Alfano costretto a stoppare la legge anti-pentiti Il Pdl però non ritira il testo di Valentino, ex missino e ammanigliato con la mafia "Non è nel programma, e io sono assolutamente contrario". Così il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha motivato il momentaneo stop al ddl anti-pentiti del senatore Pdl Giuseppe Valentino: ex missino, finiano e in odore di 'ndrangheta per voto di scambio. La proposta di un ddl che di fatto azzera la lotta alla mafia cancellando i pentiti e le loro dichiarazioni, si è resa necessaria a partire dal settembre scorso quando sono cominciate a circolare le prime indiscrezioni inerenti le rivelazioni del "pentito" Gaspare Spatuzza sui rapporti fra il neoduce Berlusconi e Marcello Dell'Utri con la mafia. Di fronte all'imminente possibilità di una incriminazione per mafia contro Berlusconi, il gerarca Valentino, avvocato, vice di Niccolò Ghedini nella consulta Pdl per la giustizia e non a caso relatore del processo breve, gioca d'anticipo e il 27 novembre, esattamente una settimana prima della deposizione di Spatuzza che il 4 dicembre scorso davanti ai giudici ha confermato tutte le sue accuse contro Dell'Utri e Berlusconi, presenta l'ennesima legge ad personam e a futura impunità per Berlusconi. Il ddl presentato a palazzo Madama porta il numero progressivo 1.912 e dal 26 gennaio figura tra quelli che saranno esaminati in commissione Giustizia. In tutto si tratta di due articoli. Il relatore è Piero Longo, avvocato di Berlusconi assieme a Ghedini. Il titolo della proposta: "Modifica degli articoli 192 e 195 del codice di procedura penale in materia di valutazione della prova e di testimonianza indiretta" nasconde in realtà delle sostanziali modifiche al codice di procedura penale in quanto stravolge tutto l'impianto legislativo sui collaboratori di giustizia modificando proprio gli articoli che regolano i mezzi di prova e stabiliscono quando una testimonianza può avere valore oppure no in un processo. In via prioritaria il comma 3 del ddl prevede che "Le dichiarazioni del coimputato del medesimo reato o dell'imputato in un procedimento connesso assumano valore probatorio o di indizio solo in presenza di specifici riscontri esterni". Mentre il comma 3-bis: "sancisce l'inidoneità delle dichiarazioni sia pure di più soggetti imputati o coimputati ad assumere valenza probatoria o indiziante se non in presenza di specifici riscontri esterni" e il comma 3-ter completa l'opera in quanto: "prevede il divieto di considerare attendibili dichiarazioni solo parzialmente riscontrabili e non appaganti". In poche parole, col ddl Valentino, tutte le dichiarazioni di un "pentito", nessuna esclusa, devono essere comprovate da "specifici riscontri esterni" per assumere valore di prova. Basta un solo "riscontro parziale" per decretare inattendibili tutte le altre rivelazioni di un pentito. Per capire meglio, facciamo l'esempio di un "pentito" che parla di cinque omicidi. Poniamo il caso che al termine delle indagini gli inquirenti raccolgono prove sufficienti e comprovate da "specifici riscontri esterni" solo per quattro dei cinque imputati. Con l'attuale legislazione si può arrivare tranquillamente a condannare per i primi quattro e assolvere l'ultimo magari per insufficienza di prove. Col ddl Valentino invece i giudici si troverebbero di fronte a un "riscontro parziale" delle dichiarazioni e quindi sarebbero costretti a dichiarare inattendibili tutte le rivelazioni del pentito e mandare assolti tutti e cinque gli imputati. Non solo. Il ddl Valentino di fatto rende impossibile anche l'utilizzo di testimonianze riscontrate in altri procedimenti. Con l'attuale legislazione le dichiarazioni di un testimone che ha appreso notizie fondamentali per il processo da terzi si possono sempre usare "salvo che l'esame risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità". Il ddl Valentino invece menziona solo "l'infermità temporanea". Pertanto, il poliziotto che ad esempio raccoglie l'ultimo fiato della vittima di un killer e che fa il nome del suo assassino non potrà darne testimonianza, né tantomeno potrà farlo chi ha raccolto le confidenze di un immigrato che nel frattempo è scomparso nel nulla. Ecco perché da Palermo, a Reggio Calabria, a Napoli, i magistrati che maggiormente sono impegnati nella lotta alla mafia hanno giustamente protestato contro questo obbrobrio giuridico e filo mafioso sottolineando fra l'altro che esso trasforma in perentoria disposizione quanto scrive l'attuale articolo 192, comma 3, del codice di procedura secondo cui: "Le dichiarazioni sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità". E se è vero che esiste una giurisprudenza ormai acquisita della Cassazione sulla necessità dei cosiddetti "riscontri obiettivi", tuttavia altra cosa è stabilire per legge il valore probatorio "solo" in presenza di "specifici riscontri esterni". Mentre il Pubblico ministero palermitano Antonio Ingroia, in una pausa del processo in cui depone Massimo Ciancimino, ha parlato di "rischio di mettere la pietra tombale su tutti i processi di mafia, ogni malavitoso potrebbe chiedere la revisione". 10 febbraio 2010 |