imminente insurrezione". Studiare o ristudiare questa storia aiuterà i nuovi e i vecchi militanti, i simpatizzanti e i lettori a comprendere appieno il cammino percorso e quello che ci rimane da percorrere e a impadronirsi sempre più di un patrimonio inestimabile di idee e di esperienze che ha valore solo se continuerà a vivere tutti i giorni e ad arricchirsi nella vita interna, nell'azione di radicamento e nella grandiosa battaglia strategica dei marxisti-leninisti per l'Italia unita, rossa e socialista. Ci aiuterà a preservare il PMLI da qualsiasi tipo di attacco intentato dai nemici esterni e interni e a renderlo un Gigante Rosso anche nel corpo. Ogni tipo di rivoluzione ha bisogno del suo partito di avanguardia. La rivoluzione democratico-borghese, la rivoluzione antimperialista, la rivoluzione di liberazione nazionale possono attuarsi e raggiungere la vittoria anche sotto la direzione di partiti rivoluzionari borghesi. La rivoluzione socialista, poiché il suo compito fondamentale e immediato è quello di condurre al potere la classe operaia, può esistere e trionfare solo se è guidata da un autentico e forte partito proletario rivoluzionario. Per questo motivo è stato fondato il Partito marxista-leninista italiano. Ma come siamo giunti a questa scelta? Quali ostacoli abbiamo dovuto superare per arrivare fin qui? Qual è il percorso che ci sta ancora davanti e cosa dobbiamo fare nell'immediato per diventare un grande partito proletario capace di guidare la classe operaia e le larghe masse popolari nella lotta quotidiana contro il governo e la barbarie capitalistica e nella rivoluzione socialista? Troveremo le risposte a queste domande ricordando la storia del PMLI. È questo il momento per farlo pubblicamente in modo che tutti i militanti del Partito abbiano una visione complessiva e unitaria della storia del PMLI, le masse rivoluzionarie uno strumento in più per conoscere, valutare, appoggiare e amare il Partito, e infine perché il Congresso abbia la possibilità di inserire il bilancio critico e autocritico del lavoro svolto dal CC in questi ultimi tre anni nel quadro generale della storia e della vita del Partito. La storia la fanno le masse non i dirigenti e i singoli individui. Anche la storia del PMLI è il frutto di un'opera collettiva di un coraggioso e intrepido drappello di pionieri che si è completamente votato alla causa del Partito, del proletariato e del socialismo. Questo drappello aspira a divenire un grande esercito proletario rivoluzionario perché solo così il PMLI potrà incidere profondamente nella realtà italiana e assolvere con successo a tutti i suoi compiti rivoluzionari. Ostacoli enormi sono stati superati, battaglie difficili e complesse sono state affrontate, difficoltà tremende hanno messo a dura prova la resistenza dei militanti del Partito. Sono passati 18 anni da quando alzammo la bandiera del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, eppure non siamo che all'inizio della storia del PMLI. Il più è davanti a noi, ancora tutto da scoprire e costruire. La storia del PMLI non si esaurirà mai, ogni giorno viene sviluppata e arricchita da nuove esperienze, da nuovi apporti di pensiero e di azione. Nuove generazioni di marxisti-leninisti prendono orgogliosamente posto accanto ai fondatori del Partito e insieme scrivono delle stupende pagine di dedizione alla causa comune. Quando la storia del PMLI sarà scritta del tutto vorrà dire che il Partito si sarà già estinto, perché in una certa fase del comunismo non ne avremo più bisogno. A quel punto l'umanità avrà raggiunto un tale grado di emancipazione che potrà fare a meno del Partito, oltreché dello Stato. La storia del PMLI è un patrimonio prezioso che appartiene a tutti i militanti del Partito: ai membri effettivi come ai membri candidati, ai dirigenti come ai compagni di base, ai membri fondatori come agli ultimi arrivati. Non solo. Essa appartiene anche al proletariato perché è parte integrante della storia generale del movimento operaio italiano. Bisogna conoscere la storia del PMLI non tanto e non solo per avere una maggiore cultura rivoluzionaria, quanto per metterne a frutto le esperienze e per arricchirla ulteriormente col proprio apporto personale di pensiero e di azione tutelandone l'impronta e l'ispirazione originarie. Chi ha dato la luce al Partito e lo ha introdotto nell'arena politica indubbiamente ha acquisito un merito storico irripetibile e imperituro, ma anche chi si è affiancato e si affiancherà successivamente ai fondatori impegnandosi nella titanica opera di costruzione e sviluppo del Partito compie un'eccezionale opera rivoluzionaria che rimarrà immortale. La storia del PMLI non può e non deve essere patrimonio di pochi e solo di coloro che l'hanno vissuta fin dall'inizio. Essa deve essere trasmessa ai nuovi militanti affinché le esperienze accumulate, le lotte e i problemi affrontati nel passato diventino patrimonio collettivo e fonte di insegnamenti per risolvere i nuovi problemi. Per capire fino in fondo il PMLI ed essere un suo buon militante, bisogna conoscerne la storia, ispirarsi ad essa e innestare la propria esperienza personale in quella collettiva del Partito. Far circolare e tenere viva la storia del PMLI all'interno delle varie istanze è anche un modo per amalgamare tutto il Partito, evitare che si crei un distacco tra una generazione e un'altra di militanti, che si cominci daccapo ogni volta che nasce una nuova organizzazione locale di Partito, che si ripetano errori già corretti, che si consideri il passato come ininfluente sul presente, che si disperdano col tempo delle esperienze e delle conoscenze molto importanti, i sentimenti e lo spirito rivoluzionari e lo stile di lavoro fatto di semplicità, modestia, sacrifici e concretezza della prima ora. L'origine storica del PMLI ha una propria pecularità e originalità che non ritrova precedenti e riscontri nella storia di altri partiti del proletariato del passato e del presente, in Italia e all'estero. Anzitutto perché il PMLI non è nato per iniziativa o col concorso del movimento operaio internazionale, e nemmeno da una scissione del vecchio partito della classe operaia. Esso trae le sue origini dalla libera scelta, dall'iniziativa e dalla determinazione di quattro giovani rivoluzionari di Firenze di provenienza cattolica (Lucia, Mino Pasca, Patrizia Pierattini e Giovanni Scuderi) e di altri tre che hanno successivamente tradito. Un fatto inedito che dimostra quanto sia forte e superiore il marxismo-leninismo-pensiero di Mao rispetto all'idealismo e alla metafisica. Nessuno di essi aveva avuto un'esperienza politica in precedenza. Salvo colui che sarebbe poi divenuto il Segretario generale del Partito che dal '59 al '64 aveva militato nella corrente di sinistra della DC battendosi prima per l'avvento del "centro-sinistra" e successivamente per il dialogo e la collaborazione governativa col PCI. "l'Unità'' riporterà con rilievo i motivi della sua uscita dalla DC. L'estrazione cattolica dei primi quattro pionieri del Partito non deve meravigliare eccessivamente poiché gli stessi Marx ed Engels prima di diventare comunisti praticavano ed esaltavano il cristianesimo. Dice Mao che un sasso non potrà mai diventare un pulcino, ma l'uovo sì. Questo vuol dire che chiunque, purché non sia un sasso, cioè refrattario a ogni ricerca della verità, può sempre e in qualsiasi momento trasformare la propria concezione del mondo e diventare un marxista-leninista. In astratto, l'estrazione cattolica dei primi quattro pionieri del Partito poteva compromettere l'impianto ideologico, organizzativo e politico del Partito, in realtà l'abiura del cattolicesimo è stata così radicale che ha costituito l'elemento propulsore affinché il Partito si fondasse saldamente sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Il pensiero di Mao e la Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina, che era scoppiata proprio nel periodo in cui essi maturavano la loro scelta di classe, sono state le cause esterne determinanti che hanno attratto questi compagni nelle fiamme della rivoluzione e del comunismo. Abbandonando e criticando la vecchia concezione del mondo, essi hanno dato un grande contributo perché il Partito si radicasse profondamente nel materialismo storico e nel materialismo dialettico. Il taglio col passato è stato netto e rigoroso in modo che non fosse consentito all'interno del Partito alcuna presenza e influenza idealista e religiosa. Tanto è vero che nel secondo comma dell'articolo 12 dello Statuto del PMLI c'è scritto che "Non può essere membro del Partito... chi ha o professa una religione o una filosofia non marxista''. La seconda caratteristica del Partito è che esso è nato e si è forgiato nella lotta, a volte anche fisica, contro il revisionismo, il trotzkismo e l'opportunismo di vario tipo aperto o mascherato. La storia del PMLI è fondamentalmente la storia della lotta tra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il revisionismo moderno in Italia. Una lotta titanica che si svolge ancora oggi, nelle condizioni in cui il rapporto di forze è estremamente sfavorevole al nostro Partito. Eppure i fatti dimostrano che questa lotta si può vincerla purché non si abbandoni l'arena, si tenga in pugno l'iniziativa, e si sappia trovare le forme e i mezzi per indebolire l'avversario e legarsi alle masse. La presenza, l'azione, la linea, la struttura, i metodi di lavoro e la storia del più grosso partito revisionista del mondo capitalistico rappresentano il modello negativo a cui il PMLI non intende in alcun modo rifarsi. Il PMLI avanza quanto più si allontana da questo modello, quanto più riesce a smascherare il gruppo dirigente del PCI, quanto più espelle dalle proprie file ogni influenza e scoria revisionista. La terza caratteristica fondamentale del PMLI è che esso si è fatto da solo, contando sulle proprie forze sul piano economico e su quello politico senza chiedere aiuto all'estero. Contare sulle proprie forze è un principio marxista-leninista cui il PMLI ha sempre tenuto fede e lo farà anche in futuro, anche se ciò non significa rifiutare e non ricercare un sostegno internazionalista e dalla propria classe. Attenendosi a questo principio il PMLI ha saputo salvaguardare a livello internazionale la sua indipendenza, autonomia e sovranità, evitando così di essere strumentalizzato e poi gettato via una volta utilizzato da parte dei revisionisti cinesi e albanesi. Quando abbiamo iniziato la lotta per il Partito non avevamo né una penna né una sedia né un pennello né una sede. Successivamente abbiamo preso in affitto un fatiscente locale di quattro stanzette abitato dai topi, dagli scarafaggi e dai ragni, da noi "restaurato'' durante le ferie estive del '68. Ci siamo tolti il pane di bocca per dare un organo di stampa e un minimo di attrezzatura al Partito e quando abbiamo potuto abbiamo dato una mano ai partiti fratelli in maggiore difficoltà di noi. Tuttavia questa estrema povertà, che purtroppo perdura tuttora, ha pesato e pesa gravemente sullo sviluppo del Partito. Se per esempio avessimo avuto e avessimo dei quadri totalmente a disposizione certamente la costruzione e l'espansione del Partito su scala nazionale avverrebbero più rapidamente e con minori intoppi, ansie e tribolazioni. Tutto sommato però l'originalità della nascita del PMLI costituisce la sua forza e una garanzia del suo sano sviluppo. Lo scenario internazionale e nazionale negli anni in cui i primi pionieri muovono i primi passi per il Partito La storia del PMLI ha inizio in un periodo di grandi sconvolgimenti in Italia e nel mondo. Questi sconvolgimenti diventeranno la causa esterna della nascita del PMLI e ne determineranno il carattere, lo spirito e i lineamenti. In quel periodo, siamo negli anni che vanno dal '67 al '69, si assisteva a una travolgente avanzata della Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina. Già da un anno questa rivoluzione era in corso. Essa sconvolgeva non solo la Cina ma tutti i 5 continenti. Si trattava di un eccezionale avvenimento storico, tipo quello dell'Ottobre russo le cui cannonate arrivarono rapidamente in tutto il mondo. Anche la Rivoluzione culturale si ripercosse in tutta la Terra con l'impeto della valanga e la forza del fulmine. Questa rivoluzione, che è stata elaborata, voluta, organizzata e diretta dal presidente Mao per impedire che in Cina fosse restaurato il capitalismo, ha incoraggiato la lotta di tutti i popoli del mondo e permesso che il pensiero di Mao dilagasse in tutto il pianeta. Dovunque si sviluppavano lotte di massa, popolari, giovanili, e guerre di liberazione nazionale, là i combattenti studiavano Mao e innalzavano il suo ritratto. In Asia, Oceania, Africa, America latina, Europa occidentale e nella stessa America del Nord. La Rivoluzione culturale è stata il messaggero e il propagandista del comunismo e del marxismo-leninismo-pensiero di Mao in tutto il mondo. La Lunga marcia aveva propagandato il marxismo-leninismo in Cina, la Rivoluzione culturale diffondeva il pensiero di Mao in Cina e oltre la Cina, ovunque. Non c'era giorno che i mass-media dei vari paesi non parlassero della Rivoluzione culturale, spesso in prima pagina, di questo straordinario avvenimento, unico nella storia del mondo. Niente di simile vi era stato prima. Mai una rivoluzione era avvenuta nelle condizioni della dittatura del proletariato. La Grande rivoluzione d'Ottobre fu una rivoluzione degli sfruttati e oppressi contro gli sfruttatori e gli oppressori per conquistare il socialismo. La Grande rivoluzione culturale proletaria fu una rivoluzione del proletariato, delle masse popolari, della gioventù rivoluzionaria, dei marxisti-leninisti contro la borghesia e i revisionisti annidati nel Partito e nello Stato che tentavano di restaurare il capitalismo. Fu perciò una rivoluzione per difendere il socialismo e impedire che le vecchie classi sfruttatrici spodestate riconquistassero il potere politico. La Rivoluzione culturale ha visto in primo piano i giovani, ragazze e ragazzi, che si chiamavano Guardie Rosse. Questo fatto senza precedenti per quanto riguarda la rivoluzione socialista fu un avvenimento clamoroso che influenzò enormemente la gioventù mondiale. Gli studenti cinesi chiusero per alcuni anni le università e le scuole e si sparsero per tutta la Cina con mezzi di fortuna e senza badare a sacrifici per propagandare la Rivoluzione culturale e sollecitare le masse contadine a rovesciare la borghesia e i revisionisti dai posti di potere che avevano usurpato nel Partito e nello Stato. La Rivoluzione culturale svolge un ruolo determinante in Cina e all'estero per far prendere coscienza a livello di massa della natura borghese, antimarxista e controrivoluzionaria del revisionismo moderno. La lotta tra marxismo-leninismo e revisionismo moderno, iniziata personalmente da Mao fin dal 1956, subito dopo il colpo di Stato kruscioviano, subisce un salto di qualità e appare ora chiaramente in tutta la sua importanza e portata storica e politica. Le masse cinesi, anzitutto, ma anche quelle internazionali, capiscono che la lotta tra i marxisti-leninisti e i revisionisti è una lotta tra il proletariato e la borghesia, tra la rivoluzione e la controrivoluzione, tra la via socialista e la via capitalista. È una lotta di classe. L'esempio delle Guardie rosse suscita grandiose lotte delle masse studentesche in tutta l'Asia. Da queste lotte vengono fuori i nuovi Partiti marxisti-leninisti del Sud-Est asiatico che in alcuni casi si porranno alla testa delle rivoluzioni che scoppiano nei rispettivi paesi. Nuovi Partiti marxisti-leninisti nascono in tutti i continenti, anche in occidente. La strepitosa avanzata della guerra di liberazione nazionale del Sud Vietnam costituiva un altro elemento che sconvolgeva il mondo allargando le simpatie e i consensi verso il socialismo e riducendo quelli verso l'imperialismo. Essa dimostrava che un piccolo popolo anche se male armato purché sia unito e deciso a combattere per conquistare la propria libertà può fronteggiare e sconfiggere un paese più grande e più forte finanche la più grande potenza del mondo, gli Stati Uniti d'America. Di fronte alla guerra di aggressione e sterminio praticata dall'imperialismo americano si verificava ancora una volta la validità e la superiorità della guerra popolare rivoluzionaria, già elaborata da Mao e adottata e arricchita dai comunisti vietnamiti nella guerra di liberazione nazionale del popolo vietnamita. Gli ideali comunisti, la strategia e la tattica militare marxiste-leniniste, il sistema sociale socialista, l'amore per la libertà e l'indipendenza dimostrate dai marxisti-leninisti apparivano agli occhi dei progressisti di tutto il mondo quanto di più giusto vi potesse essere sulla Terra mentre l'imperialismo americano mostrava il suo volto di carnefice e di oppressore. Il Vietnam era diviso in due parti. Il Nord socialista e il Sud in mano alla reazione e all'imperialismo americano. Il popolo del Sud non accettava questa situazione e perciò sotto la direzione dei marxisti-leninisti avanzava ondata dopo ondata nella guerra popolare rivoluzionaria contro l'imperialismo americano. Non aveva paura nemmeno dei quotidiani bombardamenti a tappeto che l'aviazione americana attuava persino alla periferia di Hanoi colpendo non solo obiettivi militari ma anche civili abitazioni, opere pubbliche, industrie, ecc. L'eroica resistenza vietnamita influiva enormemente sulla coscienza dei popoli e un grande moto di solidarietà militante si era alzato in tutto il mondo. Ma non era in rivolta solo l'Est, anche l'Ovest era in subbuglio. Il Maggio francese del '68 costituisce l'avvenimento più clamoroso dell'occidente, anche se meno profondo e duraturo del '68 italiano. Il movimento studentesco francese con relativa facilità riesce a collegarsi col movimento operaio ed insieme, lottando fianco a fianco, assestano colpi mortali al regime capitalistico francese. De Gaulle scappa da Parigi temendo eventi insurrezionali, ma poi ritorna in patria e riprende rapidamente il controllo del paese approfittando dell'indecisione dei capi politici e sindacali che controllavano il movimento operaio. In pratica il partito revisionista francese non se la sente di tirare oltre la corda, di andare fino in fondo; si tira indietro, lascia soli gli studenti e frena gli operai. Anche in America del Nord si hanno delle rivolte studentesche, le prime erano già scoppiate nel 1964 all'università di Berkeley contro l'autoritarismo dei docenti, per un nuovo tipo di rapporti sociali e fra i sessi. Gli studenti americani combattono duramente e coraggiosamente anche contro la guerra nel Vietnam e contro il militarismo e la discriminazione razziale statali. Esplodono pure dei violenti e sanguinosi conflitti sociali. I neri afroamericani si rivoltano violentemente reclamando libertà, giustizia sociale, uguaglianza e potere politico. Oltre cento città degli Stati Uniti vengono spazzate dalla tempesta delle lotte di 20 milioni di afroamericani. Il presidente Mao nella Dichiarazione in appoggio alla lotta degli afroamericani rilasciata il 16 aprile 1968, subito dopo l'assassinio del pastore Martin Luther King, afferma: "La lotta degli afroamericani non è soltanto una lotta per la libertà e l'emancipazione condotta dai Neri sfruttati e oppressi, ma è anche un nuovo squillo di tromba che chiama a raccolta tutti gli americani sfruttati e oppressi perché lottino contro ii barbaro dominio della borghesia monopolistica. Essa è di grande aiuto e di grande incoraggiamento a tutti i popoli del mondo in lotta contro l'imperialismo americano, al popolo vietnamita che combatte contro questo imperialismo. A nome del popolo cinese, esprimo mio fermo appoggio alla giusta lotta degli afroamericani". In effetti le lotte dei vari popoli del mondo si influenzano e si incoraggiano a vicenda. In Italia le gesta delle Guardie rosse e del popolo cinese, la guerra popolare vietnamita, kampucheana e laotiana contro l'imperialismo americano, i movimenti di guerriglia in America del Sud, le lotte degli studenti europei, americani e del Canada e la rivolta degli afroamericani colpiscono profondamente la sensibilità, la coscienza e la fantasia delle masse studentesche in particolare. Nel '67 comincia la grandiosa stagione delle occupazioni delle università e delle lotte studentesche che raggiungono il loro apice nel '68 ma che continuarono fino al '74, specie a Milano. Tutte le maggiori università del Paese, a partire da quella di Pisa e successivamente Milano, Roma, Torino, Firenze, Bari, Palermo, Trento, ecc. ed anche le scuole medie superiori vengono investite da queste lotte senza precedenti nella storia studentesca e giovanile italiana. I professori, i "baroni" dell'università, vengono contestati e cacciati via dai loro posti di insegnamento, vengono messi in discussione l'ordinamento scolastico e universitario, i metodi di studio, le materie di insegnamento, gli esami, l'autorità dei docenti e i rapporti tra costoro e gli studenti. Gli studenti vogliono contare, avere parola per quanto riguarda gli esami, le materie di studio, i compiti, il tipo e le forme di insegnamento. Si trattava di movimenti, non di piccoli gruppi ma di grandi masse. La parte più attiva e combattiva si aggrega rapidamente e fa delle università e delle scuole delle roccaforti rivoluzionarie, dei centri organizzativi delle battaglie studentesche e sociali. Gli studenti diventano i padroni delle scuole e delle università. Per la prima volta dentro queste istituzioni entrano la politica rivoluzionaria e i raggruppamenti che si ponevano a sinistra del PCI. Si trattava di un avvenimento colossale e inimmaginabile fino ad allora. Tutte le vecchie organizzazioni studentesche, comprese quelle controllate dal PCI e dal PSI, in un sol colpo vengono spazzate via e ancora oggi nessuno è riuscito a ricostruirle. Analoga sorte accade alle organizzazioni giovanili dei partiti parlamentari, la FGCI si sfascia completamente e quando negli anni successivi verrà ricostituita non avrà più lo stesso smalto di prima. Ancora oggi non ce la fa a riprendere il controllo degli studenti e in genere dei giovani. Le vecchie organizzazioni studentesche vengono liquidate in quanto ritenute sorpassate, organismi appartenenti al vecchio mondo, al vecchio modo di fare politica, delle istituzioni borghesi di carattere parlamentare, delle gabbie che impediscono al movimento studentesco di liberare tutte le proprie energie e di assaltare l'ordinamento statale borghese e il sistema capitalistico. Gli studenti rivoluzionari e progressisti sentono il bisogno di aria nuova, di nuove strutture aggregative, di una nuova linea politica, di nuove esperienze. Ecco allora che inventano l'Assemblea generale, nuovi metodi di lotta, quale l'occupazione permanente dell'università, e scoprono il valore e il significato della democrazia diretta. Le fonti di ispirazione sono la Comune di Parigi, i soviet e i comitati rivoluzionari della Rivoluzione culturale. Alcune istanze del movimento studentesco vengono fatte proprie dagli operai. È il caso, per esempio, della democrazia diretta e dell'Assemblea generale. I consigli di fabbrica infatti nascono dall'"autunno caldo" del '69. I colpi più duri gli studenti li indirizzano verso il partito revisionista ai cui dirigenti è proibito finanche di mettere piede nelle università. Il PCI è attaccato perché tenta di frenare le lotte studentesche e perché non vuol fare la rivoluzione. Molti e prolungati sono gli sforzi degli studenti per collegarsi col movimento operaio ma il vertice revisionista del PCI li ostacola e li sabota in mille modi per paura di perdere l'egemonia del movimento operaio e per impedire che lo spirito, i metodi e la linea della ribellione studentesca penetrassero dentro di esso. Gli studenti lottano non solo per sé, per le proprie rivendicazioni, ma anche per la libertà, la democrazia, la giustizia sociale, contro il governo democristiano e il capitalismo. Reclamano con forza il socialismo. Essi appoggiano attivamente la classe operaia e le masse popolari. Si uniscono alle grandiose manifestazioni di solidarietà ai braccianti di Avola (dicembre '68) e alla popolazione di Battipaglia (11 aprile '69). Nell'"autunno caldo" scendono in lotta a fianco della classe operaia in lotta per il rinnovo dei contratti di lavoro ('69-'70). Grande è il loro impegno contro la strage di Milano (12 dicembre '69), il terrorismo di Stato, la fascistizzazione e i tentativi golpisti. Lottando contro questi mostri e per la libertà del Vietnam molti eroici studenti finiscono in carcere e alcuni cadono gloriosamente nelle piazze assassinati dalla polizia. Dal 1967 al 1971, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, dure lotte di piazza si svolgono quasi ogni giorno senza soluzione di continuità. L'ondata lunga del '68 arriva fino al '74 quando il movimento studentesco di Milano è ancora in grado di mobilitare 100 mila persone nell'anniversario dell'assassinio di Franceschi da parte della polizia. Questo nonostante l'opportunismo del cattolico Capanna ed altri che manovravano per coprire a sinistra il PCI, se non addirittura il PSI. Clamorosa a questo proposito è la rivelazione che ha fatto Formica al recente Convegno di Milano sul '68 organizzato da DP. Senza essere smentito dall'interessato, egli ha detto apertamente: "Io ho conosciuto Capanna all'inizio degli anni '70 al congresso nazionale della Federazione giovanile socialista italiana. Capanna parlò a modo suo esprimendo le sue idee: io non criticai Capanna, criticai quelli che volevano sopravanzare Capanna nel Congresso della FGSI. Io dissi 'Capanna fa bene quello che fa e ciò che dice, forse ha una funzione democratica importante di canalizzare e di fissare sul terreno democratico, del resto l'ha fissato sul terreno istituzionale, questo è un grande merito; ha fissato delle proteste disperate nell'interno della società italiana'''. L'influenza del pensiero di Mao - nonostante i giochi riformisti e parlamentaristi di tali imbroglioni e opportunisti - è enorme fra gli studenti che lo studiano collettivamente e durante le manifestazioni innalzano giganteschi ritratti di Mao oltreché quelli di Marx, Lenin e Stalin. Il movimento studentesco di Milano, in particolare, aveva adottato ufficialmente il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e quando scendeva in piazza era inquadrato dietro le insegne dei grandi maestri del proletariato internazionale. Il suo grido di lotta era "Viva Marx, viva Lenin, viva Mao e viva Stalin", gli studenti gridavano "Viva Stalin, terrore dei borghesi, dei fascisti e dei trotzkisti". In quel periodo si viveva in una situazione incandescente, esplosiva, rara nella vita di un popolo. La rivolta delle masse studentesche, in particolare, ma anche le lotte dei braccianti, degli operai, delle masse del Sud, inflissero un colpo mortale alla stabilità politica italiana. La formula governativa del cosiddetto "centro-sinistra" che aveva resistito, sia pure con alterne vicende, per ben 6 anni, entra definitivamente in crisi e fa saltare ogni illusione circa la collaborazione governativa tra DC e PSI, che pure era stata attuata dopo furibonde lotte all'interno della DC e della stessa chiesa cattolica in quanto una grande parte dei cattolici e la Confindustria ritenevano che quel partito fosse "il cavallo di Troia" del PCI. Per frenare l'impetuosa avanzata dei movimenti operaio, popolare e studentesco, la classe dominante borghese, segnatamente la corrente golpista, non trovava di meglio che ricorrere agli attentati terroristici; le prime bombe le fa esplodere il 12 dicembre del '69 alla Banca nazionale dell'Agricoltura a Milano. Dopodiché seguiranno le stragi di Brescia, dell'Italicus, di Bologna ed altre. È evidente la strategia. Si vogliono creare le condizioni per giustificare un golpe che rimetta ordine nel Paese. E in effetti più volte vengono imbastiti dei golpe nessuno dei quali però va in porto grazie alle contraddizioni interne alla borghesia. Avvenimenti successivi dimostrano che la centrale terroristica è ramificata negli alti piani del palazzo, ai vertici dello Stato, dei servizi segreti, dei partiti borghesi, DC, PSI e MSI in testa. Alle stragi di massa, verso il '74-'75 si sostituirà il cosiddetto "terrorismo rosso" specializzato in gambizzazioni e sequestri di personalità. Però la regia e i mandanti sono gli stessi, cambia solo la manovalanza. Non sono più solo i fascisti ad essere assoldati e strumentalizzati ma i giovani "ultrasinistri" per lo più di origine studentesca e borghese. In tal modo vengono mandati allo sbaraglio e sottratti alla rivoluzione importanti forze suscettibili di essere conquistate alla causa del socialismo. Nel frattempo operaisti di stampo socialdemocratico come Toni Negri, di origine cattolica e del PSI si fanno una fama e costruiscono le loro fortune parlamentari ingannando i giovani con la cosiddetta "autonomia operaia" e con l'avventurismo terroristico. Il '68 costituisce dal punto di vista politico, sociale e storico l'anno più importante e più caratterizzante del quadriennio di fuoco che va dal '67 al '70. Il '68 segna tutta un'epoca della nostra storia nazionale, come il '45, l'anno dell'insurrezione nazionale contro il nazifascismo, come il '60, l'anno della ribellione di piazza per cacciare il governo clerico fascista Tambroni. Solo che il '68 rispetto a qualsiasi altro periodo precedente ha la caratteristica di mettere in discussione il sistema capitalistico, in particolare la sua sovrastruttura istituzionale, culturale, morale e giuridica. Il '68 ha segnato profondamente un'intera generazione e un decennio della vita del nostro Paese. Esso ha sconvolto dalle radici abitudini, costumi, modi di pensare e di vivere, rapporti istituzionali e sociali. Comincia col '68 il periodo in cui le ragazze e le donne in generale prendono coscienza dei diritti del loro sesso e si slanciano nelle lotte per la parità dei sessi nella società, nel lavoro e nella famiglia. In questo campo si apre una nuova importante stagione. Di colpo vengono spezzati vecchi tabù civili, morali e sessuali e i vecchi rapporti familiari e di coppia. Il '68 rappresenta storicamente la prima grande ribellione di massa contro il revisionismo moderno, indipendentemente dei suoi limiti soggettivi e oggettivi. Mai prima di allora il PCI era stato contestato da sinistra da masse così larghe e decise sul piano ideologico, politico e organizzativo. Se questa lotta storica non è andata oltre e non ha raggiunto risultati superiori è perché dei revisionisti e dei trotzkisti mascherati da rivoluzionari sono riusciti a controllarla e a impedire che essa avesse uno sbocco organizzativo rivoluzionario. Non a caso la coalizione revisionista, anarchica-operaista-trotzkista infiltrata nel movimento studentesco, operaio e popolare ha speso tutte le sue energie per ostacolare la nascita e lo sviluppo di un autentico partito marxista-leninista. L'ondata progressista e rivoluzionaria si è riversata in tutte le classi sociali e in tutti gli ambienti, compreso quello cattolico dove si creano delle profonde divisioni e lacerazioni, forze notevoli di origine cattolica e persino democristiana passano al PCI, PSI, Psiup, DP e, in misura molto minore, nel campo marxista-leninista. I primi pionieri del Partito vengono anch'essi attratti in questi grandi sconvolgimenti sociali e politici e si fanno le ossa nella battaglia. Partecipano a occupazioni studentesche, alle lotte di piazza e sindacali, a manifestazioni storiche, quali per esempio la manifestazione nazionale degli studenti per il Vietnam svoltasi a Firenze il 23 aprile del '68. In quella occasione scoprono e subiscono personalmente la ferocia e i metodi repressivi della polizia, allora denominata "celere". Sono in prima linea nell'"autunno caldo" del '69, nelle manifestazioni antimperialiste, per la casa, le pensioni, Avola e Battipaglia. Il PMLI è dunque nato nella lotta contro il governo, la classe dominante borghese e il revisionismo; è nato sotto l'impulso della Grande rivoluzione culturale proletaria e del pensiero di Mao e rappresenta la continuità storica del '68. Gli straordinari avvenimenti internazionali e nazionali di quegli anni hanno marcato profondamente lo spirito e la coscienza dei primi pionieri del Partito e di quelli immediatamente successivi. Sulla base della vasta e importante esperienza di quegli anni, vedendo qual era lo strumento fondamentale che mancava alla classe operaia, alle masse studentesche e popolari, essi si ripromettono di fondare un partito autenticamente marxista-leninista in grado di dare continuità e sviluppo al '68 e al '69, di suscitare nuove ondate rivoluzionarie, di riunificare tutte le forze rivoluzionarie del Paese, di ridurre in minoranza il partito revisionista, di guidare la classe operaia e i suoi alleati storici nelle lotte quotidiane per migliorare le condizioni di vita e di lavoro, di preparare tutte le condizioni soggettive necessarie per il successo della rivoluzione socialista. In sintesi, si vuol creare un Partito che per fondamenta teoriche, linea politica, composizione di classe, pratica sociale e stile di lavoro sia totalmente differente rispetto ai due vecchi partiti della classe operaia, il PSI e il PCI. Un Partito che rifugga dal riformismo, dal parlamentarismo, dal pacifismo e dal legalitarismo, e ancori la sua azione alla lotta di classe, all'opposizione intransigente alla classe dominante borghese, al suo governo, alle sue istituzioni, al suo sistema economico e al suo ordinamento sociale, culturale e morale. Un Partito che si muova nella legalità borghese e costituzionale ma che non ne sia condizionato, e non si tiri indietro nel lavoro illegale e di fronte ai metodi di lotta di massa duri e violenti. Un Partito profondamente legato alle masse, anzitutto proletarie di cui ne rifletta lo spirito, la volontà, il carattere e gli interessi. Le tappe della storia del PMLI La storia del PMLI è un tutto unico, e si svolge senza strappi, giravolte e senza soluzione di continuità. Presente e passato sono saldamente legati e coerenti fra di loro. Il momento attuale è in continuità con quelli precedenti e ne rappresenta lo sviluppo, anche quando si registrano salti di qualità. Un filo rosso percorre tutta le vita del nostro Partito. Tuttavia per comodità di esposizione e per rimarcare i momenti fondamentali del suo corso, possiamo dividere la storia del PMLI in quattro tappe. Ogni tappa ha caratteristiche proprie e rappresenta periodi diversi della vita del Partito, ma ciascuna di esse ha ancora qualcosa da dire al Partito. Le tracce del passato si ritrovano tuttora nel presente. 1ª tappa: la ricerca del Partito La prima tappa, che possiamo definire la tappa della ricerca del Partito, va dal 29 settembre 1967 al 14 dicembre 1969. Si tratta di un breve periodo di due anni che ha però il valore di un decennio talmente è ricco di avvenimenti e di esperienza. In pratica è il periodo in cui si forma e matura il seme del Partito. È infatti proprio in questo periodo che i primi pionieri del Partito si incontrano faccia a faccia, misurandosi nella lotta tra le due linee, con i dirigenti "storici" dei maggiori gruppi sedicenti marxisti-leninisti italiani e con altri "personaggi" che avrebbero in seguito fatto parlare di sé. Sulla base della loro stessa pratica rivoluzionaria del '67, vedendo come agiva il PCI, fortemente influenzati dal pensiero di Mao e dalla Grande rivoluzione culturale proletaria e come frutto di un intenso studio del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, i primi pionieri del Partito avevano assimilato profondamente queste verità enunciate da Mao. "Se si vuol fare la rivoluzione, ci deve essere un partito rivoluzionario. Senza un partito rivoluzionario, senza un partito che si basi sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista e sullo stile rivoluzionario marxista- leninista, è impossibile guidare la classe operaia e le larghe masse popolari a sconfiggere l'imperialismo e i suoi lacché" (Forze rivoluzionarie di tutto il mondo, unitevi, combattete contro l'aggressione imperialista!, novembre 1948). La seconda verità, confermata dai fatti, dice: "Senza teoria rivoluzionaria, senza conoscenza della storia, senza una profonda comprensione del movimento nella sua realtà, nessun partito politico può guidare un grande movimento rivoluzionario alla vittoria" (Il ruolo del Partito comunista cinese nella guerra nazionale, ottobre 1938). Per quanto riguarda la teoria rivoluzionaria, non c'erano dubbi. Il marxismo-leninismo-pensiero di Mao era l'unica teoria rivoluzionaria sulla cui base si potesse costruire il Partito e il futuro del proletariato. Ma il Partito qual era, e dove era? Questo era il primo problema che i primi pionieri del Partito dovevano risolvere. Essi in un primo momento non volevano fondare un nuovo partito. Non era nei loro piani, nei loro obiettivi, nelle loro ambizioni. Sia perché si sentivano impreparati e incapaci di assolvere tale gravoso compito, sia perché sapevano, per averlo visto direttamente con i loro occhi durante le manifestazioni di massa o per averlo appreso consultando delle riviste o per sentito dire, che in Italia esistevano tanti gruppi che si ponevano a sinistra del PCI. Ma non era facile orientarsi nella scelta del partito, anche perché non tutti i gruppi avevano una sede a Firenze. E comunque era estremamente difficile catalogarli, poiché le loro posizioni erano abilmente camuffate dietro slogan apparentemente rivoluzionari e marxisti e per di più ognuno di essi si rifaceva alla Grande rivoluzione culturale proletaria e a Mao. Bisognava allora per prima cosa conoscerli e verificare la loro natura e linea alla luce del marxismo. Allo scopo viene stabilito di fare un'inchiesta sui vari gruppi, analizzando la loro stampa, non sempre di facile reperibilità, e soprattutto avendo dei contatti con essi e vedendoli all'opera durante le manifestazioni di piazza. Cominciano così una specie di giro d'Italia che tocca le città di Pisa, Livorno, Roma, Bologna, Milano, Verona, Vicenza, ecc. per rendersi conto di persona della qualità di questi gruppi. Alla fine dell'inchiesta, durata due mesi, vengono scartati tutti i gruppi che non erano per niente rivoluzionari ma anarco-sindacalisti, operaisti o trotzkisti. Si trattava di ben 12 raggruppamenti, ed esattamente: Psiup, Il potere operaio di Pisa, la Sinistra, Falcemartello, Quaderni rossi, Classe operaia, Giovane critica, Nuovo impegno, Quaderni piacentini, Classe e Stato, Che fare, Ideologie. Oggi per fortuna questi gruppi che hanno bruciato tante energie rivoluzionarie non esistono più, chi è rimasto si guarda bene però dal sostenere la rivoluzione. Superato il pericolo di cadere in tale pantano, rimaneva da scegliere tra 6 organizzazioni che si richiamavano al marxismo-leninismo. Si trattava del PCd'I (m-l), la Federazione dei comunisti marxisti-leninisti d'Italia, la Lega dei comunisti marxisti-leninisti d'Italia, la Lega della gioventù comunista marxista-leninista d'Italia, Lavoro politico, Edizioni oriente. Anche in questo settore non era facile orientarsi. A priori vengono scartate le ultime due, in quanto riviste e perché non si proponevano come partito, e le due Leghe poiché apparivano ambigue e trotzkiste. Aver scansato "Lavoro politico", il cui massimo dirigente Walter Peruzzi, ex esponente democristiano e sospetto agente provocatore della CIA, successivamente confluito in DP dopo essere stato smascherato come falso marxista-leninista, è già un fatto positivo perché della redazione di tale rivista faceva parte Renato Curcio che è stato personalmente conosciuto quando il 23 febbraio 1968 venne a Firenze per tenere una relazione al Convegno studentesco universitario nazionale organizzato dal gruppo trotzkista "Carlo Marx" e dalla redazione locale di "Lavoro politico". Rimaneva da scegliere tra il PCd'I (m-l) e la Federazione. Ma poiché i primi pionieri del Partito non riescono ad avere un incontro col primo, nonostante l'avessero richiesto il 10 ottobre 1967, entrano nel novembre del '67 nella Federazione. La risposta del PCd'I (m-l) arriverà solo dopo 4 mesi, esattamente nel febbraio del '68. La Federazione in realtà non era un'organizzazione marxista-leninista, ma trotzkista. Quando i primi 4 pionieri del Partito se ne rendono conto, esattamente nell'aprile del '68, in occasione della costituzione dei sedicenti "Comitati rivoluzionari" a Roma, la denunciano immediatamente alla base concorrendo notevolmente alla sua liquidazione. Nella Federazione i primi pionieri del Partito hanno modo di verificare lo squallore politico di alcuni "personaggi" trotzkisti, sedicenti marxisti-leninisti quali, per esempio, gli avvocati fiorentini Aldo Serafini e Renzo Del Carria che ancora oggi cercano di ingannare i giovani rivoluzionari. Conclusa in 5 mesi questa prima esperienza marxista-leninista, i primi pionieri del Partito non si danno per vinti e nel giugno del '68, contemporaneamente alla redazione di Firenze di "Lavoro politico", entrano nel PCd'I (m-l) pensando finalmente di aver trovato il vero partito marxista-leninista, confortati anche dal fatto che i massimi dirigenti di questo partito, Fosco Dinucci, Osvaldo Pesce, Livio Risaliti e Manlio Dinucci, godevano del sostegno pieno e ufficiale del Partito comunista cinese. In quel momento, tra l'altro, il PCd'I (m-l) raggiungeva l'apice della notorietà politica a livello nazionale e la sua influenza si allargava a macchia d'olio, soprattutto a livello studentesco ma anche operaio e contadino. Successivamente è apparso chiaro che tutto il suo "splendore" era unicamente dovuto al riflesso della luce che proveniva da Mao e dalla Grande rivoluzione culturale proletaria. In effetti questo partito, come dimostrano i fatti, era assolutamente incapace di dire qualcosa di nuovo e di autenticamente marxista-leninista alle masse studentesche e operaie, nonostante contasse una forza di diverse migliaia di militanti e fosse presente in tutte le regioni d'Italia e in quasi tutte le province. I primi pionieri del Partito si accorgono quasi subito che non era tutto oro quello che luccicava dall'esterno del PCd'I (m-l). Essi infatti si trovano subito di fronte a un gruppo di potere costituito da un sospetto agente del Sid, l'ex repubblichino avv. Angiolo Gracci, che spalleggiato dalla banda di Peruzzi tentava di impadronirsi dell'intero PCd'I. Costui in un primo momento cerca di strumentalizzare e corrompere i primi pionieri del Partito dando loro importanti posti di potere, ma quando i nostri compagni, che nel frattempo avevano preso in contropiede quell'avventuriero controrivoluzionario ottenendo l'apertura della sede di via dell'Orto e la costituzione della cellula Mao a San Frediano, si accorgono delle sue ambizioni e le ostacolano, egli cerca di espellerli dal Partito. Tra il luglio e l'ottobre del '68 si accende quindi una dura, difficile e violenta battaglia tra i nostri compagni e l'avventuriero Gracci attualmente al servizio del socialimperialismo, denunciano risolutamente e con estremo coraggio l'arrivismo del Gracci e soprattutto le sue concezioni revisioniste circa il Partito, la linea di massa e lo stile di lavoro. Ma cadono in minoranza e vengono emarginati. Le organizzazioni di Firenze, Castelfiorentino, Sesto Fiorentino, Empoli, Prato e di Barberino del Mugello seguono il Gracci. I nostri compagni prendono allora contatto con la Segreteria del Partito che li appoggia. A Tirana, dove si trovava in visita in una delegazione dell'Associazione Italia-Albania nell'agosto del '68, il compagno Scuderi per una serie di fatti accaduti in seno alla delegazione prende coscienza che nel CC del PCd'I era in atto una furibonda battaglia per il potere. Cosicché i nostri compagni si schierano col Dinucci e il Pesce e portano fino in fondo la battaglia contro il Gracci il quale nel novembre viene pubblicamente smascherato attraverso giganteschi manifesti scritti a mano ed affissi in zone strategiche di Firenze e in San Frediano. La stampa ne dà grande risalto. Nel dicembre del '68 la banda del Gracci spacca letteralmente in due il PCd'I su scala nazionale formando un partito omonimo. Questa banda controrivoluzionaria individua nei primi pionieri del Partito i suoi nemici mortali. Tanto è vero che il 25 gennaio del '69 tenta di assaltare la sede di via dell'Orto durante un dibattito. Non vi riesce perché era difesa dall'esterno dai nostri compagni i quali aiutati da alcuni simpatizzanti e amici riescono con la forza a respingere gli aggressori venuti anche da fuori Firenze. Successivamente, il Gracci invia una banda di avventurieri raccattati in diverse parti d'Italia ad assaltare il Comizio del 1° Maggio in piazza S. Spirito, l'unico che si teneva a Firenze, organizzato dai nostri compagni come PCd'I. Fra gli assalitori c'era anche il Peruzzi armato di un bastone, come del resto tutti gli altri. Una parte di questa banda assalta contemporaneamente la sede di via dell'Orto. Un giovane di San Frediano, accorso in aiuto ai compagni, viene ferito gravemente ad un occhio e ricoverato urgentemente in ospedale. Ne scaturisce un clamoroso processo, il cosiddetto "processo dei libretti rossi" che erano stati rubati da quei banditi dopo che avevano devastato la sede. Evidentemente il Gracci e chi vi stava dietro voleva a tutti i costi sradicare la pianticella del Partito che già cominciava a spuntare. Ma non vi riuscì perché i nostri compagni tennero duro e proseguirono più risoluti di prima il loro cammino marxista-leninista. Altre lotte e altre prove li attendevano. Tra l'aprile e il giugno del '69 ingaggiano delle lotte contro un gruppo di spontaneisti, trotzkisti e frazionisti che tentano di prendere il potere nel partito. Una dietro l'altra queste mezze calzette vengono smascherate e liquidate politicamente. Ma la lotta più dura e di gran lunga più importante sul piano storico e politico è quella condotta contro il Segretario generale e l'intero CC del PCd'I. In pratica contro colui che controllava il movimento marxista-leninista italiano e che allora godeva un grande prestigio internazionale tra i vari partiti marxisti-leninisti, in Cina e in Albania. La lotta era impari, eppure per questioni di principio era un dovere rivoluzionario affrontarla costasse quello che costasse. La contraddizione con la cricca di Dinucci scoppia con la pubblicazione in data 27 maggio '69 di un documento sindacale da parte del CC del PCd'I. In questo documento si predica in sostanza lo scissionismo sindacale, con la proposta di creare un nuovo sindacato, e quanto di peggio potesse disporre l'economicismo. I termini della questione e della contraddizione divennero ancora più chiari in agosto in territorio albanese, nelle discussioni che avvenivano in sede delle delegazioni del PCd'I e dell'Unione della gioventù comunista (m-l) di cui facevano parte rispettivamente i compagni Giovanni Scuderi e Mino Pasca. Da uno studio più attento della linea politica generale del PCd'I messa a confronto con quella che trionfa al IX Congresso del PCC appare in maniera lampante l'abisso che separa quel partito dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao. La battaglia viene quindi portata sul piano ideologico e teorico e su tutte le questioni politiche. Nemmeno Fosco Dinucci in persona, precipitatosi per la prima volta a Firenze il 9 novembre del '69, riesce a risolvere le contraddizioni, per quanto si facesse forte dell'appoggio di autorevoli membri dell'Ufficio politico del PCC, rivelatisi successivamente essere dei trotzkisti, che aveva incontrato appena un mese prima a Pechino. I primi pionieri del Partito sono decisi ad andare fino in fondo, il gruppo dirigente del PCd'I è revisionista e quindi deve essere smascherato davanti a tutto il partito e alle masse. In maniera accorta organizzano una vera e propria campagna in tal senso. Inviano degli articoli al giornale del Partito, "Nuova Unità", ma i più importanti vengono censurati o non pubblicati, e in occasione del 20° anniversario della fondazione della RPC organizzano una grandiosa manifestazione pubblica in cui prendono ufficialmente la parola i compagni Scuderi, Pasca e Lucia, a nome rispettivamente del partito, dell'unione della gioventù e del circolo dell'Associazione Italia-Cina di Firenze per denunciare per via indiretta la linea revisionista del partito. Manlio Dinucci, inviato dal CC, corre ai ripari nel tentativo di frenare questa offensiva antirevisionista. Ma non riesce a convincere la stragrande maggioranza dei militanti e dei simpatizzanti dell'Organizzazione di Firenze che si schiera con i primi pionieri del Partito. Nel novembre del '69 si decide di uscire dal PCd'I constatando che nel CC non c'era un solo marxista-leninista e quindi sarebbe stato impossibile che quel partito potesse divenire un giorno marxista-leninista. Anche Piero Nappini era in un primo tempo d'accordo ma poi, dopo aver contattato segretamente il Pesce, tradisce l'impegno preso e perciò viene espulso dall'organizzazione di Firenze. Con questa ennesima battaglia si conclude la vicenda nel PCd'I dei primi quattro pionieri che fino ad allora lo avevano difeso strenuamente anche da tutti gli attacchi esterni dei revisionisti, compreso il tentativo di infiltrazione attuato nella primavera del '69 dall'opportunista e antistalinista Sergio Staino (Bobo) attuale vignettista de "l'Unità". In un anno e mezzo i 4 avevano potuto toccare con mano non solo la natura revisionista e trotzkista della banda di Dinucci ma anche la sua nullità e incapacità politiche. Basta pensare alla pochezza ideologica, politica, programmatica e dell'azione del PCd'I di fronte al '68 e all'"autunno caldo", senza parlare della codardia, della vigliaccheria e della latitanza dimostrate in occasione della strage di Stato alla Banca dell'Agricoltura di Milano. I 4 accusano il PCd'I di essere un gruppo revisionista, economicista e codista, di non avere una corretta concezione marxista-leninista del Partito, di avere sostanzialmente la stessa linea politica riformista e parlamentarista del partito revisionista, mascherata dietro una fumosa fraseologia rivoluzionaria, di non combattere a fondo e nei suoi aspetti essenziali a livello storico, teorico e politico il revisionismo moderno che anzi sostiene e propaganda attraverso l'esaltazione di Gramsci e di altri elementi come Umberto Terracini e Concetto Marchesi, di negare il pensiero di Mao come sviluppo del marxismo-leninismo e il ruolo personale di Mao come maestro e guida del proletariato internazionale e di appoggiare Mao solo formalmente per ricevere i favori e per ingannare i rivoluzionari italiani, di praticare a livello internazionale il frazionismo per mettere contro Mao il movimento marxista-leninista mondiale, di avere infine aperto le porte del movimento marxista-leninista italiano ad elementi borghesi, revisionisti, trotzkisti e persino a provocatori fascisti e a agenti dei servizi segreti italiani, come Renato Curcio. Per tutti questi motivi la prima parola d'ordine lanciata dal documento di rottura del Comitato provinciale di Firenze del PCd'I dice: "Distruggiamo il partito comunista d'Italia (m-l) copertura a sinistra del PCI" (Il Bolscevico, 15/12/1969). Ma poteva bastare la distruzione senza la costruzione dell'alternativa? No, non sarebbe stato un atteggiamento marxista-leninista. Bisognava distruggere il vecchio per dar vita al nuovo. Ancora una volta i 4 si guardano intorno per vedere se vi era qualcosa di veramente marxista a cui dare il loro contributo, ma non trovano nulla di buono. Il gruppo incontrato a Milano, l'OCI m-l, di cui era dirigente Alfonso Gianni, ex dirigente del Pdup e attuale deputato del PCI, puzzava di trotzkismo e l'altro incontrato a Torino diretto da Sergio Talenti di terrorismo. A questo punto ai 4 non rimanevano aperte che due strade: gettare la spugna e ritirarsi a vita privata una volta constatato che in Italia non c'era un Partito marxista-leninista oppure assumere coraggiosamente su di sé l'onore e l'onere della costruzione di tale Partito. Scelsero fortunatamente questa seconda strada, ed è grazie a questa loro scelta storica che nasce il PMLI. 2ª tappa: la preparazione del Partito
La seconda tappa della storia del PMLI, che possiamo definire la tappa del lavoro di preparazione per la fondazione del Partito, va dal 14 dicembre 1969 al 9 Aprile 1977. In tutta la sua storia il Partito ha sempre dato una grande importanza alla formazione del gruppo dirigente consapevole che i quadri svolgono una funzione decisiva se la linea politica e organizzativa è giusta. Non esiste in Italia un partito che dedica tanto spazio al problema dei quadri quanto il PMLI. E non è un lusso ma una necessità fondamentale se vogliamo costruire un partito a prova di bomba, capace di assolvere ai suoi compiti rivoluzionari e non deviare mai dalla via dell'Ottobre. Non a caso il 2° Capitolo dello Statuto del Partito è interamente dedicato ai quadri al fine di fornire a tutti i militanti la linea e gli strumenti con cui vanno scelti e modellati i dirigenti del Partito. La questione dei quadri è continuamente tenuta all'ordine del giorno. Ad essa è stato dato largo spazio nei due Congressi e in diverse Sessioni plenarie del CC, in particolare nell'8ª del 1° CC e nella 3ª del 2° CC. Significa che ancora è una questione aperta e che è necessario che la qualità dei quadri sia migliore e adeguata alla crescita e allo sviluppo del Partito. Il tentativo è quello di creare un gruppo dirigente di acciaio, veramente marxista-leninista, sinceramente votato alla causa del Partito, del proletariato e del socialismo, unito, omogeneo ideologicamente e politicamente, disciplinato e politicamente competente. Per questo motivo il Partito porta avanti la politica di allargare e restringere continuamente il cerchio dei dirigenti, cioè di sperimentare nuovi quadri secondo le situazioni interne che via via si presentano nel Partito, e di sostituire quelli che non sono più all'altezza della situazione, o sono caduti nel revisionismo o si sono arrugginiti e fossilizzati. Nel PMLI i posti di comando non si danno per anzianità di militanza, per meriti storici salvo eccezioni, per simpatia personale e affinità di carattere, ma sulla base del trinomio costituito da: fedeltà al Partito, al marxismo-leninismo-pensiero di Mao e alla causa rivoluzionaria; competenza e capacità politiche; coerenza tra la militanza di Partito e la vita personale, familiare e sociale. Gli imbroglioni, gli incompetenti, gli incoerenti, gli inetti possono per un certo periodo ingannare il Partito, ma alla fine vengono scoperti e fatti scendere di uno o più scalini, in certi casi fino alla base per rigenerarsi, riproletarizzarsi e ritrovare il senso della militanza nel Partito. Il nucleo centrale dell'attuale gruppo dirigente è costituito ancora dalla maggioranza dei quadri emersi durante la 1ª e la 2ª tappa della storia del Partito. Col 1° Congresso e col 2° altri bravi militanti sono stati eletti nel Comitato centrale, le nuove generazioni di militanti e di quadri sono simbolicamente rappresentate dalla compagna Monica Martenghi. Nel Comitato centrale, come in tutto il Partito, l'anzianità non fa grado, il peso di ogni dirigente è determinato dal suddetto trinomio di valutazione. La politica del cerchio è sempre attiva perché è necessario mantenere il Comitato centrale al livello fissato dal 2° Congresso, e sotto quel livello non si può andare pena la sostituzione dall'incarico. Meglio una sedia vuota che occupata da un dirigente che non la merita. Dopo il 2° Congresso qualche quadro ha perso lo smalto iniziale, bisognerà provvedere a destituirlo o a farlo scendere di un gradino. Altri militanti - provenienti dalla leva del 2° Congresso - sono emersi dalla lotta di classe, qualcuno in tempi rapidissimi. Essi dimostrano nella pratica di muoversi con lo spirito, la determinazione e la lungimiranza della prima e della seconda generazione del Partito. Il nostro auspicio è che il Congresso li elegga a membri del Comitato centrale. Necessitano nuovi quadri non solo al Centro ma anche a livello intermedio e di cellula. Bisogna dar fiducia ai nuovi militanti, chiamandoli a occupare posti dirigenti, secondo le loro attuali capacità. I vecchi quadri, provati da tante prove e da tante battaglie, rappresentano la saggezza, la stabilità e la sicurezza del Partito, le colonne portanti del Partito, mentre i giovani quadri sono il simbolo della perenne giovinezza, del dinamismo e della continuità del Partito. Vecchi e nuovi quadri devono fondersi in un unico blocco aiutandosi reciprocamente da pari a pari, imparando gli uni dagli altri, ponendo gli interessi del Partito al di sopra delle questioni generazionali. Gli uni e gli altri non devono mai distaccarsi dalla base e dalle masse e la loro più grande ambizione deve essere quella di servire unicamente con semplicità, modestia e dedizione la causa del Partito, del proletariato e del socialismo. I dirigenti devono essere dei buoni educatori dei militanti, ma questi a loro volta devono educare i dirigenti. Guai se non si instaura o se si spezza questo rapporto dialettico tra vertice e base. Ciascun militante infatti è contemporaneamente maestro e allievo del Partito. Perciò si può dire che i quadri del Partito sono come i militanti vogliono che siano. La lotta tra le due linee all'interno del Partito La storia del PMLI non si svolge pianamente e pacificamente ma attraverso contraddizioni e lotte, che a volte assumono un carattere di lotta tra le due linee. La lotta tra le due linee, in genere, esplode quando il Partito deve compiere delle scelte fondamentali sul piano strategico ed anche tattico. E non potrebbe essere diversamente perché l'origine sociale dei militanti non è sempre proletaria e quando si entra nel Partito ciascuno vi porta il suo bagaglio di esperienza e di cultura che non ha certo un carattere marxista-leninista, ma anche perché il livello di coscienza e il grado di comprensione dei problemi non è mai uguale in tutti i militanti, infine perché non si reagisce tutti allo stesso modo all'influenza della borghesia e del revisionismo. Noi viviamo in una società divisa in classi a dittatura della borghesia, in cui esistono contraddizioni e conflitti di classe che si riflettono inevitabilmente all'interno del Partito. Il PMLI non vive sotto una campana di vetro e i suoi militanti, anche se operai, non sono immunizzati da tutto ciò che potrebbe contaminarli. La cultura dominante incide sul Partito e particolarmente sui suoi membri più deboli e di origine non operaia. Perciò sia pure in misura e modi diversi e non sempre drammatici e violenti, nel Partito c'è sempre la lotta tra le due linee. A volte sotto forma di lotta tra il nuovo e il vecchio, tra il progressivo e il regressivo, tra una idea giusta e una errata; a volte in modo latente altre volte in modo aperto e generale. In altri termini come contraddizioni in seno al popolo o come contraddizioni antagonistiche. Non esistono angeli come non esistono marxisti-leninisti puri. La purezza non è di questo mondo e perciò non esiste. C'è sempre un po' di puro e impuro in ciascuna cosa, in ogni organismo anche più candido, e negli stessi esseri umani, quindi anche nei migliori marxisti-leninisti. La purezza è una continua ricerca, una conquista che si ottiene attraverso la lotta ininterrotta tra il proletariato e la borghesia, tra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il revisionismo. Nella pratica abbiamo verificato che anche nel PMLI esistono delle contraddizioni e delle lotte tra le due linee. Niente di male e di scandaloso né tanto meno di sorprendente, ciò rientra nell'ordine naturale delle cose, nella dialettica che esiste nella natura e nella società. Solo gli idealisti possono pensare che nel Partito del proletariato non ci sia la lotta tra le due linee. I militanti del PMLI non devono preoccuparsi tanto della lotta tra le due linee quanto del risultato di questa lotta. Essi devono battersi affinché il proletariato tenga sempre strettamente in pugno il potere del Partito e sappia mettere in minoranza chiunque e in qualsiasi momento avanzi delle idee e delle proposte borghesi e revisioniste e tenti la scalata al potere e di far cambiare linea politica al Partito. Fino al 2° Congresso, incluso, considerando anche il periodo dell'Organizzazione, nel Partito vi sono state quattro lotte tra le due linee. La prima si svolge l'8 dicembre 1974 in occasione della discussione sull'atteggiamento da tenere in caso di golpe fascista. I rinnegati Lucio Pasca (responsabile della Commissione stampa e propaganda) e Eleandro Garuglieri (responsabile ad interim della Commissione di organizzazione e Segretario del Comitato provinciale di Firenze) votano contro la parola d'ordine di stroncare il golpe con l'insurrezione armata di massa per il socialismo. Essi tentano di far assumere all'Organizzazione un atteggiamento democratico borghese sostenendo che se avviene un colpo di Stato bisogna lottare per il ripristino della situazione precedente e non per il socialismo, e comunque bisogna lanciare una parola d'ordine di carattere democratico borghese. Il 9 marzo 1975 scoppia la 2ª battaglia. Al centro della contraddizione c'è il nuovo organigramma dell'Organizzazione. I rinnegati Lucio Pasca e Eleandro Garuglieri si oppongono all'avanzamento di nuovi quadri, in particolare alla nomina del compagno Dario. Questi due rinnegati nel momento in cui occorreva ristrutturare l'Organizzazione dandole una forma compiuta di Partito e una dimensione e struttura nazionale si oppongono duramente a questa operazione strategica temendo di essere scavalcati dalle nuove forze emergenti e di perdere quella parte del potere che tenevano ancora in mano. L'11 luglio 1975, il rinnegato Luca Eller, già smascherato come opportunista, ex responsabile della Commissione di organizzazione, sferra un duro attacco alla linea elettorale astensionista dell'Organizzazione e nega che l'Organizzazione sia l'unica veramente marxista-leninista fra quelle esistenti allora in Italia. Questo attacco non a caso avviene subito dopo la grande vittoria elettorale del PCI. Questo partito paga profumatamente il proprio agente facendogli fare una folgorante carriera all'ASNU di Firenze. Egli viene espulso dall'Organizzazione il 5 settembre del 1975. La battaglia più delicata, poiché si trattava di un elemento che fin dal settembre '67 aveva alzato la bandiera del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, si è svolta tra il novembre del '79 e il 25 Aprile 1980 contro le deviazioni di destra del rinnegato Lucio Pasca che, partendo dalla concezione del Partito, finisce col mettere in discussione l'intera linea generale del Partito, con particolare riferimento all'astensionismo elettorale. Costui viene espulso il 25.4.80, mentre il Garuglieri era stato radiato il 24.11.79. Questi assalti di destra tendevano a liquidare il Partito e nascondevano l'opportunismo e il capitolazionismo di chi li lanciava. Coperti da cortine fumogene pseudo-teoriche e pseudo-politiche i tre rinnegati non manifestavano altro che delle crisi personali di identità politica, di capitolazione alla borghesia e al revisionismo, come dimostra la ignominiosa fine politica che hanno fatto. Dopo il 2° Congresso la lotta tra le due linee si è incentrata sull'applicazione della linea approvata dal Congresso. Nessuno ha mai messo in discussione tale linea c'è però chi l'ha sabotata e la sabota non applicandola e non assolvendo, o assolvendo in maniera insoddisfacente, i propri compiti. Lotte minori e ad altri livelli sono avvenute e avvengono tuttora all'interno del Partito, sono sempre i destri a venire allo scoperto e a misurarsi col Partito. Il revisionismo ha tentato, tenta e tenterà mille e mille altre volte ancora di occupare posti di potere se non l'intero potere, all'interno del Partito. Noi non abbiamo mai ceduto, l'abbiamo contrattaccato e respinto. Così dovremo fare anche per l'avvenire. Per camminare saldi e sicuri sulla via dell'Ottobre bisogna tenere alta la vigilanza rivoluzionaria contro il revisionismo e combatterlo prontamente appena esso si manifesta nelle nostre file sotto qualsiasi forma. Non dobbiamo guardare all'amicizia personale, a legami familiari o a meriti passati, ma unicamente alla linea del Partito, agli interessi del proletariato e della rivoluzione socialista. Dobbiamo continuare a rispettare e a far rispettare il centralismo democratico. Non bisogna avere una visione idealistica del Partito. Immaginare che sia perfetto, immune da deviazioni, che al suo interno vi sia la pace sociale, che va avanti pacificamente e senza sforzi e senza contraddizioni. L'unità del Partito è una conquista quotidiana non un dato di partenza e non è mai sicura e stabile. Ogni tanto il revisionismo riesce a ghermire ideologicamente qualche compagno e questi diventa un pericoloso veicolo di tendenze di destra. Bisogna vigilare e intervenire prontamente, senza concedere nulla ai suoi errori, al suo stile di lavoro, alla sua incoerenza, alla sua influenza nefasta. Bisogna vigilare in alto ma anche in basso. Tutti i militanti del Partito devono partecipare attivamente alla lotta tra le due linee. Non dobbiamo delegarla al Comitato centrale e ai compagni più anziani ed esperti. Come sottolinea il documento del CC del 29 ottobre 1983, "Dobbiamo imparare a giudicare e misurare ogni compagno sulla base della linea politica del Partito, delle misure stabilite dal Partito, del rispetto del centralismo democratico e dei metodi e dello stile di lavoro del Partito". Chi si pone al di fuori di questa linea deve essere prontamente denunciato, criticato e corretto, foss'anche un alto dirigente. Dobbiamo studiare di più il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la linea del Partito per dare un contributo più grande alla lotta contro il revisionismo moderno che si annida nel Partito e per il pieno trionfo della via dell'Ottobre. Le relazioni internazionali del PMLI Fin dall'inizio della storia del Partito eravamo coscienti che le relazioni fra i partiti marxisti-leninisti dei vari paesi sono fondamentali e indispensabili per lo sviluppo della rivoluzione mondiale. Ma quando fondammo l'Organizzazione eravamo degli illustri sconosciuti a livello internazionale, e per di più il Partito comunista cinese e gli altri partiti davano la loro fiducia al PCd'I (m-l). Abbiamo perciò dovuto sudare sette camicie e ingoiare tanti rospi per farci conoscere, stimare e ottenere la fiducia dei partiti fratelli. All'inizio non conoscevamo nemmeno i loro indirizzi e la loro stampa. Grazie alla nostra perseveranza e al nostro spirito di iniziativa pian piano però le cose sono cambiate a nostro favore, anche se non siamo arrivati in tempo ad allacciare le relazioni ufficiali col PCC quando era ancora in vita il presidente Mao. Ce l'hanno impedito i revisionisti cinesi. Questo ancor oggi rimane il nostro più grande dolore e rammarico. A livello internazionale abbiamo fatto un immenso lavoro. Dal 14 dicembre 1969 al marzo '83 nostri delegati si sono incontrati, in Italia o all'estero, in forma ufficiale con rappresentanti di partiti che si richiamano al marxismo-leninismo, organizzazioni di massa di questi partiti o di Stati socialisti di 22 paesi, ed esattamente: Albania, Argentina, Sud Africa (Azania), Belgio, Canada, Cina, Filippine, Francia, Giappone, Grecia, Kampuchea, India, Inghilterra, Norvegia, Perù, Portogallo, Repubblica Dominicana, Senegal, Svezia, Uruguay, Usa e Zaire. Inoltre abbiamo avuto contatti informali e non ufficiali con elementi di gruppi sedicenti marxisti-leninisti di Austria, Gambia, Germania dell'Ovest, Spagna e Turchia. Subito dopo la fondazione del PMLI, diversi organi di stampa di partiti e gruppi che si richiamano al marxismo-leninismo hanno cominciato a citare il nostro Partito e "Il Bolscevico". Tale stampa apparteneva ai seguenti paesi: Belgio, Canada, Francia, Giappone, Grecia, Haiti, India, Inghilterra, Israele, Panama, Portogallo, Svizzera e Usa. Il primo partito al potere che ha allacciato relazioni ufficiali col PMLI è stato il Partito comunista del Kampuchea. Erano appena passati tre mesi da quando il 27 settembre 1977 questo partito aveva dato notizia all'interno e all'estero della sua esistenza, che ricevemmo calorosi ringraziamenti del Comitato delle relazioni con l'estero del CC del PCK per il nostro messaggio di rallegramenti per il 17° anniversario della sua fondazione. Subito dopo, il 24 gennaio 1978, il compagno Pol Pot, Segretario generale del PCK, contraccambiando gli auguri di Buon anno che gli aveva inviato il Segretario generale del PMLI, auspicava il rafforzamento dei nostri legami con queste parole: "Possano le relazioni di amicizia rivoluzionaria fra i nostri due Partiti svilupparsi e consolidarsi continuamente". In effetti i nostri rapporti con i compagni kampucheani sono andati crescendo, finché la banda revisionista di Deng Xiaoping e i revisionisti all'interno del PCK non ci hanno messo il bastone tra le ruote. L'aggressione vietnamita al Kampuchea e lo scioglimento del PCK avvenuto il 7.12.81 hanno fatto il resto. L'ultimo contatto con i compagni kampucheani l'abbiamo avuto il 27.5.81 in una zona liberata del Kampuchea. Fra le più importanti relazioni internazionali del PMLI va annoverata quella con il Partito comunista marxista-leninista di Grecia (ricostituito), il cui inizio ufficiale risale al 20.2.78 quando ancora si chiamava PCML di Grecia. Nel dicembre 1979 infatti firmiamo con esso una dichiarazione comune di carattere storico perché i marxisti-leninisti di tutto il mondo vengono chiamati a lottare contro Deng Xiaoping che tentava di restaurare il capitalismo in Cina e di far capitolare i Partiti marxisti-leninisti. Tale dichiarazione - pubblicata contemporaneamente sugli organi di stampa dei due partiti nel febbraio 1980 - lancia le seguenti parole d'ordine: "Difendiamo l'immortale opera teorica e politica del presidente Mao". "Lottiamo fino in fondo contro il revisionismo moderno". Purtroppo del partito greco non sappiamo più nulla da un paio d'anni. Attualmente abbiamo dei legami fraterni e di classe molto stretti col Partito comunista (marxista-leninista) di Panama. Dopo aver fondato l'Organizzazione, naturalmente la nostra prima premura è stata quella di darne l'annuncio al Partito comunista cinese e al Partito del Lavoro d'Albania poiché in quel momento questi due partiti erano al centro dei Partiti marxisti-leninisti. Lo abbiamo fatto negli ultimi giorni del 1969 attraverso una delegazione che si è recata alla Rappresentanza commerciale cinese di Roma, allora non c'era l'Ambasciata, e all'Ambasciata della Repubblica popolare d'Albania come si chiamava a quel tempo. Successivamente, il 21.6.70, abbiamo scritto sia al CC del PCC sia a quello del PLA, passando sempre dai suddetti canali, per chiedere loro di stabilire delle relazioni ufficiali con noi. Col PLA però non si riesce ad avviare nemmeno un dialogo, poiché esso dava tutta la sua fiducia al suo agente Dinucci. Anzi più volte ci sbatte letteralmente la porta in faccia. Addirittura l'Ambasciata albanese di Roma il 17.2.77 ci rimanda indietro per posta in busta aperta come "stampe" il nostro invito diretto a Enver Hoxha e al CC del PLA a presenziare tramite propri delegati al Congresso di fondazione del PMLI. Lo stesso atteggiamento essa assume l'8 novembre 1977 quando ci rimanda indietro gli auguri diretti agli organi dirigenti del PLA in occasione del 36° anniversario della fondazione del Partito albanese. Da quel momento cessiamo ogni altro tentativo di prendere contatto col PLA perché nel frattempo gli attacchi di Enver Hoxha contro il pensiero e l'opera di Mao e la Grande rivoluzione culturale proletaria avevano raggiunto livelli intollerabili. Nella riunione del 28/11/76 dell'Esecutivo dell'Organizzazione, e successivamente arriverà allo stesso risultato anche la Direzione centrale, analizzando il rapporto di E. Hoxha al 7° Congresso del PLA tenutosi 27 giorni prima, noi ci eravamo accorti del voltafaccia del leader albanese rispetto a Mao che quand'era in vita considerava l'erede di Marx, Engels, Lenin e Stalin. Tuttavia per considerazioni tattiche, dimostratesi successivamente errate in base all'evolversi delle contraddizioni, si dà lo stesso risalto al congresso del PLA sulle pagine de "Il Bolscevico". Su questa scia, pensando ingenuamente che una nostra pressione potesse servire in qualche modo a indurlo a ravvedersi, scriviamo anche una lettera a E. Hoxha affinché abbandoni gli attacchi a Mao e lavori per l'unità, non per la scissione come aveva cominciato a fare, dei Partiti marxisti-leninisti. Ovviamente egli fece da sordo a questo nostro invito, e allora noi rompemmo ogni indugio e fummo tra i primi nel mondo a denunciare pubblicamente Enver Hoxha come trotzkista, opportunista, frazionista e imbroglione. Le nostre relazioni col Partito comunista cinese hanno invece avuto un andamento diverso anche se non sono sfociate in incontri ufficiali di Partito e in una cooperazione concreta, a causa del sabotaggio dei revisionisti cinesi camuffati che si trovavano nell'Ambasciata e a Pechino e a seguito della morte di Mao. Ma lasciamo parlare i fatti. Il primo segnale di interesse del PCC nei nostri confronti l'abbiamo ricevuto il 15 settembre 1970 attraverso l'Ambasciata della Repubblica popolare cinese a Berna che con una lettera ci diceva che desiderava continuare a ricevere regolarmente "Il Bolscevico". Il 14 gennaio del '71 arriva in omaggio a "Il Bolscevico" la rivista a diffusione mondiale in diverse lingue "Pechino informazione" spedita da una misteriosa casella postale di Pechino. Quando nel '71 la Cina apre l'Ambasciata a Roma, l'Ambasciatore scrive in data 19 novembre una lettera di "sinceri ringraziamenti" al nostro Segretario generale per i rallegramenti trasmessigli in occasione della restituzione del seggio dell'ONU appartenente alla Cina popolare. Con l'apertura dell'Ambasciata, il Segretario generale del nostro Partito, assieme alla consorte, ogni anno, salvo un paio di eccezioni inspiegabili, viene regolarmente invitato alle feste ufficiali della Repubblica popolare cinese del 1° agosto e del 1° ottobre. Una sola volta però, esattamente per l'anniversario della fondazione della RPC del 1977, viene invitato in qualità di Segretario generale del PMLI assieme ad altri 2 membri del CC e le rispettive consorti. In quell'occasione i nostri compagni ricevono una calorosa e particolare accoglienza di fronte a tutti gli ospiti. Nel 1980, dato ciò che stava avvenendo in Cina e visto che Berlinguer, assieme a Pajetta, Chiaromonte, Barca, Rubbi e Petruccioli, era stato invitato l'anno precedente al ricevimento per il 1° ottobre, il Segretario generale del PMLI non partecipa alla festa della RPC d'accordo con l'Ufficio politico del Partito. Non potevamo certo avallare con la presenza del massimo dirigente del Partito la riconciliazione tra il PCC e il PCI. Ma ritorniamo a raccontare i fatti in ordine cronologico. Il 21 settembre 1972 "Il Bolscevico" viene invitato alla Conferenza stampa in occasione della prima esposizione economico-commerciale della Cina popolare in Italia. Il Segretario generale dell'Organizzazione viene invitato a visitare l'Ambasciata "quando potrà e vorrà". Poco dopo, in base a questo invito, comincerà la lunga serie di incontri che il nostro massimo dirigente avrà con i rappresentanti cinesi finché l'incarico non passa ad altri nostri delegati, a partire dal '75-76. Il 25 settembre il Segretario generale, assieme alla consorte, viene invitato all'inaugurazione ufficiale di detta esposizione. Il 5 giugno del '73 lo stesso compagno, sempre accompagnato dalla consorte, viene invitato ad assistere alla prima della compagnia di acrobazia di Shangai che si teneva al Palazzo dello Sport all'Eur in Roma. Il 26 novembre "Pechino informazione" dà notizia del messaggio che la nostra Organizzazione aveva inviato al X Congresso nazionale del PCC. Lo stesso fa Radio Pechino. È la prima volta - da quanto ci risulta - che veniamo citati dai mezzi di comunicazione di massa cinesi e dal "Quotidiano del Popolo", organo del CC del PCC, dopo quasi 4 anni dell'esistenza dell'Organizzazione. Da allora in poi saremo citati sempre più spesso, ma non ci risulta nel '74 e in quasi tutto il '75. Nei primi mesi del '74, su nostra richiesta, Pechino ci fa sapere tramite l'Ambasciata a Roma che è pronta a dare asilo politico al nostro massimo dirigente, qualora ne avesse bisogno per sfuggire all'arresto che sembrava imminente a causa dei numerosi processi politici che aveva in corso. L'allora numero due dell'Ambasciata era a noi particolarmente vicino. Il 28 dicembre '75 il "Quotidiano del Popolo" pubblica il nostro messaggio di condoglianze per la morte di Kang Sheng. L'Ambasciatore cinese a Roma accoglie con sincera commozione la delegazione dell'Organizzazione diretta dal Segretario generale e la prega di estendere i suoi sentiti ringraziamenti a tutti i compagni dell'Organizzazione. La corona offerta dall'Organizzazione era stata messa ai posti d'onore sotto il ritratto di Kang Sheng. Il 16.1.76 il "Quotidiano del Popolo" pubblica il messaggio di condoglianze dell'Organizzazione per la morte di Chou En-lai e tre giorni dopo dà notizia della visita di condoglianze del Segretario generale all'Ambasciata della RPC a Roma. Il 7 febbraio dello stesso anno, un giornalista dell'Agenzia "Nuova Cina" di Roma fa una visita alla nostra sede di via dell'Orto. Il 10 maggio "Pechino informazione" e la stampa cinese danno ampia informazione del sostegno della nostra Organizzazione alle due risoluzioni del 7 aprile dell'Ufficio politico del PCC approvate su proposta di Mao. L'11 e il 12 giugno la stampa cinese dà notizia del nostro messaggio di condoglianze per la morte di Chou Teh e della visita di condoglianze del Segretario generale presso l'Ambasciata cinese a Roma. Il 21 luglio la stampa cinese pubblica il messaggio di felicitazioni dell'Organizzazione in occasione del 55° anniversario della fondazione del PCC. Successivamente in sede di Ambasciata cinese a Roma riceviamo i ringraziamenti verbali del CC del PCC per detto messaggio. Il 24 agosto la stampa cinese dà notizia del messaggio di solidarietà dell'Organizzazione in riferimento al disastroso terremoto nella provincia cinese dell'Hopei. Quando il 9 Settembre muore il presidente Mao, il "Quotidiano del popolo" e i mezzi di comunicazione di massa cinesi danno particolare risalto alle numerose iniziative della nostra Organizzazione per commemorare il grande Maestro scomparso. La triste notizia l'apprendiamo immediatamente da una telefonata dell'Ambasciata cinese a Roma. Ci viene concesso l'onore di avere accanto al feretro di Mao le corone offerte rispettivamente dalla Direzione centrale e dal Segretario generale dell'Organizzazione. La stampa cinese mette la nostra Organizzazione molto in alto nella lista dei Partiti marxisti-leninisti dei vari paesi che avevano inviato le condoglianze e al secondo posto tra i 4 o 5 partiti italiani citati. Subito dopo la liquidazione della "banda dei quattro", l'11 novembre riceviamo di nuovo la visita del già menzionato giornalista dell'Agenzia "Nuova Cina" di Roma. L'ultimo giorno di dicembre detta Agenzia diffonde degli estratti dell'articolo de "Il Bolscevico" sull'83° anniversario della nascita di Mao. Ed ecco gli avvenimenti del 1977. Il 18 gennaio l'Agenzia "Nuova Cina" di Roma pubblica lunghi brani di un articolo de "Il Bolscevico" sul 1° anniversario della morte di Chou En-lai. Dieci giorni dopo la stessa Agenzia, sempre da Roma rilancia un articolo de "Il Bolscevico" di commento all'opera di Mao "Sui dieci grandi rapporti". Il 1 giugno detta Agenzia, ancora da Roma, diffonde ampi stralci dell'articolo del nostro massimo dirigente riportato su "Il Bolscevico", divenuto organo del PMLI, sulla teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato elaborata da Mao. L'avvenimento è importante in sé ma soprattutto perché è la prima volta che la stampa cinese cita, sia pure indirettamente, il PMLI appena fondato. Ciò equivale a un riconoscimento di fatto. 28 agosto e 27 settembre. Il "Quotidiano del Popolo", l'Agenzia "Nuova Cina" e gli altri organi di informazione cinesi danno grande risalto al messaggio di felicitazioni del PMLI in occasione dell'11° Congresso nazionale del PCC e all'articolo di commento de "Il Bolscevico". Uguale risalto viene dato in settembre alle iniziative del nostro Partito per il 1° anniversario della scomparsa di Mao. In novembre un secondo giornalista dell'Agenzia "Nuova Cina" di Roma viene a trovarci in via dell'Orto. Quello che era venuto le due volte precedenti era già stato richiamato in Cina per fine servizio, o per altri motivi a noi sconosciuti. Il 12 dello stesso mese avviene un fatto nuovo. Il numero due dell'Ambasciata cinese a Roma, che è fra l'altro la moglie dell'Ambasciatore di allora, veterana della Lunga marcia, ci invita a Roma perché ha da dirci delle cose importanti. Comprendiamo che qualcosa di grosso bolle in pentola e intuiamo facilmente quale potrebbe essere il tema che voleva discutere. Quando ci incontriamo in sede di Ambasciata, la delegazione del CC del Partito era diretta dal Segretario generale, ella ci trasmette per prima cosa i ringraziamenti del CC del PCC per il messaggio inviatogli in occasione dell'11° Congresso del PCC. La lettera di ringraziamento, che non ci viene consegnata, portava la data del 12 ottobre. È la prima volta che simili ringraziamenti ci vengono trasmessi con tanta solennità e formalità. Dopo di che ci viene detto che da allora in poi, almeno per quanto concerneva l'Ambasciata, le nostre relazioni dovevano svolgersi al più alto livello e sulla base di un aiuto reciproco. Per il passato vengono avanzate delle autocritiche su come da parte loro avevano tenuto i rapporti con noi. Poi la rappresentante dell'Ambasciata passa al dunque, da noi sospettato e previsto. Voleva sapere cosa ne pensavamo dell'editoriale del "Quotidiano del popolo" e di "Bandiera rossa" del 1° novembre sulla teoria dei tre mondi. Durante il pranzo offertoci, la nostra ospite ci fa balenare l'invito a Pechino, qualora fossimo stati d'accordo con quell'articolo. Noi non entriamo in merito ad esso e ci riserviamo di darle una risposta ufficiale del Partito. Cosa che facciamo puntualmente nell'incontro del 10 dicembre sempre a Roma in cui illustriamo brevemente il contenuto della lettera del CC del PMLI che consegnammo alla vice ambasciatore. Ella rimane di stucco e in parte prende le distanze dall'editoriale citato. Comunque si impegna a trasmettere la nostra lettera, che porta la data del 27 novembre 1977, al CC del PCC cui era indirizzata. In sostanza nella lettera denunciammo come opportunista di destra la linea espressa dall'editoriale cinese e chiedemmo ai dirigenti cinesi di correggerla, di autocriticarsi nelle forme che ritenevano più opportune e di aprire un confronto con noi sulla teoria dei tre mondi. Ufficialmente la nostra lettera non ha mai avuto risposta. Tuttavia un'emozione profonda e indimenticabile viene provata dai compagni del Partito che ascoltavano il 1° febbraio del 1978 Radio Pechino in italiano. Infatti nella rubrica "la posta degli ascoltatori", rispondendo a un certo "Salvatore Moscardini" di Firenze, certamente un nome allusivo inventato ad arte, si dava un'interpretazione della teoria dei tre mondi molto vicina alla nostra. Tutto fa supporre che questo sia stato un tentativo di risposta favorevole alla lettera del CC del PMLI da parte dei compagni cinesi, che evidentemente non potevano fare di più dato l'avanzare prepotente del nuovo imperatore cinese Deng Xiaoping. L'articolo cui fa riferimento detta trasmissione di Radio Pechino l'abbiamo pubblicato sul n. 3 del 1978 de "Il Bolscevico". Andiamo avanti nella nostra cronologia. Il 26 novembre dello stesso anno la Federazione delle donne cinesi invia al CC del PMLI una lettera di ringraziamenti per il messaggio ricevuto in occasione del loro IV Congresso nazionale. Tale Federazione è l'unica che tiene ancora oggi un tenue contatto con noi, sempre più debole e evanescente, inviando la propria rivista e gli auguri di Buon anno a "Il Bolscevico". Il 27 dicembre Radio Pechino in lingua italiana trasmette, come prima informazione internazionale, la notizia dell'editoriale del nostro massimo dirigente sull'85° anniversario della nascita di Mao. Il 1979 è l'ultimo anno in cui abbiamo un qualche rapporto con i cinesi. Il 2 febbraio "Pechino informazione" riporta la condanna del PMLI dell'aggressione al Kampuchea da parte del Vietnam. Il 21 dello stesso mese l'Agenzia "Nuova Cina" da Roma cita un articolo del Segretario generale del Partito sulla controffensiva cinese contro il Vietnam e il 23 del mese successivo sempre la stessa Agenzia rilancia un articolo de "Il Bolscevico" sullo stesso argomento. Il 4 maggio il nostro dirigente viene invitato al ricevimento offerto in onore di una delegazione sindacale cinese venuta in Italia su invito dell'Uil. Al ricevimento erano presenti anche Benvenuto, Lama, Chiaromonte e altri sindacalisti. Il 19 settembre inviamo al CC del PCC un messaggio in occasione del 30° anniversario della fondazione della RPC. Il 16 novembre ci telefona l'Ambasciata per trasmettere al "Segretario generale del Partito e a tutto il PMLI i sinceri ringraziamenti del PCC" per tale messaggio. Per noi comunque si è trattato dell'ultimo messaggio inviato al PCC. Da allora in poi, anzi, abbiamo infittito i nostri attacchi pubblici per smascherare l'opera di restaurazione del capitalismo in Cina portata avanti dall'omuncolo Deng. Ci eravamo infatti accorti un anno prima, analizzando i risultati della 3ª Sessione plenaria del CC eletto dall'11° Congresso del PCC, che si era riunita nel dicembre 1978, che il partito cinese aveva abbandonato la linea proletaria rivoluzionaria di Mao e imboccato la via capitalistica e revisionista. Dopo la 5ª Sessione plenaria del CC del PCC, svoltasi il 23 febbraio 1980, che ha riabilitato l'arcirinnegato Liu Shao-qi abbiamo persino sospeso l'invio de "Il Bolscevico" al CC del PCC, all'Ambasciata della RPC in Italia e alle altre istituzioni cinesi. Lo inviamo solo alla Federazione delle donne cinesi. Non vogliamo avere nulla a che fare con coloro che hanno tradito Mao, il popolo cinese, i marxisti-leninisti dei vari paesi e i popoli di tutto il mondo. Così come abbiamo ricercato con tutte le nostre forze di unirci al Partito di Mao, con la stessa risolutezza abbiamo troncato con i revisionisti cinesi. Noi non siamo delle banderuole e degli opportunisti che vanno dove va il vento pur di curare le proprie fortune personali. Noi siamo dei marxisti-leninisti conseguenti e inflessibili che non hanno paura di rimanere momentaneamente soli. Dopo la scomparsa di Mao abbiamo decuplicato l'impegno rivoluzionario per sopperire per quanto era possibile alla grave perdita e non abbiamo seguito il vento liquidazionista e coloro che all'estero hanno gettato troppo facilmente la spugna andandosi a rifugiare sotto le gonnelle dei revisionisti o dei "verdi". In occasione del 2° Congresso lanciando l'appello a costituire l'Internazionale marxista-leninista abbiamo fatto un estremo tentativo per salvare il salvabile, ma era troppo tardi, il tarlo del revisionismo e dell'opportunismo aveva già fatto crollare quelli che sembravano dei giganti rispetto a noi. Tuttavia la fiamma del marxismo-leninismo arde ancora nel mondo. C'è il PMLI a tenerla in vita e in altri paesi europei ed extraeuropei si intravedono delle fiammelle che testimoniano che le tenebre non sono scese dappertutto. Bisogna solo verificare che non si tratti di un nuovo travestimento del revisionismo e del trotzkismo. Noi faremo comunque la nostra parte, come sempre. Nonostante fosse così piccolo, isolato e dovesse faticare tanto per farsi conoscere e apprezzare dai partiti fratelli, il PMLI è stato sempre nelle prime file nella difesa del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, della Grande rivoluzione culturale proletaria e della Cina socialista. Basti ricordare che le prime tre Sessioni plenarie del 1° CC ed altre successive sono state dedicate ai problemi del movimento marxista-leninista internazionale e alla lotta contro le deviazioni revisioniste di Deng Xiaoping da una parte e di Enver Hoxha dall'altra. Forse il contributo più grande il PMLI l'ha dato - l'unico in tutto il mondo - smascherando tempestivamente l'interpretazione di destra della teoria dei tre mondi da parte di quello sgorbio politico che è Deng e resistendo alle pressioni indirette che i revisionisti cinesi e di altri paesi hanno esercitato sul Partito per fargli cambiare linea politica, che consistevano in sintesi nel rinunciare alla rivoluzione socialista, allearsi con la classe dominante italiana e con gli USA per combattere l'URSS. Non era facile per il PMLI resistere a tale pressione, eppure ha resistito e vinto dando una lezione di coerenza e di forza a tutti i Partiti marxisti-leninisti. Il PMLI ha sempre lottato e sempre lotterà per l'unità dei Partiti marxisti-leninisti dei vari paesi ma mai al di fuori dei principi e al di sopra del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e dell'Internazionalismo proletario. Tentativi dei nemici di classe di liquidare il PMLI La storia del PMLI è una storia di lotte, di ardue prove e di grandi sacrifici, ma anche una storia di repressione contro i dirigenti e i militanti e di assalti alle sedi del Partito. Fin da quando ne vengono gettate le fondamenta, le istituzioni borghesi, i padroni, i revisionisti e i trotzkisti hanno ripetutamente cercato, a volte in maniera concentrica, di impedire la costruzione del Partito e, una volta fondato, di liquidarlo. Nessun altro raggruppamento italiano che si richiamava al marxismo-leninismo ha avuto lo stesso trattamento che la borghesia ha riservato al PMLI. Segno evidente che tra esso e la borghesia è stata tracciata una netta linea di demarcazione, e che il PMLI rappresenta realmente sul piano strategico il nemico più pericoloso e mortale del capitalismo e del revisionismo. I colpi maggiori, i nemici di classe, comunque camuffati, finora li hanno sferrati contro il massimo dirigente del Partito, i dirigenti locali e i militanti del Partito più esposti nella lotta di classe. In particolare, va sottolineato che le "forze dell'ordine" e la magistratura generalmente si scagliano contro il Partito non appena si affaccia in città lontane da Firenze e in situazioni ritenute ad esse più favorevoli. Un trattamento speciale ed intensivo, naturalmente, l'hanno riservato all'Organizzazione di Firenze. Ma ecco, in ordine cronologico, l'elenco degli atti repressivi che ha subìto il Partito dal 1969 ad oggi. Cominciamo con l'esaminare la persecuzione scatenata dalla magistratura. Ovviamente il primo ad essere messo sotto torchio è l'attuale Segretario generale del Partito. Nel '69 viene incriminato e processato per aver affisso dei manifesti del PCd'I (m-l). Il giorno avanti la fondazione dell'Organizzazione, esattamente il 13 dicembre, nonostante fosse a letto malato la polizia gli perquisisce l'abitazione per accertare se esistevano documenti e armi in relazione alla strage alla Banca dell'Agricoltura di Milano avvenuta il giorno precedente. Nello stesso giorno e per lo stesso motivo viene perquisita anche la sede di via dell'Orto. Nel marzo '70 egli viene incriminato per la pubblicazione e la diffusione di volantini dell'Organizzazione con l'accusa di "istigazione all'odio fra le classi sociali" e di "omessa indicazione di stampatore ed editore". Nel luglio viene incriminato per aver pubblicato il documento dell'Organizzazione sulle elezioni dal titolo "Il potere politico nasce dalla canna del fucile" (Pubblico ministero Carlo Casini). Nell'ottobre viene incriminato per non aver registrato "Il Bolscevico" (Pretore Francesco Fleury). Cosa allora per noi impossibile poiché l'Organizzazione non disponeva di un giornalista iscritto all'Albo cui potesse affidare l'incarico di direttore responsabile. Si ricorse persino a Marco Pannella con lettera raccomandata per chiedergli, in quanto giornalista, di firmare il nostro giornale, ma costui non rispose nemmeno. Nel 1972 il nostro massimo dirigente riceve nuove incriminazioni. Nel gennaio con l'accusa di "propaganda sovversiva" per aver redatto e diffuso un volantino dal titolo "Ancora un crimine della borghesia", sull'assassinio del giovane Saltarelli a Pisa. Nel febbraio per "vilipendio del governo, dell'ordine giudiziario e delle forze armate" in merito a un volantino sulla strage di Milano. Nell'aprile per "vilipendio al capo dello Stato" in riferimento all'editoriale de "Il Bolscevico" dal titolo "Un presidente, per chi e per che cosa" (Leone). Il ministro di grazia e giustizia, cui spetta il nulla osta in questi casi, non dà però l'autorizzazione a procedere. Un'altra incriminazione per "vilipendio alla magistratura" in riferimento a un articolo apparso su "Il Bolscevico" scatta nel giugno 1974. Il 22 febbraio 1976 la magistratura prende di mira anche l'Organizzazione di Acireale in provincia di Catania incriminando un membro della cellula addirittura con l'accusa di "istigazione all'insurrezione armata contro i poteri dello Stato". Subito dopo la fondazione del PMLI, esattamente il 26 aprile 1977, il Segretario generale del Partito riceve un'altra incriminazione per "propaganda sovversiva" in riferimento al volantino "Colpire al cuore il sistema capitalistico usando giusti metodi di lotta" (Pubblico ministero Pierluigi Vigna). Il più grave attacco effettuato dalla magistratura contro il PMLI è forse quello compiuto nel febbraio dell'82 tramite il pretore Zoli. Costui infatti ha ordinato all'Ufficio informativo dei carabinieri un'inchiesta sul PMLI onde conoscere "i dati anagrafici" dei suoi membri. In altri termini egli pretendeva di avere gli elenchi degli iscritti al PMLI. Si è tentato con ciò per la prima volta di applicare a un partito politico la legge 25.1.82 n. 17 nel tentativo di sciogliere il PMLI assimilandolo a un'associazione segreta. L'inchiesta però è abortita perché i carabinieri non accettano l'indicazione di Zoli per "non turbare l'ordine pubblico". Dal '69 ad oggi diversi dirigenti e militanti del Partito, fra cui i compagni Sala e Pierattini, sono stati incriminati per "affissioni abusive". Vediamo ora quali sono state le provocazioni della polizia. Nei primi due anni dell'Organizzazione il Segretario generale è stato convocato più volte dalla questura per accertamenti e verifiche. La prima volta fu convocato nell'immediata vigilia della fondazione dell'Organizzazione; la seconda volta subito dopo l'uscita del primo numero de "Il Bolscevico". Durante il periodo dell'Organizzazione e subito dopo la fondazione del PMLI alcuni compagne e compagni di Firenze, mentre facevano del volantinaggio o delle affissioni, sono stati fermati, perquisiti, intimiditi, portati in questura e anche "pestati"; uno di essi è stato persino arrestato per presunto furto durante un'affissione. Particolarmente grave è stata l'operazione della polizia condotta ad Acireale per stroncare la nascita del Partito. Nella notte del 1° giugno del 1977 mentre alcuni "ignoti" tentavano di incendiare la porta della Redazione locale de "Il Bolscevico", due nuclei di poliziotti di 9 elementi ciascuno perquisivano la casa di due militanti del Partito e la sede della Redazione con la scusa di ricercare "armi ed esplosivi" nonché documenti, ecc. "utili alle indagini relative al rinvenimento di una bomba a mano nella strada di via Etnea di Catania". Un'operazione analoga viene compiuta il 20 luglio a casa di un militante del PMLI di Zungri in provincia di Catanzaro. In entrambi i casi è lampante il disegno della polizia di estirpare da quelle città il seme del Partito prima che germogli. In fondo è quello che sta accadendo oggi a Bari dove i compagni da tempo sono nell'occhio del ciclone della reazione. Il 4 novembre 1983 due macchine della polizia bloccano e spingono contro il muro un membro e un simpatizzante del Partito che affiggevano dei manifesti del PMLI. I poliziotti sequestrano i manifesti dopo aver insultato e minacciato gli "attacchini". Il giorno dopo due agenti della Digos effettuano senza mandato e senza che l'interessato fosse in casa una perquisizione domiciliare sequestrando una copia degli atti del 2° Congresso del Partito. Nell'ottobre dell'84 la Digos telefona a casa di un compagno di Bari per chiedergli delle spiegazioni sul Partito di quella città. Il 7 giugno e il 17 ottobre di quest'anno sempre la Digos convoca in questura detto compagno - già fermato dalla polizia l'8 Marzo mentre diffondeva dei volantini - per sapere dov'è ubicata la sede locale del Partito, il nome del responsabile del Partito a Bari e per avere notizie sul compagno stesso. Il 26 ottobre scorso la Digos ferma due compagni di Bari che affiggevano all'università il manifesto del Partito su Craxi affamatore ed espansionista e li convoca in questura per contestar loro la multa. A Milano più volte la polizia ha cercato di intimidire i compagni. In particolare nel dicembre dell'anno scorso ha impedito la diffusione de "Il Bolscevico" davanti all'Ufficio di collocamento. Da tutta una serie di fatti, tra cui una recente convocazione in questura del compagno Pasca per accertamenti, sappiamo che gli occhi dei servizi segreti sono puntati sul PMLI. Il 15 novembre scorso abbiamo appreso da "Il Giornale" che il PMLI e "Il Bolscevico" sono addirittura entrati nella lista nera del SISDE. La cosa non ci meraviglia, solo che consideriamo una grave provocazione del ministro dell'Interno Scalfaro essere catalogati come una forza terroristica e ispiratrice del terrorismo. Anche le giunte comunali sono mobilitate contro il PMLI spiccando a catena multe e "ingiunzioni di pagamento" per "affissioni abusive" di manifesti del PMLI e de "Il Bolscevico". Particolarmente accanita contro il Partito è la giunta di Firenze sia nella versione democristiana (Bausi) sia in quella revisionista (Gabbuggiani) sia in quella repubblicana (Bonsanti-Lando Conti), sia in quella attuale (Bogianckino, Ventura, Cariglia, Scarlino). Per colpa di tale persecuzione saremo costretti a pagare, se non si vincono le cause in corso, ben 18 milioni di lire. Nel passato anche i sindaci revisionisti di Bagno a Ripoli e Montespertoli tutti quanti in provincia di Firenze e il sindaco di Acireale hanno spiccato ingiunzioni di pagamento per lo stesso motivo. Di recente pure l'amministrazione di Bari ha imboccato la stessa strada. Visto che non ce la fanno con altri mezzi, è evidente che cercano di dissanguarci economicamente per liquidarci. Naturalmente anche i padroni non stanno a guardare e quando possono cercano di infliggerci dei duri colpi licenziando i nostri compagni o relegandoli nei peggior posti di lavoro o non assumendoli. Citiamo solo il caso più clamoroso della persecuzione padronale. Nel giugno del '77 vi è stato un tentativo di licenziamento del compagno Sala perché la Direzione della fabbrica aveva saputo che era un dirigente del Partito. Comunque gli attacchi più velenosi e insidiosi li abbiamo ricevuti da parte dei revisionisti, degli "autonomi" e dei falsi rivoluzionari. I primi soprattutto hanno cercato di intimidirci e di isolarci dalle masse mediante delle vere e proprie azioni squadristiche. Questo negli anni passati. Ora privilegiano le calunnie, le insinuazioni e l'isolamento contro di noi. Ecco i fatti. Il 4 dicembre 1968 a Firenze durante la manifestazione di solidarietà ai braccianti di Avola alcuni compagni vengono aggrediti da un gruppo di revisionisti tra cui si notavano Galligani, Checcucci e Pesciullesi agli ordini di Sgherri. Lo stesso accade l'11.4.69 sempre a Firenze durante la manifestazione di solidarietà per Battipaglia. Questa volta l'aggressione era guidata da Alberto Cecchi, Piero Pieralli, Palazzeschi e Gianfranco Rastrelli. In entrambi i casi i revisionisti non volevano che i compagni diffondessero dei volantini e che stessero nel corteo innalzando i ritratti di Mao e Stalin e cartelli con parole d'ordine antirevisioniste. Il 1° Maggio dello stesso anno il PCI promuove una petizione popolare indirizzata al Commissario prefettizio di Firenze in cui si chiedeva di chiudere la sede di via dell'Orto approfittando dei disordini causati dall'assalto del gruppo del Gracci a tale sede. La petizione però fallisce. Il capetto revisionista locale strumentalizza un sottoproletario e lo spinge ad entrare nella nostra sede per picchiare il Segretario generale. Anche questa provocazione va a vuoto. Il 19 novembre a Firenze diversi compagni vengono di nuovo aggrediti dai revisionisti durante la manifestazione per la casa. Picchiatori del PCI strappano con la forza dalle mani dei compagni i ritratti di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao e le bandiere del Partito, della Cina, dell'Albania e del Vietnam e le distruggono. Il giornale reazionario "La Nazione", compiaciuto, dà ampio risalto all'aggressione premeditata. Durante la manifestazione nazionale contro la Nato svoltasi a Firenze il 13 luglio 1969 un branco di "gorilla" della FGCI aggrediscono alcuni nostri compagni per impedir loro di diffondere i "libretti rossi" e le opere di Mao. L'11 luglio del '71 in piazza Signoria a Firenze alcuni burocrati revisionisti aggrediscono e circondano i compagni per permettere alla polizia di identificarli. Il 13 luglio del '73 a Firenze si registrano alcune provocazioni e tentativi di aggressione da parte dei revisionisti durante una manifestazione antimperialista organizzata dalla FGCI. L'8 settembre in piazza dell'Isolotto a Firenze durante un'affissione di manifesti alcuni funzionari del gruppo sedicente marxista-leninista di Brandirali aggrediscono dei compagni e pistola in pugno sparano contro di essi un colpo andato fortunatamente a vuoto. Il 22 maggio la cellula dell'ASNU di Firenze, incluso il Segretario generale, viene aggredita dai dirigenti e dagli attivisti della sezione aziendale del PCI dopo che si era conclusa una manifestazione dedicata alla Resistenza. Due giorni dopo vengono espulsi dalla CGIL tre membri della cellula dell'ASNU. Il 30 ottobre 1974 a Firenze alcuni dirigenti della FGCI, fra cui Stefano Bassi e Spallino, aggrediscono tre compagni che diffondevano un volantino di denuncia dei decreti delegati durante una manifestazione studentesca. Nell'aprile del '75, davanti alla Casa del popolo "F. Ferrucci" di Firenze, elementi del PCI filosovietici aggrediscono alcuni compagne e compagni mentre diffondevano un volantino sull'assassinio di Boschi. Nel marzo del '76 il presidente dell'ASNU, il filosovietico Augusto Bercigli, tenta di licenziare il Segretario generale del Partito imbastendo anche una calunniosa campagna giornalistica. Il 1° Maggio a Catania dei burocrati revisionisti aggrediscono i compagni per espellerli da un corteo dei lavoratori. Nel giugno gruppi di "autonomi" e di DP provocano e minacciano ripetutamente di aggredire i partecipanti a un comizio elettorale dell'Organizzazione che si svolgeva in Piazza S. Croce a Firenze. Il 30 dicembre ad Acireale burocrati del PCI tentano di impedire la diffusione di un volantino dell'Organizzazione diretto ai braccianti. Il 7 maggio dell'anno successivo sempre ad Acireale due membri del PMLI vengono aggrediti da sindacalisti del PCI in un'assemblea pubblica degli operai agrumai perché non volevano che prendessero la parola. Nel gennaio del '78 alla Mensa universitaria di via San Gallo a Firenze alcuni "autonomi" aggrediscono dei compagni mentre diffondevano un volantino di condanna di un atto terroristico di "Unità combattenti comuniste". Il 28 luglio ad Acireale "ignoti" compiono atti vandalici contro la sede e la bacheca pubblica del PMLI. Da allora in qua la situazione in questo campo è radicalmente cambiata, ma non è detto che non si ritorni al passato. La situazione è cambiata soprattutto grazie alla forza crescente del Partito e alle simpatie che godiamo fra la base sana e rivoluzionaria del PCI con la quale ormai riusciamo a stabilire delle alleanze e un'unità d'azione sulle questioni di comune interesse. Rimane però tuttora la pratica della sopraffissione dei manifesti del PMLI da parte dei revisionisti di destra e di "sinistra", oltre che dei partiti governativi e del MSI. Ora si preferisce fare dell'ostruzionismo verso il Partito, per esempio negandoci le sale per i dibattiti e attuando un rigido silenzio stampa sulle nostre attività. Sotto tale tremendo fuoco incrociato dei nemici di classe e dei loro servi, che a volte è stato rafforzato dalle pressioni, minacce e ricatti familiari, i più deboli hanno finito con l'arrendersi e capitolare mentre i più forti e tenaci, i più motivati politicamente, si sono temprati nella lotta, sono divenuti di acciaio e rappresentano una testimonianza vivente che non esiste al mondo nulla che possa spaventare, intimidire e far retrocedere chi ha deciso di essere una persona libera e di guidare le masse rivoluzionarie verso il socialismo. Siamo consapevoli che la nostra lunga marcia organizzativa non si svolge lungo un'autostrada cosparsa di rose e fiori e su una lussuosa e confortevole automobile. La strada che dobbiamo ancora compiere è di montagna, in salita, tortuosa e piena di insidie, difficoltà e pericoli e dobbiamo interamente percorrerla facendo affidamento solo sulle nostre gambe e sulle nostre forze. Tuttavia man mano che si sale il panorama che si para davanti ai nostri occhi è sempre più bello e gratificante. La vetta è ancora lontana, ma cominciamo a intravederla. Abbiamo l'energia, le capacità, l'esperienza e la volontà per conquistarla; e non abbiamo paura di pagare il prezzo che in genere pagano i pionieri che aprono nuove vie. Quando saremo in cima vorrà dire che ìl PMLI sarà presente in tutta Italia. Allora potremo dire di essere a un passo dalla rivoluzione socialista. Intanto, alla luce dei fatti, possiamo dire e rallegrarcene che il 3° Congresso del Partito rappresenta una pietra miliare dello sviluppo nazionale del Partito. Esso ci ha messo in condizioni di conquistare la prossima mèta. I nostri sforzi per costruire e sviluppare il PMLI possono essere paragonati a quelli di Engels, in quanto Segretario dell'Internazionale per l'Italia, che dovette lottare duramente e a lungo contro Mazzini da una parte e Bakunin dall'altra prima di fare penetrare e affermare nel nostro Paese il socialismo scientifico. Egli, nella Prefazione all'edizione italiana del 1893 del "Manifesto del Partito comunista", ha scritto "quasi pensando a noi" queste belle e stimolanti parole: "Il 'Manifesto del Partito comunista' rende piena giustizia alla azione rivoluzionaria del capitalismo nel passato. La prima nazione capitalista fu l'Italia. Il chiudersi del Medioevo feudale, l'aprirsi dell'èra capitalista moderna sono contrassegnati da una figura gigantesca: quella di un italiano, Dante, al tempo stesso l'ultimo poeta del Medioevo e il primo poeta moderno. Oggi, come nel 1300, una nuova èra storica si affaccia. L'Italia ci darà essa il nuovo Dante, che segni l'ora della nascita di questa èra proletaria?". Noi pensiamo che il nuovo Dante potrà essere e lo sarà, se voi vorrete e se lo vorrà il proletariato, il PMLI. Avanti nella lunga marcia organizzativa! Avanti nella via dell'Ottobre e del socialismo! Viva, viva, viva il PMLI e la classe operaia italiana! Viva, viva, viva il marxismo-leninismo-pensiero di Mao! Il socialismo è l'avvenire della classe operaia e dei lavoratori italiani. 3 ottobre 2012
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