Il "legittimo impedimento" approvato alla Camera Un'altra legge-vergogna per salvare Berlusconi dai processi Bersani si appella al "senso di responsabilità" del neoduce e al "risveglio" della Lega. Napolitano garantisce la sua firma ad Alfano Messo a segno il golpe istituzionale del "processo breve" al Senato, il governo neofascista di Berlusconi ne ha subito piazzato un altro alla Camera col "legittimo impedimento". Una tenaglia micidiale con cui il neoduce Berlusconi tiene per il collo il parlamento nero e non lo mollerà finché non gli avrà concesso un'immunità sicura dai processi in corso e futuri che lo riguardano. Quest'ultimo provvedimento, poi, è solo una legge "ponte" che, come dice il suo titolo, gli consentirà per un anno e mezzo di prendersi semplicemente beffe delle convocazioni alle udienze firmandosi da sé la giustificazione. Un tempo sufficientemente lungo per far approvare dal parlamento un nuovo lodo Alfano che superi stavolta il vaglio della Corte costituzionale con la manomissione di alcuni articoli della Costituzione stessa e con un eventuale referendum popolare. E se qualcosa dovesse andare storto in questo ingranaggio c'è sempre il "processo breve" già approvato in Senato e non affatto ritirato, che può essere presentato in qualunque momento alla Camera per un rapido incasso. Senza contare la legge sulla reintroduzione dell'immunità parlamentare che può essere sempre tirata fuori dal cassetto all'occorrenza. "Andava fatta e l'abbiamo fatta; c'è sempre qualche moralista ma questa è la dimostrazione che la maggioranza è molto forte", ha commentato trionfalmente Bossi, compiaciuto della schiacciante maggioranza di 316 voti a favore (Pdl e Lega) contro 239 contrari (PD, IdV, ApL) e 40 astenuti (UdC e altri) con cui il "legittimo impedimento" è stato approvato il 3 febbraio, nel giro di un paio di sedute e a passo di carica da una maggioranza presente al gran completo e compatta come non mai. Il compiacimento del caporione della Lega neofascista, secessionista e razzista è motivato anche dalla crescente posizione di forza che ha assunto nella coalizione nera e nel sostegno al neoduce Berlusconi, sostegno che per il premier plurinquisito e le sue leggi-vergogna risulta sempre più indispensabile. Invece il PD non ha avuto il coraggio di chiedere il voto segreto, segno che non era nemmeno sicuro che qualche suo deputato potesse approfittarne per votare a favore del provvedimento pro-Berlusconi. Per tutto ciò sono un segno di impotenza e assumono un tono ridicolo, nel suo intervento in aula, gli appelli di Bersani alla maggioranza a "fermare questa corsa dissennata di cui il fatto di oggi è solo il primo passo", e al neoduce Berlusconi a "compiere un atto di responsabilità", a "mettere davanti a sé l'Italia e affrontare a viso aperto la sua situazione, fruendo dell'attuale quadro di garanzia, che vale per tutti i cittadini, come fanno tutti i nostri amministratori e i nostri governanti". Un tono che diventa addirittura patetico - se non fosse la spia di un profondo stato di confusione e di deriva verso destra - nell'appello che a commento del voto il segretario del PD ha rivolto alla Lega di Bossi a "svegliarsi", perché "se il Carroccio si sveglia, allora sì che la maggioranza entra in crisi. I loro elettori non si faranno prendere in giro ancora a lungo". Di ricorrere alla piazza per far cadere Berlusconi, neanche a parlarne. Il capo dei rinnegati e dei riformisti italiani si appella al "senso di responsabilità" del nuovo Mussolini e per il resto si affida al caporione leghista Bossi perché venga a togliergli le castagne dal fuoco! Lo stesso Di Pietro, che nel suo intervento, al contrario del farfugliante Bersani, ha sparato a zero contro il provvedimento "porcata" e il suo beneficiario, e che a parole ha pure promesso al premier di fare il possibile "per risvegliare le coscienze e accrescere la conoscenza degli italiani sulla sua persona, affinché possano impegnarsi per disarcionarla dalla sedia di comando prima che sia troppo tardi", si è ben guardato dall'evocare la lotta di piazza per conseguire tale obiettivo. Il suo "disarcionamento" di Berlusconi è affidato perciò unicamente alle urne, a un possibile colpo di palazzo o a un'eventuale condanna giudiziaria. Al capitolazionismo di Bersani e all'opportunismo di Di Pietro occorre aggiungere, per completare il quadro dell'"opposizione" parlamentare di cartone al provvedimento, il vergognoso atteggiamento del democristiano Casini, che dopo aver ideato e suggerito egli stesso al neoduce questa ennesima legge-vergogna, come merce di scambio nella partita sulle candidature comuni alle prossime regionali, l'ha appoggiata fino in fondo, compreso il voto insieme alla maggioranza nel respingere l'eccezione di incostituzionalità, salvo l'astensione nella votazione finale per salvare le forme. La tesi del leader democristiano dell'UdC della "riduzione del danno" come alternativa al "processo breve" è ipocrita e falsa, tant'è vero che il neoduce non ha affatto rinunciato a quel provvedimento e se lo tiene sempre in serbo come arma finale. Anche perché esso gli garantirebbe un'impunità definitiva con la cancellazione pura e semplice dei processi in corso. Quanto ad altri futuri basterà tirarli per le lunghe - arte in cui avvocati e mezzi non gli mancano di certo - quanto basta per mandarli in prescrizione. Intanto il nuovo Mussolini ottiene lo scopo di bloccare i processi Mills e Mediaset già in corso, perché il disegno di legge appena approvato alla Camera e subito passato al Senato per una seconda e definitiva approvazione lampo, gli permette di far rinviare le udienze di 6 mesi in sei mesi, fino a un totale di 18, accampando tutta una serie di motivi legati alle sue funzioni di governo, "nonché di ogni attività comunque coessenziale alle funzioni di governo". Questo privilegio viene esteso anche a tutti i ministri, e solo per troppa indecenza non è passata l'estensione anche ai sottosegretari. Ad attestare la veridicità di tali impedimenti non saranno i giudici o una speciale commissione ma la presidenza del Consiglio stessa, che così "autocertifica" l'impossibilità di premier e ministri a presenziare alle udienze, senza possibilità di essere confutata. Nella riuscita di questo nuovo golpe istituzionale ha dato una mano anche il rinnegato Napolitano, assicurando al gerarca alla Giustizia Alfano, facente veci del neoduce in visita di Stato in Israele, che non avrebbe fatto mancare la sua firma in calce al provvedimento. Gli è bastato essere rassicurato sul disegno di legge che vanifica praticamente le deposizioni dei collaboratori di giustizia presentato dal deputato del Pdl e spalla di Ghedini, Giuseppe Valentino, che metterebbe a rischio centinaia di processi di mafia, anche già celebrati. Alfano gli ha detto che quel ddl è "un'iniziativa personale" che non rientra nel programma di governo, e tanto è bastato al capo dello Stato per anticipare che avrebbe controfirmato il "legittimo impedimento" e dargli così via libera in parlamento. Intanto il ddl Valentino sui pentiti di mafia rimane depositato al Senato come una bomba innescata da far esplodere all'occorrenza. 10 febbraio 2010 |