La Lega vota per l'arresto di Papa (PDL). Lega e parte di PD salvano Tedesco (PD) Il Carroccio spaccato tra Bossi e Maroni Berlusconi: "non riusciranno a farmi fuori" "È una vergogna! Una vera vergogna! Una cosa inaudita, sono dei pazzi. Così c'è davvero il rischio che si torni al clima del '92. pur di colpirmi e di buttare giù il governo rinnegano principi che dovrebbero difendere nel totale disinteresse per le persone": così un Berlusconi furente si sfogava con i suoi tirapiedi, subito dopo la votazione del 20 luglio alla Camera che con 319 sì e 293 no acconsentiva alla richiesta d'arresto per il PDL Alfonso Papa, avanzata dalla procura di Napoli per il suo coinvolgimento nell'inchiesta sulla P4 di Luigi Bisignani. Il neoduce aveva valide ragioni per andare su tutte le furie, non solo perché considera l'autorizzazione all'arresto di un suo parlamentare - la prima concessa dalla Camera dal lontano 1984 - un brutto segnale in vista di altri provvedimenti giudiziari in arrivo per sé e i suoi uomini di cui si vocifera insistentemente, ma anche perché a provocare questo risultato per lui inconcepibile e inatteso sono stati determinanti i voti di una parte consistente della Lega, quelli della corrente che risponde agli ordini di Maroni. Il che apre uno scenario inquietante per la stessa sopravvivenza del suo governo fino alla fine naturale della legislatura. Un colpo tanto più bruciante per lui perché invece, nella contemporanea e analoga votazione al Senato sull'autorizzazione agli arresti domiciliari per il senatore del PD Alberto Tedesco, chiesta dalla procura di Bari in merito all'inchiesta sullo scandalo sanità in Puglia, il suo principale alleato aveva votato no contribuendo a salvare l'ex assessore della giunta Vendola; al quale erano andati anche i voti di alcuni "franchi tiratori" dell'area dalemiana del PD, che coperti dal voto segreto avevano votato in difformità dalla decisione del loro partito di concedere l'autorizzazione all'arresto. "Ho detto no all'arresto. E mi sono fatto due conti: siamo stati una quindicina nel gruppo del PD a respingere la richiesta del tribunale di Bari. Lo abbiamo salvato un po' noi un po' la Lega", ha ammesso candidamente uno di loro, il senatore ex democristiano Lucio D'Ubaldo. Ma anche un altro ex democristiano doc come Franco Marini, pur non dichiarando come aveva votato in aula, ha criticato fortemente la decisione del suo gruppo di votare sì all'arresto. Tra i piddini che hanno votato no insieme a Lega e PDL c'era sicuramente l'ex destra DS Franca Chiaromonte, mentre il dalemiano Latorre ha "sbagliato" a votare, per cui il suo voto non è risultato valido. Vergognosa poi la manfrina di Tedesco, che prima della votazione si era dichiarato per il voto palese e aveva chiesto all'aula di votare sì al suo arresto, guadagnandosi anche gli applausi del suo partito, la stretta di mano della capogruppo Finocchiaro e gli elogi dello stesso Bersani per il suo discorso "di assoluta dignità"; ma poi, appena incassato il salvataggio, ha respinto tutte le richieste di dare per decenza le sue dimissioni con uno sprezzante: "non ci penso proprio. E dico che il carcere preventivo è una barbarie". "Bossi non controlla più il suo partito" E Berlusconi? "Venerdì parlerò con Bossi, mi deve delle spiegazioni. Non controlla più il suo partito", si è sfogato il nuovo Mussolini; ostentando però subito dopo la consueta sicumera: "Il voto di oggi non cambia le cose, anzi. Quanto accaduto ci impone di andare avanti. Se pensano di farmi fuori si sbagliano di grosso. Riusciremo a fare le riforme promesse agli italiani". L'accusa del neoduce al Carroccio è quella di non aver rispettato i patti, perché evidentemente Bossi, dopo una settimana di tentennamenti, aveva finito per garantirgli il salvataggio di Papa sottobanco grazie al voto segreto, anche se la posizione finale e ufficiale della Lega era quella di un sì all'autorizzazione, ma con "libertà di voto secondo coscienza" per i suoi deputati. E tutto lasciava pensare che così sarebbero andate le cose, visto anche che subito prima della votazione il PDL aveva affossato con i suoi stessi voti il decreto rifiuti per Napoli ferocemente osteggiato dalla Lega, come chiara offerta di scambio politico con il salvataggio di Papa. Ma poi le cose in aula si sono svolte diversamente: Bossi non si è presentato, dandosi assente per "ragioni di salute", e Maroni, che dalle sconfitte elettorali di maggio e giugno cavalca il malcontento della base leghista per i continui compromessi con la "casta" dei corrotti, è apparso il vero padrone del campo nel gruppo parlamentare del Carroccio, restando ostentatamente tra i suoi banchi per marcare la distanza dal governo e facendosi perfino vedere dai giornalisti mentre votava sì. A questo punto la spaccatura all'interno del Carroccio, tra l'ala maroniana e il resto del partito ancora controllato da Bossi, non poteva risultare più evidente. Da qui lo sbigottimento del neoduce, che ha preteso e ottenuto rassicurazioni da Bossi sulla fedeltà del Carroccio alla maggioranza di governo per i mesi a venire, ma lasciando trapelare tuttavia tutta la sua diffidenza circa la capacità del vecchio caporione leghista di riprendere in mano il pieno controllo del suo partito: "Io non ho nessun problema, sono loro ad averne uno", ha detto infatti ai giornalisti dopo aver chiesto esplicitamente a Bossi di "isolare Maroni". Egli sa bene che dopo la batosta elettorale e referendaria l'autorità di Bossi si è molto appannata, insieme a quella dei fidati personaggi del cosiddetto "cerchio magico" che lo tengono sotto tutela. Mentre Maroni, come è apparso chiaro anche a Pontida, sta guadagnando sempre più spazio e potere all'interno del Carroccio, potendo contare su alleati di peso come il neopodestà di Verona, Tosi, e quello di Varese, Fontana; e poi l'europarlamentare milanese Salvini e il segretario lombardo della Lega, Giorgetti, mentre ben 49 deputati su 59 avevano firmato per sostituire il capogruppo Reguzzoni, fedelissimo di Bossi e di Berlusconi, con il maroniano bergamasco Stucchi. Cambiamento osteggiato in un primo tempo da Bossi, che però poi ha dovuto concedere per la fine di luglio. Senza contare che anche gli altri gerarchi fascio-leghisti più influenti, come Calderoli, Castelli, Zaia, Cota, Gentilini, non paiono affatto disposti a mettersi contro Maroni per far piacere a Bossi e a Berlusconi, e preferiscono dedicarsi a coltivare il loro potere personale piuttosto che rischiarlo in una faida interna che è appena agli inizi. "Rassicurazioni" sulla tenuta della maggioranza Comunque, nonostante che su Maroni si siano subito puntati gli occhi del fascista ripulito Fini, che l'ha proposto alla guida di un governo di "centro-destra" senza Berlusconi, nonché quelli più sornioni di Casini e Bersani, che sperano in lui piuttosto in funzione del loro progetto di un governo "di unità nazionale", il ministro di polizia razzista e xenofobo ha rassicurato ufficialmente Berlusconi che il voto su Papa non mette in alcun modo a rischio la tenuta dell'alleanza di governo tra PDL e Lega, e che lui lavora per far durare il governo fino al 2013. Altrettanto, dopo lo stesso Bossi, per il quale l'alleanza con Berlusconi "va di bene in meglio", ha fatto Calderoli, dichiarando che il neoduce non solo "mangerà il panettone, ma anche la colomba", rassicurandolo quindi con ciò che il suo governo durerà almeno fino alla prossima primavera. Il nuovo Mussolini si fida e non si fida di queste rassicurazioni. Tanto che sulla bozza di "riforma dell'architettura costituzionale", presentata da Calderoli in Consiglio dei ministri, e da questi data per approvata, egli si è invece dimostrato reticente, rimandandone l'approvazione ufficiale a settembre. Per lui infatti questa "riforma" non assegna ancora abbastanza poteri al premier, e poi contiene delle proposte di riduzione dei "costi della politica" che fanno storcere il naso ai suoi parlamentari. Le occasioni per mettere alla prova la tenuta dell'asse con la Lega non mancheranno di certo, e si chiamano controriforma della giustizia, legge-bavaglio sulle intercettazioni, "processo breve" e quant'altro il neoduce ritiene indispensabile per bloccare i suoi processi in corso e le nuove inchieste in arrivo. Senza contare le altre due richieste d'arresto in pendenza, quella per il ministro dell'agricoltura Saverio Romano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e quella per l'ex uomo di fiducia di Tremonti, Marco Milanese, che rischiano di rappresentare un altro dilemma lacerante per la Lega. Quanto al rifinanziamento delle missioni di guerra, altro tema spinoso per la tenuta della maggioranza, è stato rimandato il voto a martedì 26 per poter alfine trovare un compromesso ed evitare una nuova rottura. Una mano decisiva al neoduce per sfangarla anche stavolta, gliela sta dando come sempre il rinnegato Napolitano, che non vuole assolutamente una crisi di governo con questa turbolenza finanziaria in atto, e che parlando ai giovani magistrati tirocinanti il giorno dopo l'arresto di Papa ha sferrato un duro attacco al "protagonismo mediatico" dei magistrati e all'"abuso delle intercettazioni", onde evitare "l'ormai intollerabile, sterile scontro tra politica e magistratura". Un intervento che è suonato chiaramente come un altolà alla magistratura e alle sue inchieste sui politici corrotti, tanto da suscitare commenti entusiastici da parte di Alfano, presente e annuente compiaciuto al suo fianco, e dello stesso Berlusconi, che ha detto di aver "letto e apprezzato" il discorso del nuovo Vittorio Emanuele III. 27 luglio 2011 |