Truffa, finanziamento illecito e riciclaggio nelle inchieste giudiziarie di 3 procure. I rapporti del tesoriere Belsito con la 'ndrangheta Lega ladrona: i soldi rapinati alle masse finanziavano la famiglia Bossi Il caporione leghista e suo figlio costretti alle dimissioni. Maroni fa lo gnorri e invoca pulizia. Ma come poteva essere all'oscuro di tutto? Abolire immediatamente ogni finanziamento pubblico ai partiti parlamentari A pochi giorni dallo scandalo delle tangenti che ha coinvolto il maroniano Davide Boni, presidente leghista del Consiglio regionale della Lombardia, una nuova inchiesta giudiziaria squassa le fondamenta della Lega Nord. Le indagini, coordinate da tre procure, questa volta chiamano in causa direttamente il vertice del Carroccio e riguardano tra l'altro: i fondi neri del partito, i rendiconti irregolari dei rimborsi elettorali, gli investimenti per circa 6 milioni di euro effettuati in Tanzania e Cipro e la distrazione del denaro pubblico rubato al popolo e usato per pagare le spese personali dei familiari di Umberto Bossi (costretto a fare "un passo indietro") e dei suoi fedelissimi del cosiddetto "cerchio magico" di cui fanno parte fra gli altri il figlio Renzo Bossi, consigliere regionale lombardo costretto anche lui alle dimissioni, e Rosy Mauro, vicepresidente del Senato e segretario generale del Sinpa, il sindacato padano. Gli indagati Al momento il principale indagato è il tesoriere del partito Francesco Belsito, ex sottosegretario di Roberto Calderoli al ministero della Semplificazione, originario del vibonese, subito dimessosi dalla carica. Le accuse nei suoi confronti sono di truffa aggravata ai danni dello Stato e finanziamento illecito ai partiti contestati dalla Procura di Milano, che indaga sul finanziamento illecito, fondi neri e distrazione del denaro pubblico, e quella di riciclaggio avanzata dalle Procure di Napoli e Reggio Calabria che indagano sugli inquietanti collegamenti fra i vertici della Lega e vari personaggi legati alle cosche della 'ndrangheta reggina e all'estrema destra eversiva. Oltre a Belsito risultano indagati per riciclaggio due uomini d'affari, Paolo Scala e Stefano Bonet, e altre cinque persone fra cui spiccano: Romolo Girardelli, faccendiere in odore di mafia, detto "l'ammiraglio", già indagato nel 2002 dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria per associazione di stampo mafioso in quanto legato ad elementi di primissimo piano della cosca De Stefano e l'avvocato Bruno Mafrici, nato a Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), ma residente a Milano e vicinissimo a esponenti dell'estrema destra eversiva come Vittorio Guaglianone e il boss Paolo Martino, già arrestato nell'operazione "Redoux". Il fronte investigativo Le indagini (sostenute da una mole di prove, documenti contabili, intercettazioni telefoniche e filmati che non lasciano adito ad interpretazioni) sono partite da Milano per la vicenda degli investimenti del Carroccio in Tanzania e Cipro e riguardano fra l'altro anche l'ultimo rimborso elettorale di circa 18 milioni di euro erogato alla Lega lo scorso agosto. Gli inquirenti hanno eseguito una serie di perquisizioni che sono partite dalle sedi della Lega in via Bellerio a Milano e degli uffici del Sinpa e si sono estese in case ed uffici di Milano, Venezia, San Donà, Roma. Perquisiti anche ufficio e abitazione delle due segretarie Nadia Dagrada (dirigente dell'ufficio amministrativo della Lega) e Daniela Cantamessa segretaria particolare di Bossi fino al 2005. Nelle intercettazioni tra Belsito e la Dagrada, si parla "chiaramente del nero che Bossi dava tempo fa al partito". E per gli inquirenti "ovviamente il significato del nero è riconducibile alla provenienza del denaro contante che può avere varie origini, dalle tangenti, alle corruzioni o ad altre forme di provenienza illecita e non tracciabile". Ma i due sono anche terrorizzati dagli sviluppi delle indagini tant'è vero che in diverse altre intercettazioni si sente la Dagrada che avverte: "se esce qualcosa è la fine" e Belsito che replica: "Se parlo io finiscono tutti in carcere". Il riferimento è a un presunto dossier inerente il figlio di Bossi, Renzo, che sarebbe stato "affossato da Silvio" e a proposito del quale la Dagrada chiede a Belsito: "è vero che continuano a dire ai magistrati di mettere sotto il fascicolo?..." e poi profetizza: "ma prima o poi il fascicolo esce". Le accuse Secondo i Pubblici ministeri (Pm) Roberto Pellicano e Paolo Filippini, Belsito ha violato la legge sul finanziamento ai partiti del 1999 e ha truffato lo Stato con una gestione "in nero" dei fondi presentando rendiconti irregolari. Non solo. Secondo i Pm la tesoreria della Lega Nord è "completamente opaca dal 2004". Infatti i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) hanno accertato che i soldi dei rimborsi elettorali venivano usati per l'acquisto di auto, cure mediche, vacanze, viaggi, alberghi e cene dei figli di Bossi, ma anche per pagare i lavori di ristrutturazione della villa di famiglia a Gemonio (Verese) per l'acquisto di un bar a Milano per conto di Bossi e per garantire il mutuo della "Scuola Bosina", l'istituto privato fondato da Manuela Marrone, moglie di Umberto Bossi. Del bancomat leghista si è servita in più occasioni anche la Mauro. A lei personalmente sarebbero arrivati una macchina e bonifici a favore del suo sindacato e del suo "amante" assunto come "segretario particolare sotto la vice presidenza del Senato, tanto che è in aspettativa dalla polizia" e, secondo Degrada, anche destinatario, grazie all'interessamento di Belsito, di "un mutuo con la Bnl del Senato in quanto non aveva il reddito per ottenerlo, non aveva i requisiti, il reddito era sotto". Secondo gli inquirenti Belsito "ha alimentato la cassa del partito Lega Nord con denaro non contabilizzato ed ha effettuato pagamenti e impieghi, anch'essi non contabilizzati o contabilizzati in modo inveritiero" attraverso una "gestione in nero (sia in entrata sia in uscita) di parte delle risorse... Buona parte del denaro che fluisce nelle casse della Lega proviene dalle casse pubbliche sotto forma di destinazione del 4 per mille". Bossi sapeva Fatti e circostanze controfirmate anche dalle due segretarie Dagrada e Cantamessa durante i rispettivi interrogatori dei giorni scorsi che tra l'altro hanno confermato che Bossi era perfettamente al corrente di tutto il mercimonio leghista. In particolare Cantamessa ha rivelato che: "Io stessa avevo avvisato Bossi delle irregolarità commesse da Belsito, o meglio della sua superficialità ed incompetenza, e del fatto che la Rosy Mauro era un pericolo sia politicamente e sia per i suoi rapporti con la famiglia Bossi". Mentre Degrada ha ricordato che "alcuni anni fa, l'ex amministratore della Lega Nord, Balocchi (il defunto predecessore di Belsito) portò in cassa 20 milioni di lire in contanti dopo essersi recato nell'ufficio di Bossi. Uscì con delle mazzette dicendomi di non registrarli e di metterli in cassaforte perché ci avrebbe pensato lui". Il mercimonio leghista Nell'ambito dell'inchiesta, ha precisato il procuratore della Repubblica, Edmondo Bruti Liberati: "sono state eseguite perquisizioni nei luoghi in disponibilità degli indagati, nonché di soggetti loro collegati". Le perquisizioni, in tutto una quarantina, hanno interessato anche la "Effebi" immobiliare di Genova, di cui Girardelli è risultato socio di Belsito attraverso il figlio Alex, la "Marco Polo Triveneto" di San Donà di Piave e la "Polare Scarl" fondata da Bonet e registrata come "organismo di ricerca" del cui sportello genovese, secondo l'accusa, Romolo Girardelli risulta essere responsabile. In una nota la Procura milanese ha precisato che: "si procede per il reato di appropriazione indebita aggravata a carico di Belsito Francesco, Scala Paolo e Bonet Stefano, con riferimento al denaro sottratto al partito politico Lega Nord... per il delitto di truffa aggravata ai danni dello stato a carico dello stesso Belsito con riferimento delle somme ricevute a titolo di rimborso spese elettorali... per truffa ai danni dello Stato a carico di Bonet Stefano e Belsito Francesco con riferimento alle erogazioni concesse dallo Stato sotto forma di credito di imposta in favore della società 'Siram' con sede a Milano". La Siram, è una grossa società del gruppo Veolia che si occupa principalmente di energie rinnovabili e servizi ambientali con sedi anche a Massa Martana (Perugia) e Roma e risulta in affari con la "Polare Scarl" a cui tra l'altro è intestata un'auto Porsche Panamera passata nella disponibilità di Belsito come "pagamento di una intermediazione svolta dal politico per l'accaparramento da parte della Polare Scarl di un contratto di consulenza a favore di un'associazione tra Comuni". Non solo, la "Polare Scral" risulta in affari anche con Fincantieri, della quale il genovese Belsito è consigliere d'amministrazione, e con Grandi navi veloci. L'ipotesi investigativa è che la "Siram" sia stata utilizzata per ricevere indebitamente in base al decreto legge 70/2011 "erogazioni concesse dallo Stato sotto forma di credito di imposta" nella misura del 40% dei costi sostenuti alle imprese che finanziano progetti di ricerca, anche sviluppati in joint venture con aziende private. Secondo gli investigatori, però, bonifici per milioni giravano tra la Siram e società riconducibili a Bonet senza essere giustificati "da alcun rapporto reale di natura economico-finanziaria". Quanto a una fattura da 150 mila euro pagata al politico leghista, Bonet avrebbe poi recuperato la somma "attraverso il beneficio fiscale del credito d'imposta". Nelle intercettazioni, a proposito dei progetti con la Siram l'imprenditore ripete più volte che ci sono esborsi apparentemente immotivati, ma necessari perché "è un problema politico lì, cazzo... bisogna pagare e fine della questione". Il riferimento è a una parcella di 40 mila euro in favore dell'avvocato calabrese con studio in centro a Milano Bruno Mafrici. I rapporti con 'ndrangheta e "P4" A Napoli il procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico ha precisato che per riciclaggio risultano indagati insieme Belsito e Bonet anche tre imprenditori e che Bonet ha rapporti con il tesoriere della Lega Nord e opera anche in Campania attraverso una società di Napoli del settore servizi energetici e tecnologici. Il filone investigativo partenopeo è strettamente connesso con l'indagine sulla cosiddetta "P4" il "sistema informatico parallelo e criminale" in cui sono coinvolti fra gli altri il deputato PDL Papa e l'ex piduista Bisignani, Gianni Letta, D'Alema (presidente del Copasir) gli ex ministri Carfagna, Prestigiacomo e Gelmini, l'ex sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Santanchè, l'ad delle FS Moretti, Geronzi (Generali), Scaroni (Eni), Guarguaglini (Finmeccanica) il direttore de "l'Avanti!" Valter Lavitola e l'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini che forniva le "escort" a Berlusconi. I pubblici ministeri, Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e John Henry Woodcock hanno scoperto nella cassaforte di Belsito sequestrata a Montecitorio una cartella con l'intestazione "The family". Dentro hanno trovato anche un carnet di assegni che reca la scritta "Umberto Bossi". Il libretto sarebbe stato rilasciato dalla sede genovese della banca Aletti dove sono versati i contributi elettorali della Lega. Gli inquirenti ritengono che dal conto, gestito dal tesoriere finito sotto inchiesta, provengano le somme destinate a spese personali di familiari di Bossi. Nella cassaforte sono state inoltre trovate ricevute che documenterebbero spese affrontate per le esigenze di vario genere di familiari del leader del Carroccio A Reggio Calabria l'inchiesta è coordinata dal magistrato Giuseppe Lombardo della Dda. Belsito è indagato per riciclaggio in riferimento ai suoi loschi collegamenti con uomini della cosca dei De Stefano. Secondo gli inquirenti il tesoriere leghista è amico e socio d'affari da almeno dieci anni di Girardelli, legato, tra l'altro, a Paolo Martino, già latitante e condannato per omicidio, considerato l'ambasciatore dei De Stefano in Lombardia, dove ha intessuto una considerevole rete di rapporti politici. Non solo, Belsito risulta in affari anche con Bonet da cui incassa nel 2011 "250 mila euro". Il 29 dicembre 2011, scrivono gli investigatori, un collaboratore dell'imprenditore "si incontrava con il Belsito e in quell'occasione effettuava la consegna del denaro, celandolo all'interno di un cappello del Bonet e di una borsa utilizzata per contenere delle bottiglie di vino". Dall'inchiesta reggina emergono anche i collegamenti con la vicenda dei fondi della Lega nord investiti a Cipro e in Tanzania in parallelo con i proventi "riconducibili alle attività criminali poste in essere dalla cosca De Stefano di Reggio Calabria". Di fronte a tutto ciò appare a dir poco ridicola l'ammonizione di Roberto Maroni, ministro degli Interni fino a pochi mesi fa, che fa finta di cascare dalle nuvole e con perfetta faccia di bronzo commenta le dimissioni di Bossi dalla segreteria della Lega come: "una buona notizia" e auspica che: "adesso bisogna andare fino in fondo e fare pulizia dentro il partito, cominciando dalla nomina di un nuovo amministratore capace di aprire tutti i cassetti". Possibile che Maroni non si sia mai accorto della distrazione dei fondi pubblici leghisti e scialacquati dai caporioni del "cerchio magico"? Possibile che al ministero degli Interni nessuno l'abbia mai informato delle inchieste in corso? In realtà la vicenda dell'ex tesoriere della Margherita e attuale senatore del PD Luigi Lusi e questa di Belsito confermano che ormai tutti i partiti, Lega compresa, si sono trasformati in vere e proprie rapaci cosche parlamentari, dilaniati dalle faide delle varie correnti interne in lotta ognuna per il proprio tornaconto economico di cui il finanziamento pubblico costituito coi soldi rubati al popolo rappresenta la linfa vitale che permette loro di sopravvivere. Pertanto, se si vuole davvero fare un po' di "pulizia" bisogna cominciare dall'abolizione di tutti i contributi e i rimborsi statali a favore dei partiti parlamentari così come si era espressa la stragrande maggioranza del popolo italiano che al referendum del 1993 votò l'abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti. 11 aprile 2012 |