Flessibilità, precariato Lavoro indecente Deregolamentazione a favore dei padroni Per considerare un lavoro "decente" o "dignitoso", ebbe a dire l'Organizzazione internazionale del Lavoro (Oil) nell'assemblea annuale tenutasi a Ginevra nel 1999, occorrono alcune fondamentali garanzie in campo economico e sociale senza le quali esso diventa precario, insicuro, malpagato, privo di tutele sindacali e previdenziali. Esse sono, in sintesi. 1) Sicurezza dell'occupazione che significa non solo protezione contro i licenziamenti abusivi, ossia senza causa, ma anche stabilità dell'occupazione compatibile con una economia dinamica. 2) Sicurezza professionale: implica la possibilità di valorizzare la propria professione accrescendo via via le competenza tramite il lavoro, e formandosi una riconoscibile e stabile identità professionale. 3) Sicurezza sui luoghi di lavoro: comprende la protezione contro gli incidenti e le malattie professionali grazie a un'adeguata regolazione in tema di salute e sicurezza, che prevede anche limiti agli orari e agli straordinari, nonché la riduzione dello stress sul lavoro. 4) Sicurezza del reddito: creazione e mantenimento di un reddito adeguato, in grado di assicurare al lavoratore e ai suoi familiari la copertura dei "costi dell'uomo" a fronte di un dato livello di sviluppo sociale. 5) Sicurezza di rappresentanza. Essa rinvia alla garanzia offerta dalla possibilità di espressione collettiva sul "mercato del lavoro" grazie ad organizzazioni sindacali libere e indipendenti, nonché di altri organismi capaci di rappresentare gli interessi dei lavoratori. 6) Sicurezza previdenziale: possibilità di assicurarsi attraverso il lavoro un reddito che permetta di mantenere, dopo l'uscita dal lavoro, un livello di vita compatibile a quello precedente. La situazione italiana La spaventosa moltiplicazione dei lavori flessibili, cioè precari, che si è avuta in Italia grazie al "pacchetto Treu" introdotto da un governo di "centro-sinistra" prima, e alla legge 30 varata da un governo di "centro-destra" poi, ha in larga parte cancellato le suddette sicurezze che stanno alla base della definizione di "lavoro decente". Anzitutto quella relativa alla stabilità dell'occupazione, giacché i contratti flessibili sostituiscono il contratto a tempo indeterminato. Circa la formazione e la valorizzazione della professionalità, essa è resa difficile dalla varietà di ambienti lavorativi, esperienze tecniche, modelli di organizzazione del lavoro cui è sottoposto il lavoratore flessibile. La sicurezza nei luoghi di lavoro è compromessa dai lavori flessibili, in particolare quelli di breve durata, in quanto le imprese non hanno alcun incentivo a investire nella formazione alla sicurezza di lavoratori che nel volgere di poco tempo non saranno più alle loro dipendenze. Quanto ai lavoratori, essi non hanno né il tempo per apprendere i codici della sicurezza nell'impresa ove saranno occupati per breve tempo né la motivazione a farlo. Chi lavora con un contratto atipico è portato a ridurre le attenzioni per la propria salute. Preferisce, ad esempio, sacrificare l'opportunità di sottoporsi ad una visita medica, per essere presente sul posto di lavoro, sperando così di accrescere, o almeno di non diminuire, la probabilità di vedersi rinnovato il contratto che sta per scadere. Il lavoro flessibile incide fortemente sulla sicurezza e il livello di reddito. Per quanto riguarda le due categorie più ampie di lavoratori atipici - i dipendenti a tempo determinato e i collaboratori coordinati o a progetto, che sono formalmente autonomi - studi specifici rivelano che essi hanno un reddito netto annuo notevolmente inferiore sia a quello dei dipendenti con un contratto sindacale standard, sia a quello dei veri lavoratori autonomi. Vuoi perché i lavoratori con contratto atipico spesso non riescono a lavorare tutto l'anno: scade il contratto e non riescono a ritrovarne subito un altro. Vuoi perché il lavoratore interinale, anche assunto a tempo indeterminato dall'azienda di intermediazione, è pagato a salario intero e gli sono versati i contributi solo nei periodi in cui viene effettivamente occupato. Mentre nei periodi di inattività avrà diritto solo a una misera indennità pari al 20% salario medio. Incertezze invece di sicurezze Per quanto riguarda la sicurezza della rappresentanza sindacale, a ridurla drasticamente concorrono vari fattori legati alla flessibilità del lavoro: la mobilità dei lavoratori flessibili da un posto all'altro; la separazione del lavoratore dall'impresa in cui presta la sua attività, che è insita nel lavoro in affitto o in somministrazione; la individualizzazione dei rapporti di lavoro promossa dalle "riforme" del "mercato del lavoro"; i trasferimenti di azienda da una regione all'altra oppure all'estero. In conseguenza alla riduzione delle sicurezze di occupazione, reddito e ammontare dei contributi versati, si riduce inevitabilmente anche la sicurezza previdenziale. Ecco come: chi ha cominciato a lavorare con contratti a collaborazione coordinata e continuativa fin dalla loro introduzione, verso la metà degli anni '90, quando avrà raggiunto i 60 anni e al tempo stesso 35 annualità contributive piene, potrà contare al massimo su pensioni corrispondenti solo al 37% della sua retribuzione, una media questa molto più bassa di quella dei normali lavoratori dipendenti. Vittime principali di questa strutturale precarietà sono: a) le donne lavoratrici, che vedono drasticamente ridursi gli spazi per accedere ad un lavoro meno instabile ed insufficiente dal punto di vista qualitativo e retributivo; b) i giovani che hanno accesso solo a forme di lavoro precario: c) i lavoratori in "nero" o in "grigio", perlopiù migranti "clandestini", con prospettive di "inclusione" sempre più remote e soggetti ad ogni sorta di ricatti e a nuove forme di "caporalato", se non di "schiavitù", privati finanche (talvolta per legge) degli elementari e fondamentali diritti. A peggiorare le condizioni di lavoro in Italia e quindi a renderlo meno "decente" e meno "dignitoso" ci hanno pensato il governo del neoduce Berlusconi e il suo scagnozzo Sacconi, ministro del Welfare. Soprattutto con il decreto legge 112/228, convertito nella legge 133/08. Attraverso cui è stato ampliato lo spazio di discrezione padronale, ad esempio reintroducendo il lavoro a intermittenza, restringendo la nozione del lavoro notturno, alterando il diritto dei lavoratori al riposo settimanale, ora calcolato come media in un periodo non superiore a quattordici giorni. Numerosi articoli di questa legge sollevano i datori di lavoro da una serie di adempimenti, allentano i controlli, ripristinano odiose modalità contrattuali recentemente abrogate. Sul tema delle dimissioni dei lavoratori inoltre si è registrata una fulminea cancellazione, sempre da parte del governo Berlusconi, delle garanzie introdotte con la legge 188/2007. Si è poi intervenuti sul sistema dei controlli per le imprese sopprimendo: l'obbligo per le aziende di informare i servizi ispettivi della Direzione Provinciale del Lavoro sul numero dei dipendenti che superano le 48 ore settimanali di lavoro mediante lavoro straordinario; il potere degli ispettori del lavoro di adottare provvedimenti sospensivi dell'attività imprenditoriale in caso di reiterate violazioni delle norme in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale che, oltretutto, influiscono sui rischi di infortunio. Progetti e prospettive Grave e preoccupante infine, il disegno di legge in tema di diritto di sciopero per il settore dei trasporti, approvato dal governo il 27 febbraio scorso e ora all'esame delle Camere che pone i seguenti intollerabili limiti: a) la soglia di sbarramento del 50% della rappresentanza per proclamare uno sciopero, oppure la soglia del 20% della rappresentanza per poter indire un referendum preventivo che avrà bisogno di almeno il 30% dei consensi per proclamare lo sciopero; b) la necessità di una dichiarazione preventiva di adesione allo sciopero da parte del singolo lavoratore; la previsione per via contrattuale dell'istituto dello "sciopero virtuale", che si espleta con una protesta meramente formale, garantendo la prestazione lavorativa, che può essere reso obbligatorio per determinate categorie professionali; il divieto assoluto di forme di astensione che possono ledere il diritto alla mobilità e alla libera circolazione, ovvero occupazione di strade, ferrovie e aeroporti. È pur vero che i principi della Costituzione italiana e quelli comunitari formalmente sostengono "il riconoscimento della persona, la sottrazione degli individui dalle situazioni di bisogno, la prevenzione della salute e della sicurezza sul lavoro, l'integrazione sociale per i meno abbienti e dei più deboli, il riconoscimento della pari dignità del lavoro femminile e dei giovani", ma è pari vero che nel capitalismo questi principi sono destinati a rimanere sulla carta, specie in tempo di crisi, specie se a governare c'è la parte politica più reazionaria della borghesia impegnata ad attuare la terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista. 22 luglio 2009 |