Per legare le mani ai pm e mettere la mordacchia all'informazione Berlusconi forza i tempi per far approvare la legge-bavaglio sulle intercettazioni Superato facilmente lo scoglio della pregiudiziale di incostituzionalità in commissione Giustizia, grazie all'astensione compiacente dell'UDC, la legge-bavaglio del governo sulle intercettazioni è programmata in aula alla Camera tra mercoledì 12 e giovedì 13 ottobre per l'approvazione finale. Il neoduce ha dato ordine alle sue truppe di "andare avanti come treni" fino alla fine, anche a costo di mettere il voto di fiducia, perché stavolta non accetterà ulteriori rinvii, troppo importante essendo per lui arrestare la valanga di nuove intercettazioni in arrivo, relative alle numerose inchieste e scandali in cui è coinvolto, e che minacciano di finire sui giornali e gli altri mezzi di informazione. E troppo importante è anche legare le mani ai pubblici ministeri (pm) che conducono le inchieste, rendendo loro praticamente impossibile l'uso delle intercettazioni, cosa che questa ennesima legge ad personam gli garantisce, insieme al bavaglio all'informazione. Certo l'ideale per lui, come gli consigliano i suoi gerarchi Ghedini e Alfano, sarebbe riuscire ad approvarla senza la fiducia, cercando di ricucire con il Terzo polo, tutt'altro che disposto a fare le barricate per respingerla, e magari concedendo anche qualche emendamento secondario al PD, in modo da togliere Napolitano dall'imbarazzo di firmare una legge liberticida e imposta per di più con l'ennesimo voto di fiducia. Inoltre, sempre secondo i suoi consiglieri, mostrare una faccia "dialogante" sulle intercettazioni favorirebbe il passaggio rapido al Senato dell'altra legge ad personam, quella sulla "prescrizione breve" per gli incensurati, giusto in tempo per chiudere per sempre il processo Mills e mettere una seria ipoteca su quelli Mediaset e Mediatrade che lo vedono imputato al Tribunale di Milano. Berlusconi ha consentito al tentativo di compromesso, ma ha avvertito i suoi che se questo dovesse fallire non avrà esitazioni a mettere la fiducia, sentendosi spalleggiato anche stavolta da Bossi e dicendosi sicuro non solo di non rischiare imboscate col voto segreto, ma addirittura di strappare una cinquantina di voti in più tra i deputati dell'"opposizione", tra le cui file ce ne sono molti che sulle intercettazioni la pensano come lui. Ad ogni buon conto ha subito riaperto in grande stile la campagna acquisti alla Camera per controbilanciare eventuali defezioni (peraltro assai improbabili su questa legge) dei "frondisti" di Scajola e Pisanu. Un accanimento che dura dal 2008 Varata il 13 giugno 2008, ad appena un mese dal suo insediamento a Palazzo Chigi, sotto la spinta dell'inchiesta di Napoli sul caso Saccà e le raccomandazioni in Rai, la legge-bavaglio sulle intercettazioni voluta da Berlusconi aveva superato il primo passaggio alla Camera l'11 giugno 2009, proprio mentre infuriava sui giornali lo scandalo dei suoi rapporti con la minorenne Noemi Letizia. Il nuovo Mussolini avrebbe voluto un'approvazione veloce in Senato, magari senza modifiche e col voto di fiducia, ma nel frattempo lo scandalo delle escort baresi e il montare delle proteste di massa, con la grande manifestazione di 300 mila persone del 3 ottobre 2009 a Roma per la libertà di informazione, facevano saltare l'agognato blitz. Successivamente altri scandali, come quello degli appalti in cui è coinvolto Bertolaso, quello sulla P3 di Dell'Utri e Carboni e quello di Trani sulle pressioni del premier sull'Agcom per chiudere i programmi Rai considerati "ostili", provocavano ulteriori rinvii della legge-bavaglio, finché il 10 giugno 2010 il Senato approvava a sua volta il disegno di legge del governo con ulteriori modifiche peggiorative riguardanti pesantissime sanzioni agli editori che pubblicano intercettazioni. A questo punto, per superare l'ondata di proteste dei magistrati, dei giornalisti, degli editori e delle masse democratiche scese in piazza, e anche i dubbi sollevati da Napolitano, alle fine l'estensore materiale della legge, Ghedini, e la presidente della commissione Giustizia della Camera, la finiana Giulia Bongiorno, si erano accordati su un "lodo", gradito anche a Napolitano, per apportare alcune modifiche alla legge prima di portarla a Montecitorio per l'approvazione finale. Modifiche che si riassumevano nella possibilità per i giornalisti di pubblicare almeno "per riassunto" le intercettazioni dell'inchiesta dopo il rinvio a giudizio. Successivamente ci sarebbe stata una "udienza filtro", composta dai pm, dal Gip e dagli avvocati della difesa, per vagliare una per una le intercettazioni e decidere quali poter pubblicare e quali destinate a restare segrete per sempre. Ma a quel punto Berlusconi aveva mollato la presa, dichiarando "inutile" la legge perché troppo annacquata, e così il ddl sulle intercettazioni era finito su un "binario morto" alla Camera. Ma a riesumarlo ha provveduto nientemeno che il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, quando il neoduce, furente per le intercettazioni pubblicate sul caso Tarantini-Lavitola, è andato al Quirinale per annunciare che avrebbe fatto un decreto per bloccare le intercettazioni e mettere il bavaglio all'informazione; ma Napolitano gli ha fatto capire che non avrebbe potuto avallare un simile decreto ad personam con la sua firma. Piuttosto, gli ha suggerito, perché non ripescare il ddl sulle intercettazioni fermo da un anno alla Camera? Detto fatto. Il blitz PDL in commissione Giustizia Ed eccoci quindi di nuovo al tentativo di golpe, quello finale, cominciato il 4 ottobre in commissione Giustizia della Camera, con la presentazione, da parte degli emissari di Ghedini, i deputati del PDL Costa e Contento, di un emendamento al testo del ddl nella versione Ghedini-Bongiorno, che elimina anche la possibilità di pubblicazione "per riassunto" delle intercettazioni fino alla "udienza filtro". Dopo questa si potranno pubblicare quelle ammesse ma solo "nel contenuto". Per conoscerle integralmente occorrerà aspettare il processo. E con carcere da sei mesi a tre anni per chi pubblica notizie da distruggere, relative a terze persone non indagate o semplicemente "irrilevanti" ai fini dell'indagine. Non era proprio quanto stabilito dal ddl Mastella (votato all'unanimità nel 2007 sotto il governo Prodi, ndr), che il neoduce avrebbe preferito in quanto secretava totalmente le intercettazioni fino al processo, ma poco ci mancava. Di sicuro, comunque, se fosse stato già in vigore, questo provvedimento sarebbe bastato e avanzato per mettere una pietra tombale su tutte le notizie che sono state pubblicate sulle inchieste e sugli scandali del nuovo Mussolini. Non ne avremmo mai saputo niente. E non solo quelle che lo riguardano, ma tantissime altre per corruzione, mafia, malasanità, speculazione e così via, che sono venute alla luce in questi anni solo grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali. Particolarmente grave anche la norma che obbliga i siti di blog su Internet, pena gravissime sanzioni, a rettificare entro 48 ore e senza spiegazioni notizie su semplice richiesta di chiunque se ne ritenga diffamato. Ciò provocherebbe la chiusura certa di centinaia di blog e un secco giro di vite liberticida nell'uso della rete. Per protesta il popolare sito di Wikipedia ha attuato una sorta di "sciopero" bloccando l'accesso alla consultazione delle voci, e che è durato finché il governo non ha precisato che la norma non riguarderà i blog amatoriali ma "solo" quelli ufficiali delle testate giornalistiche on-line. Contro la legge-bavaglio stanno riprendendo anche le manifestazioni di piazza, come quella svoltasi al Pantheon il 4 ottobre, e sono entrati di nuovo in agitazione i sindacati dei giornalisti. Anche gli editori italiani si stanno mobilitando, con un appello che sta girando alla fiera del libro di Francoforte. Manovre per rabbonire l'"opposizione" Il blitz del PDL provocava le dimissioni per protesta della finiana Bongiorno da relatrice del provvedimento, in quanto colpiva il diritto di cronaca (e prima no? ndr), e che si vedeva stracciare il suo "lodo" dagli uomini del neoduce obbedienti "al suo schioccare di dita". A questo punto il ddl tornava interamente nelle mani del PDL, cioè di Costa e Contento, che pur rinunciando per adesso ai voti finiani non disperavano tuttavia di riuscire ad ottenere quelli dell'UDC. I segnali in questo senso da parte degli ex democristiani di Casini non erano mancati. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Vietti, aveva definito "non irragionevole" l'emendamento Costa, e lo stesso Casini aveva ribadito la necessità di una legge per porre fine "all'obbrobrio delle telefonate sui giornali". Il risultato di queste manovre è stato l'abbandono della pregiudiziale di incostituzionalità da parte dell'UDC e la sua astensione sull'emendamento PDL, che ha così potuto passare il vaglio della commissione. Adesso i relatori Costa e Contento sono al lavoro per ricucire col Terzo polo, quantomeno per ottenerne un voto di astensione ed evitare così il voto di fiducia. Il loro fitto lavorio sottotraccia riguarda anche il PD, che si è già messo nella classica posizione di non rifiuto pregiudiziale della legge per presentare i suoi emendamenti "migliorativi". Uno di questi, proposto dalla responsabile Giustizia Donatella Ferranti, propone pene "differenziate" per chi pubblica notizie proibite: invece che il carcere da 3 a 6 anni, "soltanto" 90 giorni e un'ammenda da 5 a 30 mila euro per le intercettazioni destinate alla distruzione o che riguardano terzi non indagati. E 45 giorni di carcere e multa da 3 a 15 mila euro per le notizie "irrilevanti". Ecco cosa intendeva dire il liberale Bersani annunciando che il PD si sarebbe messo "di traverso con tutta la sua forza" alle leggi-vergogna di Berlusconi! Mentre scriviamo Fabrizio Cicchitto, capogruppo del PDL alla Camera, annuncia il rinvio dell'esame in aula del ddl. Una decisione che ha l'aspetto della manovra per prendere tempo e riorganizzare le fila dopo che il governo è stato battuto in aula a Montecitorio sul voto di Bilancio. Ciò non cambia la sostanza della questione politica. Solo con una sollevazione immediata delle piazze sarà possibile invece impedire quest'ennesimo scempio di quel poco che resta delle libertà democratico-borghesi, che il nuovo Mussolini sta per imporre, con la copertura di Vittorio Emanuele Napolitano, a un parlamento nero pieno di corrotti, mafiosi e venduti e con un'"opposizione" inetta, rimbambita e imbelle di fronte ai suoi continui golpe liberticidi e anticostituzionali. 12 ottobre 2011 |