Lenin
La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky
96° Anniversario della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre
Impariamo da Lenin a smascherare la democrazia borghese, i revisionisti e i riformisti
A distanza di quasi un secolo da quando fu scritta da Lenin, nel fuoco ancora divampante della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre che proprio in quel periodo, tra l'ottobre e il novembre 1918, celebrava il suo primo anniversario, "La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky" mantiene ancora intatta la sua magistrale freschezza e attualità di preziosa fonte di insegnamenti e di guida a disposizione degli operai, dei lavoratori, dei giovani che vogliono cambiare il mondo, degli anticapitalisti e di tutti i fautori del socialismo, per comprendere a fondo e smascherare la vera natura di classe della democrazia borghese e i suoi servi revisionisti e riformisti comunque camuffati. Per questo la pubblicazione su "Il Bolscevico", cogliendo l'occasione del 96° Anniversario della Rivoluzione d'Ottobre.
Scritta in risposta all'opuscolo "La dittatura del proletariato", pubblicato pochi mesi prima da Kautsky per attaccare la Rivoluzione d'Ottobre, i Bolscevichi e la dittatura del proletariato, l'opera di Lenin anticipa la rottura dei comunisti (oggi marxisti-leninisti) con i revisionisti e riformisti che verrà sancita pochi mesi dopo, nel marzo 1919, con la fondazione a Mosca della III Internazionale comunista. Come tale rappresenta ancora oggi per i marxisti-leninisti un modello per tracciare una netta linea di demarcazione con i falsi comunisti, revisionisti e riformisti di ogni risma che, come i socialdemocratici alla Kautsky e Turati di allora, servono la classe dominante borghese fingendo di stare dalla parte del proletariato e del popolo. Anzi, spesso ne sono i servi più fedeli e zelanti, come il rinnegato e golpista Giorgio Napolitano.
Un'opera meravigliosamente attuale
L'opera di Lenin smaschera e demolisce ad una ad una, con implacabile e rigorosa dialettica marxista, tutte le accuse revisioniste e liberali rivolte dall'allora più influente esponente della II Internazionale socialdemocratica alla giovane Repubblica socialista dei Soviet. Accuse basate su concetti borghesi come la "democrazia pura", il "suffragio universale", il parlamento (l'Assemblea costituente in quel caso) come luogo di massima espressione della "democrazia", lo Stato e il governo "al di sopra delle classi", e su tutto l'armamentario classico della democrazia borghese: lo stesso infatti al quale ancora oggi il sistema capitalistico attinge a piene mani per mascherare e perpetuare la sua dittatura di classe e lo sfruttamento della classe operaia.
Per questo leggere quest'opera di Lenin ci suona ancora meravigliosamente attuale, svelandoci l'essenza stessa e i meccanismi occulti di questo grande inganno di classe come meglio non si potrebbe fare, se non ci si lascia confondere dall'apparente maggior complessità delle società borghesi di oggi rispetto ad allora e si guarda alla sostanza delle cose: siamo pur sempre nell'epoca dell'imperialismo come fase suprema del capitalismo, già analizzata e svelata completamente da Lenin, e i suoi meccanismi perversi, le contraddizioni inestinguibili che lo muovono, i suoi falsi valori liberali "universali" dietro cui maschera la sua insaziabile sete di profitto e di rapina dei popoli, non sono affatto cambiati nella sostanza da allora.
Anzi, proprio oggi e a maggior ragione, la "globalizzazione" planetaria dell'imperialismo, che si è potuta realizzare anche grazie alla capitolazione dei regimi revisionisti e la restaurazione del capitalismo in Russia e in Cina, con la mostruosa "finanziarizzazione" su scala mondiale dell'economia capitalista e la conseguente e devastante crisi economica e finanziaria internazionale, riconfermano in pieno tutta la giustezza e l'attualità dell'analisi di Lenin: la concentrazione monopolistica del capitalismo, giunta oggi a livelli spaventosi con la maggior parte dell'economia capitalistica globalizzata in mano a un pugno di grandi multinazionali, il predominio ancor più abnorme del capitale finanziario sul capitale produttivo, le nuove guerre imperialiste che si addensano all'orizzonte per la spartizione del mondo tra superpotenze, disegnano in dimensioni solo più allargate e complesse uno scenario del tutto simile nelle sue linee fondamentali a quello già descritto e spiegato da Lenin in piena prima guerra mondiale imperialista.
Democrazia per quale classe?
Ma l'insegnamento di Lenin vale, ieri come oggi, anche per la sovrastruttura con cui il capitalismo e l'imperialismo ammantano il loro barbaro sistema di sfruttamento, rapina e guerra. Di cui la democrazia borghese, fondata sul parlamentarismo, sull'elettoralismo, sulla cosiddetta "libertà di stampa" e sul rispetto della "legalità" e dell'"ordine" è il pilastro fondamentale, l'inganno dietro il quale la borghesia nasconde la sua dittatura di classe e giustifica la schiavitù salariata: "Democrazia per quale classe?", ribatte infatti inesorabile Lenin alle giaculatorie kautskiane sulla "democrazia pura".
Da qui emerge tutta l'attualità di questa opera di Lenin, che smascherando il rinnegato Kautsky smaschera anche l'essenza della democrazia borghese con tutti i suoi orpelli, tracciando una netta linea di demarcazione tra la democrazia borghese (la "democrazia pura", che starebbe addirittura "a monte" del socialismo, dietro cui la nasconde lo storico tedesco) e la democrazia proletaria: tanto formale e falsamente "universale" la prima, quanto sostanziale e dichiaratamente di classe, ma a favore del proletariato e contro la borghesia, la seconda.
"Nel più democratico Stato borghese - chiarisce infatti Lenin - le masse oppresse urtano ad ogni passo contro la più stridente contraddizione tra l'uguaglianza formale, proclamata dalla "democrazia" dei capitalisti, e le infinite restrizioni e complicazioni reali, che fanno dei proletari degli schiavi salariati. Appunto questa contraddizione apre gli occhi alle masse sulla putrescenza, la menzogna e l'ipocrisia del capitalismo".
Quanto poi al parlamento borghese, "che mai nella democrazia borghese decide delle questioni più importanti: esse vengono decise dalla Borsa, dalle Banche", sottolinea Lenin, il suo accesso "è sbarrato alle masse lavoratrici da mille ostacoli, e i lavoratori sanno e sentono, vedono e intuiscono perfettamente che il Parlamento borghese è un'istituzione a loro estranea, un'arme per l'oppressione dei proletari da parte della borghesia, un'istituzione della classe nemica, della minoranza sfruttatrice". Come non cogliere l'estrema attualità di questo sferzante giudizio pensando al nostro Paese oggi e alla degenerazione a cui è arrivato il parlamento nero del regime neofascista, un parlamento pieno di nominati, inquisiti, condannati, corrotti, venduti e mafiosi quale mai si era visto nella storia della repubblica borghese?
Nella democrazia borghese la libertà di stampa è solo un'ipocrisia, e i capitalisti la negano al proletariato e alle sue organizzazioni "con mille raggiri, tanto più abili ed efficaci quanto più è sviluppata la democrazia 'pura'", denuncia Lenin. E ciò è vero a maggior ragione oggi che viviamo in pieno regime neofascista, dove anche questa ipocrisia lascia sempre più il posto alla censura fascista aperta, come dimostra la recente indagine giudiziaria aperta a carico de "Il Bolscevico" per aver denunciato in un articolo il presidio squadristico di alcuni poliziotti contro la madre di Aldrovandi. Per non parlare del ferreo black-out stampa e mediatico che da sempre viene riservato al PMLI nel tentativo di non farlo conoscere alle masse e ritardare il suo sviluppo in tutto il Paese.
Democrazia borghese ieri e oggi
Lenin analizzava e smascherava la vera natura di classe della democrazia e dello Stato borghesi, come macchina per l'oppressione e il mantenimento della schiavitù salariata, in un'epoca in cui la democrazia e lo Stato borghesi potevano avere ancora un'attrattiva progressista, specie in società ancora semifeudali e monarchiche come esistevano allora diffusamente in Europa e nella stessa Russia. E perciò il suo compito era tanto più arduo, tant'è vero che una delle argomentazioni principali di Kautsky per attaccare i bolscevichi e la dittatura del proletariato si basava proprio sull'accusa di aver fatto "saltare" alla Russia la fase democratico borghese per instaurare non il socialismo ma solo un regime antidemocratico e tirannico. Nel senso inteso da un liberale borghese e un rinnegato come lui, che però nel movimento operaio internazionale godeva ancora della fama di autorevole teorico marxista.
Ma tutto quello che Lenin ha dovuto chiarire e smascherare, battendo le più incallite concezioni revisioniste e riformiste allora prevalenti tra i partiti socialdemocratici, oggi è sotto gli occhi di tutti, con le democrazie borghesi che si fascistizzano sempre di più, i parlamenti che sono sempre più esautorati e i governi sempre più presidenzialisti e autoritari, e che a loro volta si fanno dettare legge dai grandi monopoli e dalle grandi lobby finanziarie internazionali. Quando sono la Ue, la Bce e il Fondo monetario internazionale a dettare la politica economica liberista di "lacrime e sangue" ai governi e ai parlamenti borghesi, che la inseriscono addirittura nella Costituzione (vedi "riforma" dell'art. 81 in Italia), politica a sua volta imposta dai "mercati" finanziari capitalistici mondiali; quando la più potente banca d'affari mondiale come la statunitense JP Morgan suggerisce a questi governi e parlamenti borghesi di adottare Costituzioni fasciste per obbligare le masse ad accettare tale politica ultraliberista e di massacro sociale; e quando è dimostrato che la massima superpotenza imperialista, gli Usa, spiano e tengono sotto controllo il mondo intero, allora tutti i discorsi dei revisionisti e riformisti nostrani, eredi del rinnegato Kautsky, che si riempiono sempre la bocca con la democrazia (borghese) come "valore assoluto", al di sopra delle classi e delle "ideologie", diventano semplicemente ridicoli.
La lezione di Lenin
Al contrario, la lezione di Lenin riceve da ciò la più lampante delle conferme. E la lezione è che la democrazia borghese non può essere il modello a cui aspirare per il proletariato. Neanche se la si "tira" a sinistra, come certe forze ed esponenti liberali e riformisti alla Rodotà, Zagrebelsky e Landini vorrebbero fare con la Costituzione borghese del 1948, quando oltretutto essa è stata stravolta da destra già da tempo e sta ormai per esserlo anche formalmente, con la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista sponsorizzata dal rinnegato Napolitano, dal democristiano Letta e dal neoduce Berlusconi.
L'unico modello valido a cui ispirarsi per cambiare davvero l'Italia e realizzare una nuova società senza sfruttamento e in cui regni una democrazia reale per il proletariato e le masse lavoratrici e popolari, non può essere che quello indicato da Marx ed Engels, realizzato per la prima volta da Lenin con la Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre e continuato da Stalin e da Mao: il socialismo, di cui la dittatura del proletariato per difenderlo e impedire che la borghesia riprenda il potere è, come ha chiarito per sempre Lenin, uno strumento indispensabile e fondamentale.
6 novembre 2013
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Prefazione
L'opuscolo di Kautsky, La dittatura del proletariato, uscito recentemente a Vienna (Wien, 1918, Ignaz Brand, pp. 63), fornisce uno degli esempi più lampanti del più completo e ignominioso fallimento della lI internazionale, di cui da molto tempo parlano tutti i socialisti onesti di tutti paesi. La questione della rivoluzione proletaria si pone oggi praticamente all'ordine del giorno in tutta una serie di Stati. E' quindi necessario analizzare i sofismi da rinnegato di Kautsky e la sua totale abiura del marxismo. Bisogna anzitutto sottolineare che l'autore di queste pagine, fin dall'inizio della guerra, è stato costretto a indicare più volte la rottura di Kautsky con il marxismo. Tra il 1914 e il 1916 numerosi articoli sono stati dedicati a questo tema nel Sotsialdemokrat e nel Kommunist pubblicati all'estero. Questi articoli sono stati in seguito raccolti in un volume edito dal soviet di Pietrogrado: G. Zinoviev e N. Lenin, Controcorrente, Pietrogrado, 1918 (pp. 550). In un opuscolo, edito a Ginevra, così scrivevo intorno aI "kautskismo":
"Kautsky, la maggiore autorità della II internazionale, rappresenta un esempio estremamente tipico e chiaro del modo in cui il riconoscimento verbale del marxismo ha condotto in pratica alla sua trasformazione in "struvismo" o in "brentanismo" [cioè in una dottrina liberal-borghese, che riconosce per iI proletariato una lotta "di classe" non rivoluzionaria: la qual cosa è stata espressa in modo particolarmente nitido dal pubblicista russo Struve e dall'economista tedesco Brentano]. Lo vediamo anche nel caso di Plekhanov. Con evidenti sofismi si priva il marxismo della sua viva anima rivoluzionaria; del marxismo si ammette tutto, tranne i mezzi rivoluzionari di lotta, la loro propaganda e preparazione, l'educazione delle masse appunto in questa direzione Kautsky "concilia'', senza preoccuparsi dell'ideologia, il pensiero fondamentale del socialsciovinismo, il riconoscimento della difesa della patria nella guerra attuale, con una concessione diplomatica, formale, agli uomini della sinistra, consistente nell'astenersi dal votare i crediti di guerra, nell'affermare a parole il proprio atteggiamento di opposizione, ecc. Kautsky, che nel 1909 aveva scritto tutta un'opera sull'approssimarsi dell'epoca delle rivoluzioni e sul nesso esistente tra la guerra e la rivoluzione, Kautsky, che nel 1912 ha firmato il manifesto di Basilea sull'utilizzazione rivoluzionaria della guerra imminente, giustifica ora in tutti i modi e mette in buona luce il socialsciovinismo, e, al pari di Plekhanov, si unisce alla borghesia, per schernire ogni proposito di rivoluzione, ogni passo verso un'immediata lotta rivoluzionaria.
"La classe operaia non può assolvere la sua funzione rivoluzionaria mondiale senza condurre una lotta spietata contro questo tradimento, contro questa mancanza di carattere, contro questo servilismo dinanzi all'opportunismo e contro questo inaudito avvilimento teorico del marxismo. Il kautskismo non è un caso, ma il prodotto sociale delle contraddizioni della II Internazionale, del connubio tra la fedeltà verbale al marxismo e la sottomissione effettiva all'opportunismo" (G. Zinoviev e N. Lenin, Il socialismo e la guerra, Ginevra, 1915, pp. 1314).
Inoltre, nel mio libro L'imperialismo, fase contemporanea del capitalismo, scritto nel 1916 (e pubblicato a Pietrogrado nel 1917), ho analizzato minuziosamente la falsità teorica di tutti i ragionamenti di Kautsky intorno all'imperialismo. Ho citato la definizione dell'imperialismo data da Kautsky: "L'imperialismo è il prodotto del capitalismo industriale, altamente sviluppato. Esso consiste nella tendenza di ciascuna nazione industriale capitalistica ad assoggettarsi e ad annettersi un sempre più vasto territorio agrario [il corsivo è di Kautsky] senza preoccuparsi delle nazioni che lo abitano". Ho dimostrato che questa definizione è radicalmente sbagliata, che essa è "adattata" in modo da dissimulare le contraddizioni più profonde insite nell'imperialismo, per trovare poi un terreno di conciliazione con l'opportunismo. E ho dato la mia definizione dell'imperialismo: "L'imperialismo è il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo fra i trusts internazionali ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre fra i più grandi paesi capitalistici". Ho dimostrato che la critica dell'imperialismo è in Kautskv inferiore persino alla critica borghese e piccolo-borghese.
Infine, nell'agosto e nel settembre 1917, prima cioè della rivoluzione proletaria in Russia (25 ottobre7 novembre 1917), ho scritto l'opuscolo Stato e rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e compiti dei proletariato nella rivoluzione, uscito a Pietrogrado agli inizi del 1918. Qui, nel capitolo VI, La degradazione del marxismo negli opportunisti, ho riservato particolare attenzione a Kautsky, dimostrando come egli abbia travisato completamente la dottrina di Marx, come l'abbia adattata all'opportunismo, come abbia "rinunciato di fatto alla rivoluzione pur riconoscendola a parole".
In sostanza, l'errore teorico fondamentale di Kautsky nell'opuscolo sulla dittatura del proletariato consiste appunto nel travisamento opportunistico della dottrina di Marx sullo Stato, travisamento svelato minuziosamente nel mio opuscolo Stato e rivoluzione.
Queste considerazioni preliminari erano necessarie per documentare che io ho accusato apertamente Kautsky di essere un rinnegato molto tempo prima che i bolscevichi prendessero il potere dello Stato e fossero per questo condannati da Kautskv.
Come Kautsky trasforma Marx in un liberale volgare
La questione principale trattata da Kautsky nel suo opuscolo è quella del contenuto fondamentale della rivoluzione proletaria, cioè appunto della dittatura del proletariato. E' questo un problema che assume la massima importanza per tutti i paesi, particolarmente per i più progrediti, particolarmente per i paesi belligeranti, soprattutto nel momento attuale. Si può dire senza esagerazione che questo è il problema centrale di tutta la lotta di classe. Ed è quindi necessario esaminarlo attentamente.
Kautsky pone la questione dicendo che "l'opposizione tra le due tendenze socialiste" (cioè tra i bolscevichi e i non bolscevichi) è "l'opposizione di due metodi radicalmente diversi: il metodo democratico e il metodo dittatoriale" (p. 3).
Notiamo di sfuggita che Kautsky, chiamando socialisti i non bolscevichi di Russia, cioè i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, tiene conto soltanto della loro denominazione, come dire di una parola, e non del posto reale che essi occupano nella lotta del proletariato contro la borghesia. Bel modo di capire e di applicare il marxismo! Ma su questo ritorneremo pii ampiamente in seguito.
Per il momento atteniamoci all'essenziale, alla grande scoperta di Kautsky sulla "radicale opposizione" "dei metodi democratico e dittatoriale". Sta qui il nodo della questione. Sta qui la sostanza dell'opuscolo di Kautsky. E si tratta di una confusione teorica così mostruosa, di un'abiura così completa del marxismo che, bisogna ammetterlo, Kautsky ha di molto sorpassato Bernstein.
La questione della dittatura del proletariato è la questione dell'atteggiamento dello Stato proletario verso lo Stato borghese, della democrazia proletaria verso la democrazia borghese. La cosa parrebbe chiara come la luce del sole. Ma Kautsky, proprio come un professore di liceo mummificato nella ripetizione dei manuali di storia, volge ostinatamente le spalle al secolo XX e, con Io sguardo fisso al XVIII secolo, rimastica noiosamente per la centesima volta, in tutta una serie di paragrafi, la vecchia storia dell'atteggiamento della democrazia borghese verso l'assolutismo e il medioevo!
Sembra davvero che egli mastichi stoppa nel sonno!
Questo significa non capire assolutamente niente del perché delle cose. Non si può che sorridere degli sforzi di Kautsky di far vedere che certa gente predica il "disprezzo per la democrazia" (p. 11), ecc. Con simili futilità Kautsky è costretto a intricare e ad annebbiare il problema, perché egli lo pone da liberale, parlando della democrazia in generale, e non della democrazia borghese; anzi, egli evita persino questo concetto preciso, classista, e cerca di parlare di democrazia "presocialista". Il nostro ciarlone ha riempito quasi un terzo del suo opuscolo, 20 pagine su 63, con una chiacchierata assai gradevole per la borghesia, perché equivale al tentativo di abbellire la democrazia borghese e di velare la questione della rivoluzione proletaria.
Ma tuttavia l'opuscolo di Kautsky si intitola La dittatura del proletariato. Che stia qui appunto la sostanza della dottrina di Marx è cosa universalmente nota. E Kautsky, dopo la lunga chiacchierata fuori tema, è stato costretto a riportare le parole di Marx sulla dittatura del proletariato.
Il modo in cui il "marxista" Kautsky lo ha fatto è una vera commedia! Ascoltate:
"Questa concezione [che Kautsky definisce disprezzo per la borghesia] poggia su una sola parola di Marx": così è detto, letteralmente, a p. 20. e a p. 60 la cosa è ripetuta nel senso che i bolscevichi "si sono ricordati tempestivamente della parolina [letterale!! des Wörtchens] sulla dittatura del proletariato usata una volta da Marx, nel 1875, in una lettera".
Ecco la "parolina" di Marx:
"Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. A esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, in cui lo Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato".
Anzitutto, chiamare "una sola parola", anzi "una parolina", questo celebre ragionamento di Marx, che riassume tutta la sua teoria rivoluzionaria, significa prendersi giuoco del marxismo, significa rinnegarlo completamente. Non si deve dimenticare che Kautsky conosce Marx quasi a memoria; che, a giudicare da tutti i suoi testi, egli ha sullo scrittoio o nel cervello una serie di schedari, nei quali tutti gli scritti di Marx sono accuratamente classificati nel modo più pratico per essere citati. Kautsky non può non sapere che tanto Marx quanto Engels hanno parlato ripetutamente della dittatura del proletariato sia nelle lettere che nei testi a stampa, prima e soprattutto dopo la Comune. Kautsky non può non sapere che la formula della "dittatura del proletariato" è soltanto una definizione più concreta storicamente e scientificamente più esatta del compito del proletariato di "spezzare" la macchina statale borghese, compito del quale sia Marx che Engels, tenendo conto delle rivoluzioni del 1848 e ancor più di quella del 1871, hanno parlato per ben quaranta anni, dal 1852 al 1891.
Come spiegare questo mostruoso travisamento del marxismo da parte di un esegeta del marxismo come Kautsky? Se si considera il fondamento filosofico di questo fenomeno, si tratta soltanto della sostituzione della dialettica con l'eclettismo e la sofistica. Kautsky è un gran maestro in questo genere di sostituzioni. Sul piano pratico-politico, si tratta soltanto di servilismo verso gli opportunisti, cioè in fin dei conti, verso la borghesia. Progredendo a grandi passi dopo l'inizio della guerra, Kautsky è diventato un virtuoso nell'arte di essere un marxista a parole e un lacchè della borghesia nei fatti.
Per convincersene meglio, basta considerare il modo in cui Kautsky "interpreta" la "parolina" di Marx sulla dittatura del proletariato. Ascoltate:
"Purtroppo, Marx ha dimenticato di indicare più ampiamente come egli si rappresenti questa dittatura [proposizione assolutamente falsa e da rinnegato perché Marx e Engels hanno fornito precisamente molte indicazioni minuziose che Kautsky, esegeta del marxismo, tralascia di proposito...] Letteralmente, la parola dittatura significa soppressione della democrazia. Ma, s'intende, quando sia presa alla lettera, questa parola significa anche potere personale di un singolo individuo, non vincolato da alcuna legge. Potere personale che differisce dai dispotismo perché è concepito non come un ordinamento statale permanente, ma come una misura transitoria di emergenza.
"L'espressione "dittatura del proletariato", quindi non dittatura di un singolo ma di una classe di per sé che Marx abbia pensato a una dittatura nel senso letterale citi termine.
"Egli non parlava di una forma di governo, ma di uno stato di fatto, che deve prodursi di necessità dovunque il proletariato conquisti il potere politico. Che Marx non avesse qui in mente una forma di governo è attestato dal tatto che, a suo parere, in Inghilterra e in America il passaggio può avvenire pacificamente e, quindi, per via democratica" (p. 20)
Di proposito abbiamo riportato per esteso questo ragionamento, perché il lettore possa vedere con chiarezza con quali metodi operi il "teorico" Kautsky.
Egli ha voluto affrontare il problema muovendo dalla definizione della "parola" dittatura.
Molto bene. E' sacrosanto diritto di ognuno affrontate una questione come meglio crede. Basta solo distinguere tra modo serio e onesto di accostarsi ad un problema e il modo disonesto. Chi voglia prendere le cose sul serio, nell'affrontare in un dato modo la questione, deve dare la sua definizione della "parola". Il problema viene allora impostato in modo chiaro e franco. Ma Kautsky non lo fa. "Letteralmente, egli scrive, la parola dittatura significa soppressione della democrazia."
Anzitutto, questa non è una definizione. Se a Kautsky piaceva evitare una definizione del concetto di dittatura, perché mai ha scelto questo modo di affrontare il problema?
Inoltre, l'affermazione di Kautsky è palesemente sbagliata. E' naturale che un liberale parli di "democrazia" in genere. Ma un marxista non dimenticherà mai di domandarsi: "Per quale classe?". Tutti sanno, ad esempio, e non lo ignora neanche lo "storico" Kautsky, che le rivolte e persino il grande fermento degli schiavi nell'antichità hanno messo bruscamente a nudo l'essenza dello Stato antico come dittatura dei proprietari di schiavi. Ebbene, distruggeva questa dittatura la democrazia tra i proprietari di schiavi, per i proprietari di schiavi? Tutti sanno che non la distruggeva.
Il "marxista" kautsky ha detto una mostruosa assurdità e una menzogna, perché "ha dimenticato" la lotta di classe...
Per trasformare l'affermazione liberale e menzognera di Kautsky in un'affermazione marxista e veritiera, bisogna dire che dittatura non significa obbligatoriamente soppressione della democrazia per la classe che esercita questa dittatura sulle altre classi, ma significa obbligatoriamente soppressione (o sostanziale restrizione, che è anch'essa una forma dì soppressione) della democrazia per la classe su cui o contro cui la dittatura viene esercitata.
Quest'affermazione è vera e, tuttavia, non definisce ancora la dittatura.
Esaminiamo la frase successiva di Katitsky:
"Ma, s'intende, quando sia presa alla lettera, questa parola significa anche potere personale di un singolo individuo, non vincolato da alcuna legge".
Come un cucciolo cieco, che annusando nel buio urta col naso ora qua ora là, Kautsky si è imbattuto senza volere in un'idea giusta (cioè che la dittatura è un potere non vincolato da alcuna legge), ma tuttavia non ha dato una definizione della dittatura e ha detto inoltre un'evidente bugia storica, asserendo che dittatura significa potere di un solo individuo. Questo è sbagliato anche grammaticalmente, perché: dittatura può essere esercitata anche da un pugno di uomini, da un'oligarchia, da una classe, ecc.
Kautsky indica più oltre la differenza tra dittatura e dispotismo, ma, sebbene la sua indicazione sia palesemente sbagliata, non ci soffermeremo su questo punto, perché esso non ha proprio niente da vedere con la questione che qui ci interessa. E' ben nota la propensione di Kautsky a volgere le spalle al secolo XX per rimirare il XVIII secolo e a volgere le spalle a quest'ultimo per rimirare l'antichità, e noi ci auguriamo che il proletariato tedesco, dopo aver conquistato la dittatura, terrà conto di questa propensione di Kautsky e gli assegnerà, poniamo, un posto di professore di storia antica in un liceo. E' un segno di estrema stoltezza o un trucco assai poco abile quello di eludere la definizione della dittatura del proletariato con una divagazione sul dispotismo.
In fin dei conti vediamo che Kautskv, accintosi a parlare della dittatura, ha detto molte patenti bugie, ma non ha fornito una sola definizione! Pur senza fare affidamento sulle sue capacità intellettuali, avrebbe potuto chiamare in soccorso la sua memoria e trarre dai suoi "schedari" tutti i casi in cui Marx parla di dittatura. In tal modo sarebbe pervenuto, senza dubbio, alla seguente definizione o ad una definizione sostanzialmente equivalente. La dittatura è un potere che poggia direttamente sulla violenza e non è vincolato da alcuna legge.
La dittatura rivoluzionaria del proletariato è un potere conquistato e sostenuto dalla violenza del proletariato contro la borghesia, un potere non vincolato da alcuna legge.
Ebbene, proprio questa semplice verità, chiara come la luce del sole per ogni operaio cosciente (che rappresenti le masse e non Io strato superiore della canaglia piccolo-borghese venduta ai capitalisti, quali sono i socialimperialisti di tutti i paesi), evidente per ogni rappresentante degli sfruttati, che si battono per la loro emancipazione, indiscutibile per ogni marxista, proprio questa verità dobbiamo "strappare a viva forza" all'eruditissimo signor Kautsky! Come spiegare questo fatto? Con il servilismo di cui sono imbevuti i capi della II Internazionale, che sono diventati spregevoli sicofanti al servizio della borghesia.
Anzitutto Kautsky commette un falso, asserendo un'evidente assurdità, cioè che la parola dittatura significa letteralmente dittatura di un singolo, poi, sulla base di questo falso, dichiara che "quindi" in Marx le parole sulla dittatura di classe hanno un significato non letterale (ma tale che dittatura non significhi violenza rivoluzionaria, ma "pacifica" conquista della maggioranza in un regime si noti! di "democrazia" borghese).
Ora, guardate voi, bisogna distinguere tra "stato di fatto" e "forma di governo". Una distinzione mirabilmente profonda, come se si distinguesse tra lo "stato di fatto" della stupidità di un uomo che ragioni senza costrutto e la "forma" della sua stupidità.
Kautsky ha necessità di interpretare la dittatura come "stato di dominio" (è questa testualmente l'espressione da lui usata nella pagina successiva, a p. 21), perché così scompare la violenza rivoluzionaria, scompare la rivoluzione violenta. Lo "stato di dominio" è uno stato in cui si ha una maggioranza qualsiasi in regime di... "democrazia"! Con questo trucco truffaldino la rivoluzione scompare felicemente.
Ma la truffa è troppo grossolana e non salva Kautsky. Che la dittatura presupponga e significhi uno "stato" di violenza rivoluzionaria di una classe contro l'altra, violenza sgradevole per i rinnegati, è una verità evidentissima. L'assurdità della distinzione tra "stato di fatto" e "forma di governo" affiora alla superficie. È tre volte sciocco parlare qui di forma di governo, dato che ogni ragazzo sa che monarchia e repubblica sono forme di governo diverse . Il signor Kautsky ha bisogno di dimostrare che ambedue le forme di governo, come tutte le "forme di governo" transitorie sotto il capitalismo, sono solo varianti dello Stato borghese, cioè della dittatura della borghesia.
Parlare, infine, di forme di governo è una falsificazione, non solo sciocca ma anche grossolana, di Marx, il quale parla qui con la massima evidenza della forma o tipo di Stato e non della torma di governo.
La rivoluzione proletaria è impossibile senza la distruzione violenta della macchina statale borghese e la sua sostituzione con una nuova macchina che, secondo Engels, "non è più uno Stato nel senso proprio della parola".
Kautsky deve sminuire e falsificare tutto questo: io esige la sua posizione di rinnegato.
Si veda a quali meschini sotterfugi egli ricorra.
Primo sotterfugio: "Che Marx non avesse qui in mente una forma di governo è attestato dal fatto che, a suo parere, in Inghilterra e in America il passaggio può avvenire pacificamente e, quindi, per via democratica".
La forma di governo non ha qui assolutamente niente da vedere con la questione, perché ci sono monarchie che non sono tipiche per lo Stato borghese, quelle, per esempio, in cui non esiste il militarismo, e ci sono repubbliche che sono realmente tipiche in questo senso, quelle, per esempio, in cui esistono il militarismo e la burocrazia. È questo un fatto storico e politico universalmente noto, e Kautsky non riuscirà a travisarlo.
Se Kautsky avesse voluto ragionare con serietà e onestà, si sarebbe domandato: esistono leggi storiche riguardanti la rivoluzione e che non conoscono eccezioni? E la risposta sarebbe stata: no, queste leggi non esistono. Queste leggi riguardano solo ciò che è tipico, solo ciò che Marx ha definito una volta "ideale" nel senso di un capitalismo medio, normale, tipico.
Ancora. Esisteva negli anni settanta qualcosa che, sotto il rapporto considerato, facesse dell'Inghilterra e dell'America un'eccezione? Per chiunque abbia una conoscenza più o meno vasta delle istanze scientifiche nel campo delle questioni storiche è evidente che questo problema deve esser posto. Non impostarlo significa falsare la scienza, significa giocare con i sofismi. Ma, una volta che il problema sia posto, la soluzione non può essere dubbia: la dittatura rivoluzionaria del proletariato è violenza contro la borghesia; la necessità di questa violenza dipende in particolare, come hanno ripetutamente e minuziosamente chiarito Marx e Engels (soprattutto nella Guerra civile in Francia e nella relativa prefazione), dall'esistenza del militarismo e della burocrazia. Senonché, proprio negli anni settanta, negli anni in cui Marx faceva la sua osservazione, e proprio in Inghilterra e in America, questi istituti non esistevano! (Mentre oggi esistono sia in Inghilterra che in America.)
Kautsky è costretto letteralmente a barare ad ogni passo per nascondere la sua abiura!
E si noti come egli mostri qui senza volerlo le sue orecchie d'asino: egli scrive: "pacificamente e, quindi, per via democratica"!
Nel definire la dittatura Kautsky cerca con tutte le sue forze di nascondere il tratto essenziale di questo concetto, cioè la violenza rivoluzionaria. Ma adesso la verità viene a galla: il discorso verte sull'opposizione tra rivolgimento pacifico e rivolgimento violento.
Sta qui il nodo della questione. Tutti i sotterfugi, i sofismi, le falsificazioni truffaldine servono a Kautsky per scansare la rivoluzione violenta, per nascondere il fatto che egli la rinnega ed è passato alla politica operaia liberale, cioè dalla parte della borghesia. Sta qui il nodo della questione.
Lo "storico" Kautsky travisa cosi spudoratamente la storia che finisce per "dimenticare" l'essenziale, cioè che il capitalismo premonopolistico il quale aveva toccato il suo apogeo proprio negli anni settanta si distingueva, in virtù dei suoi tratti economici essenziali, manifestatisi in modo particolarmente tipico in Inghilterra e in America, per un amore relativamente più grande della pace e della libertà. Mentre l'imperialismo, cioè il capitalismo monopolistico giunto a definitiva maturità soltanto nel secolo XX, si distingue, in virtù dei suoi tratti economici essenziali, per un amore assai meno forte della pace e della libertà, per un maggiore e generalizzato sviluppo del militarismo. "Non avvedersi" di questo, quando si esamina fino a qual punto sia tipico o probabile un rivolgimento pacifico o violento, significa degradarsi al livello del più volgare lacchè della borghesia.
Secondo sotterfugio. La Comune di Parigi è stata una dittatura del proletariato, ma essa è stata eletta a suffragio universale, cioè senza che la borghesia venisse privata dei suoi diritti elettorali, cioè "democraticamente". E Kautskv esclama in tono di trionfo: "... Per Marx [o secondo Marx] la dittatura del proletariato era uno stato di fatto che scaturisce di necessità dalla democrazia pura, se il proletariato costituisce la maggioranza (bei überwiegendem Proletariat, p. 21).
Quest'argomento di Kautsky è così spassoso che si prova davvero un embarras de richesses (un imbarazzo della scelta... delle obiezioni). Innanzitutto è noto che il fiore, lo stato maggiore, i dirigenti della borghesia erano scappati da Parigi a Versailles. A Versailles c'era il "socialista" Louis Blanc, il che dimostra fra l'altro la falsità dell'affermazione di Kautsky, secondo cui "tutte le correnti" del socialismo avrebbero partecipato alla Comune. Non è forse ridicolo rappresentare come "democrazia pura" con "suffragio universale" la divisione degli abitanti di Parigi in due campi di belligeranti, nell'uno dei quali era concentrata tutta la borghesia militante, politicamente attiva?
Inoltre, la Comune si batteva contro Versailles, in quanto governo operaio della Francia contro un governo borghese. Che c'entrano qui la "democrazia pura" e il "suffragio universale", se Parigi decideva delle sorti della Francia? E, quando Marx ha detto che la Comune aveva commesso un errore perché non si era impadronita della Banca appartenente a tutta la Francia, partiva forse dai principi e dalla prassi della "democrazia pura"??
In realtà, è chiaro che Kautsky scrive in un paese in cui la polizia proibisce di ridere "in coro", perché altrimenti l'ilarità lo avrebbe ucciso.
Mi permetto inoltre di ricordare rispettosamente al signor Kautsky, che conosce a memoria gli scritti di Marx e di Engels, il seguente giudizio formulato da Engels sulla Comune dal punto di vista della... "democrazia pura":
"Non hanno mai veduto una rivoluzione questi signori [gli antiautoritari]? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che vi sia; è l'atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all'altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuoi avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente?".
Eccovi la "democrazia pura"! Ah, come Engels avrebbe deriso quel volgare filisteo, il "socialdemocratico" (nel senso francese degli anni quaranta e nel senso europeo degli anni 19141918), al quale fosse venuto in mente di parlare in generale di "democrazia pura" in una società divisa in classi!
Ma può bastare. È impossibile enumerare tutte le assurdità che Kautsky si lascia sfuggire, perché ogni sua frase è un abisso senza fondo di abiura.
Marx ed Engels hanno dato un'analisi oltremodo minuziosa della Comune di Parigi, dimostrando che il suo merito è consistito nel tentativo di spezzare, di distruggere la "macchina statale già pronta". Ed essi considerano così importante questa conclusione che nel 1872 hanno apportato soltanto questo emendamento al programma (parzialmente) "invecchiato" del Manifesto del Partito comunista. Marx e Engels hanno dimostrato che la Comune aveva distrutto l'esercito e la burocrazia, aveva distrutto il parlamentarismo, aveva soppresso "l'escrescenza parassitaria, lo Stato", ecc, mentre il saggissimo Kautsky, copertasi la testa col berretto da notte, ripete favole sulla "democrazia pura", ripete le cose già dette mille volte dai professori liberali.
Non per caso Rosa Luxemburg diceva il 4 agosto 1914 che la socialdemocrazia tedesca è ormai un fetido cadavere.
Terzo sotterfugio. "Se si parla della dittatura come forma di governo, non si può parlare della dittatura di una classe. Poiché una classe, come abbiamo già rilevato, può solo dominare, non governare". Possono governare soltanto le "organizzazioni" o i "partiti".
Voi imbrogliate, imbrogliate senza pudore, signor "consigliere dell'imbroglio"! La dittatura non è una "forma di governo": questa è una ridicolo assurdità. E Marx parla non della "forma di governo", ma della forma o tipo di Stato. Non è la stessa cosa, tutt'altro! È inoltre assolutamente sbagliato che una classe non possa governare: una simile assurdità può dirla soltanto un "cretino parlamentare", che non vede niente fuori del parlamento borghese, che non si accorge di niente fuori dei "partiti di governo". Ogni paese d'Europa può fornire a Kautsky esempi di classi dominanti che governano, come hanno governato nel medioevo i grandi proprietari fondiari, nonostante la loro insufficiente organizzazione.
In conclusione, Kautsky ha travisato in modo inverosimile il concetto di dittatura del proletariato, trasformando Marx in un liberale volgare; e si è così degradato lui stesso al livello di un liberale, che ripete logore frasi sulla "democrazia pura", abbellendo e offuscando il contenuto di classe della democrazia borghese, e paventa soprattutto la violenza rivoluzionaria della classe oppressa. Quando Kautsky "interpreta" il concetto di "dittatura rivoluzionaria del proletariato" in modo tale da far scomparire la violenza rivoluzionaria della classe oppressa sugli oppressori, batte un primato mondiale nella contraffazione liberale di Marx. Il rinnegato Bernstein sembra un cucciolo accanto al rinnegato Kautsky.
Democrazia borghese e democrazia proletaria
La questione che Kautsky ha ingarbugliato così impudentemente si presenta in realtà come segue.
A meno di non prendersi giuoco del buon senso e della storia, fino a che esistono classi diverse, non si può parlare di una democrazia di classe. (Tra parentesi diciamo che "democrazia pura" non è soltanto un'espressione da ignoranti, che rivela l'incomprensione tanto della lotta di classe quanto dell'essenza dello Stato, ma anche una formula tre volte vuota di senso; perché nella società comunista la democrazia, rigenerandosi e trasformandosi in un'abitudine, si estinguerà, ma non diventerà mai una democrazia "pura").
"Democrazia pura" è la formula menzognera del liberale che vuol trarre in inganno gli operai. La storia conosce la democrazia borghese, che prende il posto del feudalismo, e la democrazia proletaria che prende il posto di quella borghese.
E, quando Kautsky per decine di pagine si dedica a "dimostrare" la verità: che la democrazia borghese è progressiva rispetto al medioevo e che il proletariato deve utilizzarla necessariamente nella sua lotta contro la borghesia; la sua è appunto una chiacchiera liberale che trae in inganno gli operai. Non solo nella colta Germania, ma anche nell'incolta Russia questo è un truismo. Kautsky getta soltanto polvere "erudita" negli occhi degli operai, parlando in tono serio di Weitling e dei gesuiti del Paraguay e di molte altre cose, pur di eludere la sostanza borghese della democrazia odierna, cioè capitalistica.
Kautsky prende del marxismo solo ciò che è accettabile per i liberali, per la borghesia (la critica del medioevo, la funzione storica progressiva del capitalismo in generale e della democrazia capitalistica in particolare), e respinge, passa sotto silenzio, attutisce tutto ciò che del marxismo è inaccettabile per la borghesia (la violenza rivoluzionaria del proletariato contro la borghesia per la distruzione di quest'ultima). Ecco perché Kautsky, per la sua posizione oggettiva, qualunque possa essere il suo convincimento soggettivo, è inevitabilmente un lacchè della borghesia.
La democrazia borghese, pur avendo segnato un grande progresso storico rispetto al medioevo, rimane sempre e in regime capitalistico non può non rimanere limitata, monca, falsa, ipocrita, un paradiso per i ricchi, una trappola e un inganno per gli sfruttati, per i poveri. Questa verità, che costituisce la parte essenziale della teoria marxista, non ha capito il "marxista" Kautsky. In questa fondamentale questione egli dice cose "gradevoli" per la borghesia, invece di criticare scientificamente le condizioni che di ogni democrazia borghese fanno una democrazia per i ricchi.
Ricordiamo anzitutto all'eruditissimo signor Kautsky le enunciazioni teoriche di Marx e di Engels, che il nostro esegeta ha vergognosamente "dimenticato", (a vantaggio della borghesia), per illustrare poi la questione in termini più popolari.
Non solo lo Stato antico e lo Stato feudale, ma anche "lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale" (Engels nel suo scritto sullo Stato). "Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno "Stato popolare libero" è pura assurdità: finché il proletariato ha bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dell'assoggettamento dei suoi avversari, e, quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere" (lettera di Engels a Bebel del 28 marzo 1875). "Lo Stato non è in realtà che una macchina per l'oppressione di una classe da parte di un'altra, nella repubblica democratica non meno che nella monarchia" (Engels nella prefazione della Guerra civile in Francia di Marx). Il suffragio universale è "l'indice della maturità della classe operaia. Non può essere e non sarà mai nulla di più nello Stato attuale". (Engels nel suo scritto sullo Stato. Il signor Kautsky rimastica in modo assai noioso la prima parte di questa tesi accettabile per la borghesia. Della seconda parte, che è stata da noi sottolineata e che è inaccettabile per la borghesia, il rinnegato Kautsky non fa parola!). "La Comune doveva essere non un organismo parlamentare, ma di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo... Invece di decidere una volta ogni tre o sei anni quale membro della classe dominante dovesse rappresentare e calpestare (ver und zertreten) il popolo nel parlamento, il suffragio universale doveva servire al popolo costituito in comuni, così come il suffragio individuale serve a ogni imprenditore privato per cercare gli operai e gli organizzatori della sua azienda" (Marx nella sua opera sulla Comune di Parigi: La guerra civile in Francia, capitolo terzo).
Ognuna di queste tesi, tutte ben note all'eruditissimo signor Kautsky, è per lui uno schiaffo in pieno viso, smaschera in pieno la sua abiura. In tutto il suo opuscolo non c'è neanche un briciolo di comprensione di queste verità. L'intero contenuto dell'opuscolo è una caricatura del marxismo!
Prendete le leggi fondamentali degli Stati odierni, prendete i loro apparati governativi, prendete la libertà di riunione o di stampa, prendete "l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge", e scoprirete ad ogni passo l'ipocrisia della democrazia borghese, ben nota a ogni operaio onesto e cosciente. Non c'è un solo Stato, nemmeno il più democratico, nella cui Costituzione non trovino scappatoie o clausole che consentono alla borghesia di impiegare l'esercito contro gli operai, di proclamare lo stato d'assedio, ecc., "in caso di turbamento dell'ordine pubblico", in realtà nel caso in cui la classe sfruttata "turbi" il proprio stato di schiavitù o tenti di agire come una classe non schiava. Kautsky abbellisce spudoratamente la democrazia borghese, tacendo, per esempio, ciò che i borghesi più democratici e repubblicani d'America o di Svizzera fanno contro gli operai in sciopero.
Sì, il saggio e colto Kautsky non parla di questo! Il nostro colto politico non capisce che il silenzio è in questo caso un'infamia. Preferisce raccontar fole agli operai, come quella che democrazia significa "tutela della minoranza". È incredibile, ma vero! Nell'estate del 1918 dopo Cristo, nel quinto anno della carneficina imperialistica mondiale e della repressione delle minoranze internazionalistiche (che non hanno cioè tradito vergognosamente il socialismo, come i Renaudel e i Longuet, come gli Scheidemann e i Kautsky, come i Henderson e i Webb, ecc.) in tutte le "democrazie" del mondo, il colto signor Kautsky decanta con voce melliflua la "tutela della minoranza". Chiunque lo desideri, può leggerlo a p. 15 del suo opuscolo. A p. 16 il colto... personaggio vi parlerà dei whigs e dei tories nell'Inghilterra del diciottesimo secolo!
O erudizione! O raffinato servilismo verso alla borghesia! O civile maniera di strisciare sul ventre davanti ai capitalisti e di leccar loro gli stivali! Se io fossi Krupp o Scheidemann o Clemenceau o Renaudel, pagherei dei milioni al signor Kautsky, lo coprirei di baci di Giuda, lo esalterei dinanzi agli operai, consiglierei l'"unità del socialismo" con uomini così "degni di stima" come Kautsky. Scrivere opuscoli contro la dittatura del proletariato, parlare dei whigs o dei tories nell'Inghilterra del diciottesimo secolo, asserire che democrazia significa "tutela della minoranza" e non parlare dei pogrom contro gli internazionalisti nella repubblica "democratica" d'America, non sono questi servigi da lacchè resi alla borghesia?
L'erudito signor Kautsky "ha dimenticato", con tutta probabilità ha dimenticato per caso... , un'"inezia": cioè in una democrazia borghese il partito dominante concede la tutela della minoranza soltanto a un altro partito borghese, mentre al proletariato, in ogni questione seria, profonda, fondamentale, invece della "tutela della minoranza" si concede lo stato d'assedio o i pogrom. Quanto più è sviluppata la democrazia, tanto più ci si avvicina, in ogni divergenza politica profonda, che minacci la borghesia, al pogrom o alla guerra civile. L'erudito signor Kautsky avrebbe potuto osservare questa "legge" della democrazia borghese durante l'affare Dreyfus nella Francia repubblicana, nel linciaggio di negri e di internazionalisti nella repubblica democratica d'America, nelle vicende dell'Irlanda e dell'Ulster nella democratica Inghilterra, nella caccia ai bolscevichi e nell'esecuzione di pogrom contro di loro nella repubblica democratica di Russia (aprile 1917). Scelgo di proposito esempi che non riguardano soltanto il tempo di guerra, ma anche il periodo, prebellico, il tempo di pace. Al mellifluo signor Kautsky fa comodo chiudere gli occhi su questi fatti del ventesimo secolo, e raccontare invece agli operai cose eccezionalmente nuove, oltremodo interessanti, straordinariamente istruttive, incredibilmente importanti sui whigs e i tories del diciottesimo secolo.
Prendete il parlamento borghese. Si può forse ammettere che l'erudito Kautsky non abbia mai sentito dire che la Borsa e i banchieri tanto più si assoggettano i parlamenti borghesi quanto più fortemente è sviluppata la democrazia? Da questo, certo, non consegue che non si debba utilizzare il parlamentarismo borghese (e i bolscevichi l'hanno utilizzato con successo, come forse nessun altro partito al mondo, poiché negli anni 19121914 hanno conquistato tutta la curia operaia della IV Duma). Ma da questo consegue che soltanto un liberale può dimenticare, come fa Kautsky, la limitatezza e condizionalità storica del parlamentarismo borghese. Nello Stato borghese più democratico le masse oppresse s'imbattono a ogni passo nella stridente contraddizione tra l'uguaglianza formale, proclamata dalla "democrazia" dei capitalisti, e gli infiniti sotterfugi e restrizioni e restrizioni reali, che fanno dei proletari degli schiavi salariati. Proprio questa contraddizione apre gli occhi alle masse sulla putrescenza, la menzogna, sull'ipocrisia del capitalismo. Proprio questa contraddizione gli agitatori e i propagandisti del socialismo denunciano alle masse per prepararle alla rivoluzione! Ma, quando l'era delle rivoluzioni è cominciata, Kautsky le volge le spalle e si è mette a decantare le delizie della morente democrazia borghese.
La democrazia proletaria, di cui il potere sovietico è una delle forme, ha dato alla stragrande maggioranza della popolazione, agli sfruttati e ai lavoratori, un'estensione e uno sviluppo della democrazia che non hanno precedenti nel mondo. Scrivere tutto un opuscolo sulla democrazia, come ha fatto Kautsky, che dedica due paginette alla dittatura e decine pagine alla "democrazia pura", e non avvedersi di questo fatto, significa travisare completamente le cose in senso liberale.
Prendete la politica estera. In nessuno Stato, neanche nel più democratico, la politica estera viene condotta pubblicamente. In tutti i paesi democratici, in Francia, in Svizzera, in America e in Inghilterra, le masse vengono ingannate in modo cento volte più ampio e raffinato che negli altri paesi. Il potere sovietico con un atto rivoluzionario ha strappato il manto del segreto dalla politica estera. Kautsky non se n'è accorto, non ne fa parola, sebbene questo assuma un'importanza decisiva nell'epoca delle guerre di rapina e dei trattati segreti per la "spartizione delle sfere d'influenza" (cioè per la ripartizione del mondo tra i briganti capitalisti) in quanto dipende da esso la questione della pace, la vita e la morte di decine di milioni di uomini.
Prendete la struttura dello Stato. Kautsky si aggrappa alle "inezie", fino a rilevare che le elezioni (secondo la Costituzione sovietica) sono "indirette", ma non coglie la sostanza della questione. Non si avvede della sostanza di classe dell'apparato statale, della macchina statale. Nella democrazia borghese i capitalisti, con mille raggiri, tanto più abili ed efficaci, quanto più la democrazia "pura" è sviluppata, precludono alle masse la partecipazione alla gestione del potere, la libertà di riunione e di stampa, ecc. Il potere sovietico è il primo nel mondo (a rigor di termini, è il secondo, perché l'avvio è stato dato dalla Comune di Parigi), a impegnare le masse, e proprio le masse sfruttate, nella gestione dello Stato. La partecipazione al parlamento borghese (che nella democrazia borghese non decide mai le questioni più importanti, risolte invece dalla Borsa, dalle banche) è sbarrata alle masse lavoratrici da mille ostacoli, e gli operai sanno e sentono, vedono e intuiscono perfettamente che il parlamento borghese è un istituto a loro estraneo, un'arma di oppressione dei proletari da parte della borghesia, un'istituzione della classe nemica, della minoranza sfruttatrice.
I soviet sono l'organizzazione diretta delle stesse masse lavoratrici sfruttate, alle quali facilita la costruzione e la gestione del proprio Stato con tutti i mezzi possibili. In questo sistema proprio l'avanguardia dei lavoratori e degli sfruttati, il proletariato urbano, gode del vantaggio di essere stato unificato nelle grandi imprese: per esso è più facile eleggere e controllare gli eletti. L'organizzazione dei soviet agevola automaticamente l'unità di tutti i lavoratori e gli sfruttati intorno alla loro avanguardia, intorno al proletariato. Il vecchio apparato borghese: la burocrazia, i privilegi della ricchezza, della cultura borghese, delle aderenze ecc. (questi privilegi reali assumono aspetti tanto più vari quanto più è sviluppata la democrazia borghese), tutto questo scompare nell'organizzazione sovietica. La libertà di stampa cessa di essere un'ipocrisia, perché le tipografie e la carta sono tolte alla borghesia. Lo stesso accade dei migliori edifici, palazzi, ville, dimore signorili. Il potere sovietico ha requisito subito agli sfruttatori migliaia di questi edifici e ha reso così un milione di volte più "democratico" il diritto di riunione per le masse, quel diritto di riunione senza il quale la democrazia è un inganno. Le elezioni indirette ai soviet non locali facilitano la convocazione dei congressi dei soviet, rendono l'intero apparato meno costoso, più agile e accessibile agli operai e ai contadini in un periodo in cui la vita ferve e bisogna poter richiamare molto in fretta il proprio deputato locale o inviarlo al congresso generale dei soviet.
La democrazia proletaria è un milione di volte più democratica di ogni democrazia borghese; il potere sovietico è un milione di volte più democratico della repubblica borghese più democratica.
Soltanto un servo cosciente della borghesia o un uomo politicamente morto, incapace di scorgere la vivente realtà dietro le pagine polverose dei libri, tutto imbevuto di pregiudizi borghesi e quindi trasformatosi oggettivamente in un lacchè della borghesia, può non vedere tutto questo.
Soltanto chi sia incapace di impostare la questione dall'angolo visivo delle classi oppresse può non vedere tutto questo.
Tra i paesi borghesi più democratici, ce n'è forse solo uno al mondo dove l'operaio medio, comune, il salariato agricolo medio, comune, o il semiproletario delle campagne in generale (cioè il rappresentante della massa oppressa, della stragrande maggioranza della popolazione) goda anche solo approssimativamente della libertà di organizzare assemblee negli edifici migliori, della libertà di servirsi delle più grandi tipografie e dei migliori depositi di carta, per esprimere le proprie idee e difendere i propri interessi, della libertà di designare gli uomini della propria classe a gestire e ad "organizzazione" lo Stato come nella Russia sovietica?
E' ridicolo anche solo supporre che in qualsiasi paese, tra mille operai e salariati agricoli che siano al corrente della questione, il signor Kautsky riesca a trovarne anche uno solo che nutra dei dubbi sulla risposta da dare a questa domanda. Gli operai di tutto il mondo, che apprendono sprazzi di verità dai giornali borghesi, simpatizzano istintivamente con la repubblica sovietica appunto perché vedono in essa una democrazia proletaria, una democrazia per i poveri, e non una democrazia per i ricchi, come è di fatto ogni democrazia borghese, anche la migliore.
Noi siamo governati (e il nostro Stato è "governato") da funzionari borghesi, da parlamentari borghesi, da giudici borghesi. Ecco la verità semplice, evidente e insindacabile che conoscono per esperienza diretta, che sentono e toccano con mano ogni giorno decine e centinaia di milioni di uomini appartenenti alle classi sfruttate in tutti gli Stati borghesi, compresi i più democratici,.
In Russia invece tutto l'apparato burocratico è stato spezzato, di esso non è rimasta pietra su pietra, tutti i vecchi giudici sono stati rimossi, il parlamento borghese è stato sciolto, e proprio agli operai e ai contadini è stata data una rappresentanza molto più accessibile; essi hanno sostituito loro soviet o hanno posto i loro soviet al di sopra dei funzionari. Sono loro soviet ad eleggere i giudici. E' già solo questo fatto è bastato perché tutte le classi oppresse riconoscessero che il potere sovietico, cioè questa data forma di dittatura del proletariato, è un milione di volte più democratico della repubblica borghese più democratica.
Kautsky non capisce questa verità, chiara e comprensibile per ogni operaio, perché "ha dimenticato", perché "ha disimparato" a porsi la domanda: democrazia per quale classe? Egli ragiona dal punto di vista della democrazia "pura" (cioè senza classi? al di fuori delle classi? Egli argomenta come Shylock: "una libbra di carne", e niente più. Se non c'è uguaglianza di tutti i cittadini, non c'è democrazia.
All'erudito Kautsky, al "marxista" e "socialista" Kautsky siamo costretti a porre la seguente domanda:
Ci può essere uguaglianza tra sfruttati e sfruttatori?
È mostruoso, è incredibile che si sia costretti a formulare una simile domanda nell'esaminare un libro del capo ideologico della II Internazionale. Ma "chi dice A deve poi dire B". Ci siamo messi a scrivere su Kautsky e quindi spieghiamo al nostro dotto perché non possa esserci uguaglianza tra sfruttati e sfruttatori.
Ci può essere uguaglianza tra sfruttati e sfruttatori?
Kautsky ragiona come segue:
1) "Gli sfruttatori sono sempre stati una piccola minoranza della popolazione" (p. 14 del suo opuscolo).
è una verità incontestabile. Come si deve ragionare prendendo l'avvio da questa verità? Si può ragionare da marxisti, da socialisti, e allora bisogna prendere come base i rapporti tra sfruttati e sfruttatori. Si può ragionare da liberali, da democratici borghesi, e allora bisogna prendere come base il rapporto tra maggioranza e minoranza.
Se si ragiona da marxisti, si deve dire: gli sfruttatori trasformano immancabilmente lo Stato (e si tratta della democrazia, cioè di una delle forme di Stato) in uno strumento di dominio della propria classe, della classe degli sfruttatori, sugli sfruttati. Partendo anche lo Stato democratico, fino a che ci sono gli sfruttatori, i quali dominano sulla maggioranza degli sfruttati, sarà inevitabilmente una democrazia per gli sfruttatori. Lo Stato degli sfruttati deve differenziarsi radicalmente da questo Stato, deve significare democrazia per gli sfruttati e repressione per gli sfruttatori, e la repressione di una classe implica l'ineguaglianza per questa classe, la sua esclusione dalla "democrazia".
Se si ragiona da liberali, si dare dire: la maggioranza decide, la minoranza ubbidisce. Chi non ubbidisce viene punito. E' tutto. Non è il caso di ragionare intorno al carattere di classe dello Stato in generale e intorno alla "democrazia pura" in particolare: questo non ha niente da vedere con il problema, poiché la maggioranza è maggioranza e la minoranza è minoranza. Una libbra di carne è una libbra di carne, e basta.
Kautsky ragiona proprio così:
2) "Per quali motivi il dominio del proletariato dovrebbe assumere e assumerebbe di necessità una forma incompatibile con la democrazia?" (p. 21). Segue poi la spiegazione, molto circostanziata e prolissa, integrata con una citazione di Marx e con i dati elettorali della Comune di Parigi: del fatto che il proletariato ha dalla sua la maggioranza. Conclusione: "Un regime che ha radici così profonde nelle masse non ha alcun motivo di violare la democrazia. Non può sempre fare a meno della violenza nei casi in cui si usi la violenza per sopprimere la democrazia. Alla violenza si può rispondere soltanto con la violenza. Ma un regime che sa di avere l'appoggio delle masse, farà uso della violenza solo per difendere la democrazia, e non già per sopprimerla. Commetterebbe un vero e proprio suicidio, se volesse distruggere il suo fondamento più stabile, il suffragio universale, sorgente profonda di un grande prestigio morale" (p. 22).
Vedete quindi che il rapporto tra sfruttati e sfruttatori è scomparso dall'argomentazione di Kautsky. È rimasta soltanto la maggioranza in generale, la minoranza in generale, la democrazia in generale, la ben nota "democrazia pura".
Si noti che questo è detto in relazione alla Comune di Parigi! Riportiamo quindi, per rendere chiare le cose, le parole dette da Marx e da Engels sulla dittatura in relazione alla Comune:
Marx: ...Se gli operai sostituiscono la loro dittatura rivoluzionaria alla dittatura della classe borghese... per schiacciare la resistenza della classe borghese... essi gli [allo Stato] danno una forma rivoluzionaria...
Engels: ...E il partito vittorioso [nella rivoluzione] se non vuole avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente?
Engels: ...Non essendo lo Stato altro che un'istituzione temporanea di cui ci si deve servire nella lotta, nella rivoluzione, per tener soggiogati con la forza i propri nemici, parlare di uno "Stato popolare libero" è pura assurdità; finché il proletariato ha ancora bisogno dello Stato, ne ha bisogno non nell'interesse della libertà, ma nell'interesse dell'assoggettamento dei suoi avversari, e quando diventa possibile parlare di libertà, allora lo Stato come tale cessa di esistere...
Kautsky è lontano da Marx e da Engels come il cielo dalla terra, come un liberale da un rivoluzionario proletario. La democrazia pura, la "democrazia" senza aggettivi, di cui parla Kautsky, altro non è che una perifrasi di quello "Stato popolare libero", cioè una pura assurdità. Kautsky, con l'erudizione di un dottissimo imbecille da tavolino o con il candore di una bambina di dieci anni, domanda: perché mai occorre la dittatura, quando si ha la maggioranza? E Marx ed Engels spiegano:
per schiacciare la resistenza della borghesia,
per ispirare terrore ai reazionari,
per assicurare l'autorità del popolo armato di fronte alla borghesia,
per dare al proletariato la possibilità di schiacciare con la violenza i suoi avversari.
Kautsky non capisce queste spiegazioni. Essendo infatuato della democrazia, della quale non vede il carattere borghese, egli sostiene "coerentemente" che la maggioranza, quando sia diventata maggioranza, non ha bisogno di "schiacciare la resistenza" della minoranza, non ha bisogno di "schiacciarla con la violenza", perché basterà reprimere i singoli casi di violazione della democrazia. Essendo infatuato della "purezza" della democrazia, Kautsky commette inavvertitamente lo stesso piccolo errore in cui cadono sempre tutti i democratici borghesi: egli scambia cioè l'uguaglianza formale (interamente menzognera e ipocrita in regime capitalistico) per uguaglianza effettiva! Un'inezia!
Lo sfruttatore non può essere eguale allo sfruttato.
In questa verità, per sgradita che possa riuscire a Kautsky, è racchiuso il contenuto essenziale del socialismo.
Un'altra verità suona così: non ci può essere reale uguaglianza, uguaglianza di fatto fino a che non viene eliminata qualsiasi possibilità che una classe ne sfrutti un'altra.
Gli sfruttatori possono essere sgominati di colpo, con un'insurrezione vittoriosa al centro o con l'ammutinamento dell'esercito. Ma, ove si escludano dei casi rarissimi e particolari, non possono essere annientati di colpo. Non si possono espropriare d'un tratto tutti i grandi proprietari fondiari e i capitalisti di un paese più o meno grande. Inoltre di per sé, come atto giuridico e politico, l'espropriazione è ben lontana dal risolvere il problema, perché bisogna destituire di fatto i grandi proprietari fondiari e i capitalisti, sostituire di fatto la loro direzione con un'altra gestione diversa con la gestione operaia delle fabbriche e dei fondi agrari. Non ci può essere uguaglianza tra gli sfruttatori, che per molte generazioni si sono distinti in virtù per la loro cultura, delle loro condizioni agiate di vita delle loro abitudini, e gli sfruttati, che nella loro maggioranza, persino nelle repubbliche borghesi più progredite e democratiche, sono oppressi, incolti, ignoranti, intimoriti, divisi. Per lungo tempo dopo la rivoluzione gli sfruttatori conservano inevitabilmente una serie di grandi vantaggi effettivi: rimane loro il denaro (che non si può sopprimere di colpo), una data quantità, spesso cospicua, di beni immobili; rimangono loro le aderenze, l'esperienza organizzativa e direttiva, la conoscenza di tutti i "segreti" (consuetudini, procedimenti, mezzi, possibilità), della gestione; rimangono loro un'istruzione più elevata, strette relazioni con il personale tecnico più qualificato (che vive e pensa da borghese), un'esperienza infinitamente superiore dell'arte militare (il che è molto importante), ecc. ecc.
Se gli sfruttatori sono sconfitti soltanto in un paese e questo è, naturalmente, un caso tipico, perché una rivoluzione simultanea in molti paesi è una rara eccezione - essi restano tuttavia più forti degli sfruttati, perché i legami internazionali degli sfruttatori sono immensi. Tutte le rivoluzioni, compresa la Comune (poiché tra le truppe versagliesi cosa che l'eruditissimo Kautsky "ha dimenticato" vi erano anche dei proletari,) hanno finora dimostrato che una parte degli sfruttati, una parte dei contadini medi, degli artigiani, ecc. meno evoluti, segue e può seguire gli sfruttatori
In questa situazione supporre che il rapporto tra maggioranza e minoranza sia il fattore decisivo in una rivoluzione in qualche misura seria e profonda significa dar prova della massima ottusità, significa condividere il più stolto pregiudizio di un liberale volgare, significa ingannare le masse, nascondere loro una verità storica accertata. Questa verità storica dice che in ogni rivoluzione profonda una resistenza lunga, caparbia, disperata degli sfruttatori, che per decine di anni conservono ancora grandi vantaggi effettivi sugli sfruttati, è la regola.Gli sfruttatori non si piegheranno mai - se non nella sdolcinata fantasia di uno sdolcinato imbecille come Kautsky - alla decisione della maggioranza degli sfruttati, senza prima aver fatto uso dei propri vantaggi nell'ultima disperata battaglia o in una serie di battaglie.
Il passaggio dal capitalismo al comunismo abbraccia un'intiera epoca storica. Fino a che quest'epoca non è conclusa, negli sfruttatori permane inevitabilmente la speranza della restaurazione, e questa speranza si traduce in tentativi di restaurazione. Anche dopo la prima seria disfatta, gli sfruttatori rovesciati, che non si aspettavano di esserlo, che non ci credevano, che non ne ammettevano neanche l'idea, si gettano con energia decuplicata nella battaglia, con passione furibonda, con un odio cento volte più intenso, nella lotta per restituire il "paradiso" perduto alle loro famiglie, che vivevano di una vita così dolce e che la "canaglia popolare" condanna ora alla rovina e alla miseria (o ad un lavoro "ordinario"...). E a rimorchio dei capitalisti sfruttatori si trascina la grande massa della piccola borghesia, che, come attestano decenni di esperienza storica in tutti i paesi, oscilla e tentenna, segue oggi il proletariato, ma si spaventa domani per le difficoltà della rivoluzione, è presa dal panico alla prima sconfitta o al primo scacco subito dagli operai, cade in preda al nervosismo, si dibatte, piagnucola, passa da un campo all'altro... come fanno i nostri menscevichi socialisti-rivoluzionari.
E in questa situazione, in un'epoca di guerra disperata e accanita, in cui la storia pone all'ordine del giorno il problema dell'esistenza o della scomparsa di privilegi secolari e millenari, si continua a dissentare di maggioranza e di minoranza, di democrazia pura, di inutilità della dittatura, di uguaglianza tra sfruttatori e sfruttati! Che abisso di stoltezza, che voragine di filisteismo sono necessari per arrivare a tanto!
Ma in decenni di capitalismo relativamente "pacifico", dal 1871 al 1914, nei partiti socialisti, che cercano di adattarsi all'opportunismo, si sono accumulate delle vere stalle di Augia di filisteismo, di grettezza, di apostasia...
* * *
II lettore avrà forse notato che nel brano citato più sopra Kautsky parla di attentato al suffragio universale (che, sia detto tra parentesi, egli definisce come sorgente profonda di un grande prestigio morale, mentre Engels, a proposito della stessa Comune di Parigi e della stessa questione della dittatura, parla di autorità del popolo armato contro la borghesia: differenza caratteristica tra l'opinione del filisteo e quella del rivoluzionario intorno alll'"autorità"...)
Bisogna osservare che la privazione del diritto di voto per gli sfruttatori è un problema puramente russo, che non concerne la questione della dittatura del proletariato in generale. Se Kautsky, senza ipocrisia, avesse intitolato il suo opuscolo: Contro i bolscevichi, questo titolo sarebbe stato rispondente al contenuto del suo scritto, ed egli avrebbe potuto parlare esplicitamente, in quel caso, del diritto di voto. Ma Kautsky ha voluto invece presentarsi anzitutto come "teorico". E ha intitolato genericamente il suo opuscolo: La dittatura del proletariato. E dei soviet e della Russia tratta in particolare nella seconda parte dell'opuscolo, a partire dal paragrafo 6. Nella prima parte (da cui ho tolto la citazione) si parla invece della democrazia e della dittatura in generale. Dopo aver cominciato a parlare del diritto di voto, Kautsky si rivela come un polemista avversario dei bolscevichi, che disprezza la teoria. La teoria, cioè l'esame delle basi classiste generali (e non specifiche di una nazione) della democrazia e della dittatura, non deve infatti riguardare un problema particolare, come il diritto di voto, ma il problema generale, cioè il problema se nel periodo storico in cui gli sfruttatori vengono abbattuti e in cui il loro Stato viene sostituito con lo Stato degli sfruttati la democrazia possa essere mantenuta anche per i ricchi e per gli sfruttatori.
In questi termini e solo in questi termini può impostare il problema un teorico.
Noi conosciamo l'esempio della Comune, conosciamo tutte le considerazioni dei fondatori del marxismo in relazione alla Comune e a proposito della Comune. Sulla base di questa documentazione ho analizzato, per esempio, il problema della democrazia e della dittatura nell'opuscolo Stato e rivoluzione, da me scritto prima della rivoluzione di ottobre. In esso non ho fatto parola del diritto di voto. E oggi bisogna dire che il problema della restrizione del diritto di voto è un problema specificamente nazionale, non già un problema generale della dittatura. Questo problema deve essere affrontato, studiando le condizioni particolari della rivoluzione russa, il corso particolare del suo sviluppo. È ciò che faremo nel seguito della nostra esposizione. Ma sarebbe un errore affermare in anticipo che le imminenti rivoluzioni proletarie d'Europa, tutte o la maggior parte di esse, apporteranno immancabilmente una restrizione del diritto di voto per la borghesia. Questo può accadere. Dopo la guerra e dopo le esperienze della rivoluzione russa, questo è probabile che accada, ma non è obbligatorio per realizzare la dittatura, non è un indizio indispensabile del concetto logico della dittatura, non è una condizione indispensabile del concetto storico e classista di dittatura.
L'indizio, la condizione indispensabile della dittatura è la repressione violenta degli sfruttatori come classe, e quindi la violazione della "democrazia pura", cioè dell'eguaglianza e della libertà nei confronti di questa classe.
Così e soltanto così si può impostare il problema sul piano teorico. E Kautsky, proprio per non aver impostato così il problema, ha dato prova di attaccare i bolscevichi non da teorico, ma come un sicofante al servizio degli opportunisti e della borghesia..
In quali paesi, in quali condizioni nazionali specifiche di questo o quel capitalismo si avrà (in modo esclusivo o prevalente) questa o quella restrizione o violazione della democrazia per gli sfruttatori? Ciò dipende dalle particolarità nazionali di questo o quel capitalismo, di questa o quella rivoluzione. Sul piano teorico la questione si pone diversamente, si pone cioè come segue: è possibile la dittatura del proletaria senza che si violi la democrazia nei confronti della classe degli sfruttatori?
Kautsky elude proprio questo problema, il solo teoricamente importante ed essenziale. Egli ha riportato tutte le citazioni possibili da Marx e da Engels, tranne i passi che riguardano il nostro problema e che io ha riprodotto più sopra.
Kautsky ha parlato di tutto quello che ha voluto, di tutto quello che è accettabile per i liberali e per i democratici borghesi, di tutto quello che non esce dalla cerchia delle loro idee, ma non ha fatto parla della cosa principale, del fatto che il proletariato non può vincere senza spezzare la resistenza della borghesia, senza schiacciare con la violenza i propri avversari, del fatto che là dove c'è la "repressione violenta", là dove non c'è la "libertà", non ci può essere, naturalmente, nemmeno la democrazia.
Kautsky non ha capito tutto questo.
Passiamo ora all'esperienza della rivoluzione russa e a quel disaccordo tra i soviet e l'Assemblea costituente che ha portato allo scioglimento di tale Assemblea e alla privazione del diritto di voto per la borghesia.
I soviet non devono trasformarsi in organizzazioni statali
I soviet sono la forma russa della dittatura proletaria. Se un teorico marxista, accintosi a scrivere sulla dittatura del proletariato, avesse realmente studiato questo fenomeno (invece di ripetere le querimonie piccolo-borghesi contro la dittatura, come fa Kautsky, che ricanta le melodie menscevich), questo teorico avrebbe dato una definizione generale della dittatura e ne avrebbe esaminato poi una forma specifica, nazionale, i soviet, criticando i soviet, in quanto una delle forme della dittatura del proletariato.
E' chiaro che niente di serio ci si può aspettare da Kautsky, che ha "rielaborato" da liberale la dottrina di Marx sulla dittatura. Ma è sommamente caratteristico vedere come egli imposti la questione dei soviet e come se la cavi con questo problema.
I soviet, egli scrive rievocando la loro nascita nel 1905, hanno creato "la forma di organizzazione proletaria più universale (umfassendste) di tute, poiché comprende tutti gli operai salariati" (p. 31). Nel 1905 i soviet erano semplici corporazioni locali, nel 1917 sono diventati un'organizzazione di tuta la Russia.
"Già adesso continua Kautsky - l'organizzazione sovietica ha dietro di sé una storia grande e gloriosa. A essa è riservata una storia ancora più grande e non soltanto in Russia. Dappertutto appare come, di contro alle forze gigantesche di cui dispone il capitale finanziario nel campo economico e politico, siano insufficienti [versagen: il termine tedesco è un po' più forte di "insufficienti" e un po' più debole di "impotenti"] i vecchi metodi di lotta economica e politica del proletariato. Non si deve rinunciare a questi metodi, che rimangono necessari in tempi normali, ma che di quando in quando si trovano di fronte a compiti di cui non sanno venire a capo e che, per essere assolti con successo, esigono l'unione di tutti i mezzi di lotta politici ed economici della classe operaia"(32).
Seguono poi considerazioni sullo sciopero di massa e sulla "burocrazia sindacale", che, pur essendo altrettanto necessaria quanto gli stessi sindacati, è tuttavia "incapace di guidare le imponenti battaglie di massa, che diventano sempre più un segno dei tempi"....
"... Pertanto - conclude Kautsky - l'organizzazione sovietica è uno dei fenomeni più importanti del nostro tempo. Essa promette di assumere un significato determinante nelle grandi e decisive battaglie tra il capitale e il lavoro, verso cui ci stiamo avviando.
"Ma abbiamo diritto di esigere di più dai soviet? I bolscevichi, che, dopo la rivoluzione del novembre [secondo il nuovo calendario, cioè dell'ottobre, secondo il nostro] 1917, insieme con i socialisti-rivoluzionari di sinistra, hanno ottenuto la maggioranza nei soviet dei deputati operai di Russia, si sono accinti, dopo lo scioglimento dell'Assemblea costituente, a fare del soviet, che era stato fino ad allora l'organizzazione di combattimento di una sola classe, un'organizzazione statale. Essi hanno soppresso la democrazia che il popolo russo aveva conquistato nella rivoluzione di marzo [secondo il nuovo calendario, cioè di febbraio, secondo il nostro]. Da allora i bolscevichi hanno smesso di chiamarsi socialdemocratici. E hanno preso il nome di comunisti" (p. 33, il corsivo è di Kautsky).
Chi conosce la letteratura menscevica russa vede subito come Kautsky ricopi servilmente Martov, Axelrod, Stein e soci. "Servilmente" è il termine esatto, perché Kautsky, per compiacere i pregiudizi menscevichi, snatura in modo grottesco i fatti. Egli non si è preso la pena di domandare, per esempio, ai suoi informatori (Stein è a Berlino e Axelrod è a Stoccolma) in che periodo siano stati posti i problemi relativi al cambiamento del nome dei bolscevichi in comunisti e alla funzione dei soviet come organizzazioni statali. Se Kautsky avesse cercato di ottenere questa semplice informazione, non avrebbe scritto queste righe che suscitano ilarità, perché i due problemi sono stati sollevati dai bolscevichi nell'aprile del 1917, per esempio nelle mie Tesi del 4 aprile 1917, cioè assai prima della rivoluzione dell'ottobre 1917 (per non dire dello scioglimento dell'Assemblea costituente avvenuto il 5 gennaio 1918).
Ma il ragionamento di Kautsky che ho riportato sopra integralmente è il modo di tutta la questione dei soviet, nel senso appunto che si tratta di sapere se i soviet devono tendere a diventare organizzazioni statali (nell'aprile 1917 i bolscevichi avevano lanciato la parola d'ordine: "Tutto il potere ai soviet", e, nella conferenza del partito bolscevico tenuta nello stesso aprile 1917, avevano dichiarato che non si accontentavano della repubblica parlamentare borghese e che reclamavano una repubblica operaia e contadina del tipo della Comune o del tipo dei soviet), oppure se i soviet non devono tendere a questo scopo, non devono prendere nelle loro mani il potere, non devono diventare organizzazioni statali, ma rimanere "organizzazioni di combattimento" di una sola "classe" (come ha detto Martov, mascherando plausibilmente col suo pio desiderio il fatto che i soviet, sotto la direzione menscevica, erano uno strumento di subordinazione degli operai alla borghesia).
Kautsky ripete servilmente le parole di Martov, si appropria qualche frammento del dibattito teorico svoltosi tra bolscevichi e menscevichi e trasferisce in modo acritico e indiscriminato questi frammenti sul piano teorico generale, sul piano europeo. Ne vien fuori un pasticcio tale che farebbe esplodere in una risata omerica ogni operaio cosciente russo, se solo venisse a conoscenza di questi ragionamenti di Kautsky.
Con la stessa ilarità accoglieranno Kautsky tutti gli operai europei (tranne un gruppetto di socialimperialisti incalliti), quando spiegheremo loro di che cosa si tratta.
Kautsky ha reso un cattivo servigio a Martov, spingendo all'assurdo il suo errore con straordinaria evidenza. Si veda infatti a che punto arriva Kautsky.
I soviet comprendono tutti gli operai salariati. Contro il capitale finanziario i vecchi metodi di lotta economica e politica del proletariato sono insufficienti. Ai soviet toccherà una grande funzione e non soltanto in Russia. Essi svolgeranno una funzione determinante nelle grandi e decisive battaglie tra il capitale e il lavoro in Europa. Così dice Kautsky.
Molto bene. Le "grandi e decisive battaglie tra il captale e il lavoro" non decideranno forse quale di queste classi si impadronirà del potere statale?
Nient'affatto! Dio ce ne scampi e liberi!
Nelle battaglie "decisive" i soviet, che comprendono tutti gli operai salariati, non devono trasformarsi in organizzazioni statali!
Ma che cos'è lo Stato?
Lo Stato non è che una macchina per l'oppressione di una classe sull'altra.
Così, la classe oppressa, avanguardia di tutti i lavoratori e gli sfruttati nella società moderna, deve tendere alle "grandi e decisive battaglie tra il capitale e il lavoro", ma non deve toccare la macchina con cui il capitale reprime il lavoro! Non deve spezzare questa macchina! Non deve servirsi della sua organizzazione generale per reprimere gli sfruttatori!
Magnifico, stupendo, signor Kautsky! "Noi" riconosciamo la lotta di classe, come la riconoscono tutti i liberali, cioè senza il rovesciamento della borghesia...
Ecco il punto in cui la completa rottura di Kautsky con il marxismo e con il socialismo diventa lampante. Di fatto, per tale via, si passa dalla parte della borghesia, la quale è pur disposta ad ammettere tutto quello che si vuole, fuorché la trasformazione delle organizzazioni della classe che essa opprime in organizzazioni statali. E a questo punto Kautsky non potrà più salvare in alcun modo la sua posizione, che tutto concilia e che elude con semplice frasi tutte le contraddizioni profonde.
O Kautsky rinuncia completamente al passaggio del potere politico nelle mani della classe operaia, oppure ammette che la classe operaia deve prendere nelle sue mani la vecchia macchina statale borghese, ma non accetta in nessun caso che essa la spezzi e la demolisca sostituendola con una nuova macchina statale proletaria. Comunque "si interpreti" e "si spieghi" il ragionamento di Kautsky, nell'uno modo o nell'altro, la sua rottura con il marxismo e il suo passaggio dalla parte della borghesia risultano evidenti.
Già nel Manifesto comunista, indicando quale Stato sia necessario alla classe operaia vittoriosa, Marx scriveva: "lo Stato, vale a dire il proletariato stesso organizzato come classe dominante". Ma adesso un tale, che pur pretende di continuare a essere un marxista, dichiara che il proletariato, organizzato ella sua totalità e impegnato nella "battaglia decisiva" contro il capitale, non deve trasformare la sua organizzazione di classe in un'organizzazione statale. Kautsky rivela qui quella "fede superstiziosa nello Stato" della quale Engels scriveva nel 1891 che "in Germania... si è trasportata nella coscienza generale della borghesia e perfino di molti operai". Battetevi, operai, "concede" il nostro filisteo (ma lo "concede" anche il borghese, dal momento che gli operai combattono lo stesso e non resta altro da fare che cercare di spuntare la loro spada), combattete, ma non osate vincere! Non distruggete la macchina statale della borghesia, non sostituite all'"organizzazione statale" borghese un'"organizzazione statale" proletaria!
Chiunque condivida sul serio la concezione marxista secondo la quale lo Stato è soltanto una macchina per l'oppressione di una classe sull'altra, chiunque abbia meditato più o meno profondamente su questa verità, non potrà mai pervenire ad una simile assurdità, dicendo che le organizzazioni proletarie, capaci di vincere il capitale finanziario, non devono trasformarsi in organizzazioni statali. Proprio su questo punto viene fuori il piccolo borghese, per il quale lo Stato è "comunque" qualcosa che sta al di fuori o al di sopra delle classi. Perché infatti dovrebbe essere consentito al proletariato, a "una sola classe", di combattere una guerra decisiva contro il capitale, che esercita il suo dominio non soltanto sul proletariato, ma su tutto il popolo, su tutta la piccola borghesia, su tutti i contadini, e non sarebbe invece concesso al proletariato, a questa "sola classe", di trasformare la propria organizzazione in una organizzazione statale? Solo perché il piccolo borghese ha paura della lotta di classe e non la conduce fino in fondo, fino all'essenziale!
Kautsky è caduto in un garbuglio inestricabile e si è tradito in pieno. E' lui stesso, si noti, a riconoscere che l'Europa si sta avviando verso battaglie decisive tra il capitale e il lavoro e che i vecchi metodi di lotta economica e politica del proletariato sono insufficienti. Senonché, questi metodi consistono appunto nell'utilizzare la democrazia borghese. E allora?...
Kautsky non ha il coraggio di trarre la conclusione logica.
...E allora soltanto un reazionario, un nemico della classe operaia, un valletto della borghesia può oggi decantare le delizie della democrazia borghese e ciarlare di democrazia pura, volgendosi a un passato che ha fatto il suo tempo. La democrazia borghese era progressiva rispetto al medioevo, e bisognava quindi utilizzarla. Ma oggi essa è insufficiente per la classe operaia. Oggi bisogna guardare avanti, non indietro, bisogna guardare alla sostituzione della democrazia borghese con la democrazia proletaria. E, se il lavoro preparatorio della rivoluzione, l'addestramento e la formazione dell'esercito proletario sono stati possibili (e necessari) nel quadro dello Stato democratico borghese, una volta che si sia giunti alle "battaglie decisive", rinchiudere il proletariato entro questo quadro significa tradire la causa del proletariato, significa essere un rinnegato.
Kautsky si è così trovato in una situazione particolarmente ridicola perché ha ripreso un'argomentazione di Martov, senza avvedersi che in Martov quest'argomentazione poggia su un'altra tesi, che in Kautsky manca! Martov dice (e Kautsky ripete) che la Russia non è ancora matura per il socialismo, dal che naturalmente consegue che è ancora troppo presto per trasformare i soviet da organi di lotta in organizzazioni statali (leggi: è opportuno, con l'aiuto dei dirigenti menscevichi, trasformare i soviet in organi di subordinazione degli operai alla borghesia imperialistica). Kautsky non può affermare apertamente che l'Europa è ancora immatura per il socialismo. Nel 1909, quando non era ancora un rinnegato, egli ha scritto che non bisognava più temere una rivoluzione prematura e che sarebbe stato un traditore chi, per paura della sconfitta, avesse rinunciato alla rivoluzione. Kautsky non osa smentire esplicitamente queste sue affermazioni. Il risultato è un'incoerenza tale che svela sino in fondo tutta la sua stoltezza e pusillanimità di piccolo borghese: da un lato, l'Europa è matura per il socialismo e si sta avviando verso le battaglie decisive del lavoro contro il capitale; dall'altro lato, non si può trasformare in una organizzazione statale l'organizzazione di combattimento (che cioè si forma, si sviluppa, si consolida nella lotta), l'organizzazione del proletariato, avanguardia, organizzatore e guida degli oppressi!
Su piano praticopolitico, l'idea che i soviet sono necessari come organizzazione di combattimento, ma non devono trasformarsi in organizzazioni statali è infinitamente più assurda di quanto non lo sia sul piano teorico. Persino in tempo di pace, quando non c'è una situazione rivoluzionaria, la lotta di massa degli operai contro i capitalisti, per esempio lo sciopero di massa, provoca nei due contendenti una vigorosa esasperazione, una lotta molto appassionata. La borghesia non smette di ripetere che è e vuole continuare a essere "padrona in casa sua", ecc. Ma in tempo di rivoluzione, quando la vita politica si fa impetuosa, un'organizzazione come i soviet, che si estendono a tutti gli operai di tutti i rami dell'industria, nonché a tutti i soldati e a tutta la popolazione lavoratrice e povera delle campagne, è necessariamente sospinta dal corso della lotta dalla semplice "logica" dell'assalto e della resistenza, a porre nettamente la questione. Tentare di assumere una posizione intermedia, tentare di "conciliare" il proletariato con la borghesia, è cosa stolta e destinata a fallire miseramente: così è avvenuto, in Russia, delle prediche di Martov e degli altri menscevichi; così avverrà inevitabilmente in Germania e negli altri paesi, se i soviet si svilupperanno in modo più o meno ampio, se avranno il tempo di unificarsi e consolidarsi. Dire ai soviet: battetevi, ma non prendete nelle vostre mani tutto il potere dello Stato, non diventare organizzazioni statali, significa predicare la collaborazione delle classi e la "pace sociale" tra il proletariato e la borghesia. E' ridicolo anche solo pensare che, nel parossismo della lotta, questa posizione possa condurre ad altro che non sia un fallimento vergognoso. Tenere il piede in due staffe è l'eterno destino di Kautsky. Egli finge di non concordare su nessun punto di teoria con gli opportunisti, ma in realtà, nella pratica, concorda con loro in tutto l'essenziale (vale a dire in tutto ciò che riguarda la rivoluzione).
L'Assemblea costituente e la Repubblica sovietica
La questione dell'Assemblea costituente e del suo scioglimento da parte dei bolscevichi è il nodo di tutto l'opuscolo di Kautsky. Su di essa l'autore ritorna di continuo. Il testo del capo ideologico della II Internazionale abbonda di accenni al fatto che i bolscevichi "hanno soppresso la democrazia" (vedi sopra in una delle citazioni tolte da Kautsky). La questione assume realmente interesse e importanza, perché la rivoluzione ha dovuto affrontare qui praticamente il problema del rapporto tra democrazia borghese e democrazia proletaria. Vediamo quindi come analizzi il problema il nostro "teorico marxista".
Kautsky cita le Tesi sull'Assemblea costituente, che io ho redatto e pubblicato nella Pravda del 26 dicembre 1917. In apparenza non ci si potrebbe aspettare una riprova migliore della serietà con cui Kautsky, documenti alla mano, affronta la questione. Si osservi tuttavia in che modo egli maneggia le citazioni. Non dice che le tesi erano 19, né dice che in esse era posto il problema sia del rapporto tra una repubblica borghese normale, con la sua Assemblea costituente, e la repubblica dei soviet sia della storia del disaccordo manifestatosi nella nostra rivoluzione tra l'Assemblea costituente e la dittatura del proletariato. Kautsky elude tutto questo e dichiara semplicemente al lettore che "due di esse [di queste tesi] assumono particolare importanza": l'una afferma che dopo le elezioni dell'Assemblea costituente ma prima della sua convocazione si è prodotta una scissione tra i socialisti-rivoluzionari (Kautsky non dice che si tratta della quinta tesi); l'altra sostiene che la repubblica dei soviet è in generale una forma di democrazia superiore all'Assemblea costituente (Kautsky non dice che si tratta della terza tesi).
E inoltre di questa terza tesi Kautsky cita per intero solo una parte, cioè il seguente passo: "La repubblica dei soviet non soltanto è una forma di istituzione democratica di tipo più elevato (in confronto a una comune repubblica borghese che abbia un'Assemblea costituente come coronamento), ma è anche l'unica forma capace di assicurare il passaggio al socialismo nel modo meno doloroso*" (Kautsky omette la parola "comunque" e le parole d'introduzione della tesi: "Per il passaggio dal regime borghese a quello socialista, per la dittatura del proletariato").
Dopo aver riportato questo brano, Kautsky esclama con brillante ironia:
"Peccato che a questa conclusione si sia pervenuti dopo che si è rimasti in minoranza all'Assemblea costituente! Prima nessuno aveva reclamato l'Assemblea più clamorosamente di Lenin".
Così è detto, testualmente, a p. 31 dell'opuscolo!
È davvero una perla! Solo un sicofante al servizio della borghesia poteva presentare le cose sotto una luce cosi falsa che il lettore è indotto a pensare che tutti i discorsi dei bolscevichi sul tipo superiore di Stato siano un'invenzione venuta alla luce dopo che essi si sono trovati in minoranza all'Assemblea costituente!! Una menzogna cosi ignobile poteva dirla soltanto un farabutto, vendutosi alla borghesia, o ma è assolutamente la stessa cosa qualcuno che ha fiducia in P. Axelrod e nasconde i nomi dei suoi informatori.
Tutti sanno, infatti, che fin dal primo giorno del mio rientro in Russia, il 4 aprile 1917, ho letto pubblicamente le tesi in cui proclamavo la superiorità di uno Stato del tipo della Comune sulla repubblica parlamentare borghese. Cosa che ho poi ripetuto a più riprese per iscritto, per esempio nel mio opuscolo sui partiti politici, tradotto in inglese e pubblicato in America nel gennaio 1918 sull'Evening post di New York. Ma non è tutto. La conferenza tenuta dal partito bolscevico verso la fine di aprile del 1917 ha approvato una risoluzione in cui si diceva che la repubblica proletaria e contadina è superiore alla repubblica parlamentare borghese, che il nostro partito non può accontentarsi di quest'ultima e che il programma del partito deve essere emendato in tal senso.
Come qualificare, dopo questo, l'uscita di Kautsky, il quale garantisce ai lettori tedeschi che io avrei rivendicato clamorosamente la convocazione dell'Assemblea costituente e, solo dopo che i bolscevichi vi si erano trovati in minoranza, avrei cominciato a "menomare" l'onore e la dignità di quell'Assemblea? Come giustificare quest'uscita**? Col fatto che Kautsky non è al corrente delle cose? Ma allora perché ne scrive? oppure perché non dichiara onestamente che lui, Kautsky, scrive sulla scorta delle informazioni fornitegli dai menscevichi Stein, P. Axelrod e soci? Kautsky con le sue pretese di obiettività" cerca di occultare la sua funzione di lacché dei menscevichi esasperati dalla disfatta.
Ma questi sono i fiori. I frutti verranno più tardi.
Ammettiamo che Kautsky non abbia voluto o potuto (??) avere dai suoi informatori la traduzione delle risoluzioni e delle dichiarazioni presentate dai bolscevichi sulla possibilità di accontentarsi della repubblica democratica parlamentare borghese. Ammettiamolo, benché sia inverosimile. Ma tuttavia Kautsky cita espressamente, a p. 30 del suo opuscolo, le mie tesi del 26 dicembre 1917.
Conosce Kautsky il testo integrale di queste tesi o ne conosce solo ciò che gli è stato tradotto dagli Stein, dagli Axelrod e soci? Kautsky cita la terza tesi concernente una questione fondamentale, cioè la questione se i bolscevichi si siano resi consapevoli e abbiano detto al popolo prima delle elezioni per l'Assemblea costituente che la repubblica dei soviet è superiore alla repubblica borghese. Ma Kautsky non fa parola della seconda tesi
E la seconda tesi dice:
"La socialdemocrazia rivoluzionaria, ponendo la rivendicazione della convocazione dell'Assemblea costituente, ha sottolineato a più riprese, sin dall'inizio della rivoluzione del 1917, che la repubblica dei soviet è una forma di democrazia più elevata di una comune repubblica borghese che abbia un'Assemblea costituente" (il corsivo è mio).
Per rappresentare i bolscevichi come uomini senza princìpi, come "opportunisti rivoluzionari" (Kautsky usa quest'espressione in qualche punto del suo opuscolo, non ricordo più a quale proposito), il signor Kautsky ha nascosto ai lettori tedeschi che le tesi fanno esplicito riferimento a "ripetute" dichiarazioni precedenti!
Son questi i piccoli, meschini e spregevoli espedienti di cui si serve il signor Kautsky. Egli elude per tal modo la questione teorica.
È vero o falso che la repubblica parlamentare democratica borghese è inferiore a una repubblica del tipo della Comune o del tipo dei soviet? Il nodo della questione è questo, e Kautsky lo elude. Egli "ha dimenticato" tutto ciò che Marx ha detto nella sua analisi della Comune di Parigi. Egli "ha dimenticato" anche la lettera di Engels a Bebel del 28 marzo 1875, nella quale è espresso in modo particolarmente chiaro ed esplicito lo stesso pensiero di Marx: "La Comune non era più uno Stato nel senso proprio della parola".
Così, il più insigne teorico della II Internazionale, in un opuscolo dedicato alla Dittatura del proletariato e che tratta particolarmente della Russia, dove è stato posto più volte e in modo aperto il problema di una forma di Stato superiore alla repubblica democratica borghese, non accenna neppure a questo problema. In che cosa questo differisce di fatto dal passaggio nel campo della borghesia?
(Notiamo tra parentesi che anche qui Kautsky si trascina a rimorchio dei menscevichi russi. Fra costoro, di uomini che conoscono "tutti i testi" di Marx se ne trovano a profusione, ma non c'è un solo menscevico che tra l'aprile e l'ottobre 1917 e tra l'ottobre 1917 e l'ottobre 1918 abbia tentato anche solo una volta di affrontare la questione di uno Stato del tipo della Comune. Senza dubbio, ha dovuto tacere.)
Va da sé che parlare dello scioglimento dell'Assemblea costituente con chi si proclama socialista e marxista, mentre nella questione essenziale, nella questione di uno Stato del tipo della Comune, è passato di fatto dalla parte della borghesia, sarebbe gettar perle ai porci. Basterà ristampare integralmente, in appendice al presente opuscolo, le mie tesi sull'Assemblea costituente. Da esse il lettore vedrà che il problema è stato posto il 26 dicembre 1917 sul piano teorico, storico e pratico-politico.
Se Kautsky come teorico ha rinnegato interamente il marxismo, avrebbe potuto esaminare da storico il problema della lotta dei soviet contro l'Assemblea costituente. Da molti scritti di Kautsky noi sappiamo che egli sa essere uno storico marxista e che questi suoi lavori resteranno come un patrimonio duraturo del proletariato, nonostante la successiva abiura del loro autore. Ma sul nostro problema Kautsky, anche come storico, volta le spalle alla verità, ignora fatti universalmente noti, si comporta come un sicofante. Egli vuole presentare i bolscevichi come uomini senza principi e racconta come essi abbiano tentato di attenuare il conflitto con l'Assemblea costituente prima di scioglierla. Non c'è qui proprio niente di male, non abbiamo niente da rinnegare, io ristampo integralmente le mie tesi, nelle quali è detto con estrema chiarezza: signori piccoli borghesi esitanti, che vi siete insediati nell'Assemblea costituente, o voi vi rassegnate alla dittatura del proletariato o noi vi sconfiggeremo "per via rivoluzionaria" (resi 18 e 19).
Cosi ha sempre agito e sempre agirà verso la piccola borghesia esitante il proletariato realmente rivoluzionario.
Nella questione dell'Assemblea costituente Kautsky assume una posizione formalistica. Ho già detto chiaramente e ripetutamente nelle mie tesi che gli interessi della rivoluzione stanno al di sopra dei diritti formali dell'Assemblea costituente (cfr. le tesi 16 e 17). La posizione democratica formale è appunto la posizione del democratico borghese, il quale non ammette che gli interessi del proletariato e della lotta di classe proletaria siano al di sopra di tutto. Come storico, Kautsky non avrebbe potuto non riconoscere che i parlamenti borghesi sono organi di questa o quella classe. Ma oggi (per il suo sordido proposito di rinnegare la rivoluzione) egli ha dovuto dimenticare il marxismo, e quindi Kautsky nemmeno si domanda di quale classe sia stata organo l'Assemblea costituente in Russia. Kautsky non analizza la situazione concreta, non vuole considerare i fatti, non fa parola ai lettori tedeschi del fatto che nelle tesi non è data soltanto una chiarificazione teorica del problema dei limiti della democrazia borghese (tesi 13), non sono esaminate soltanto le condizioni concrete che hanno determinato uno squilibrio tra le liste dei partiti, compilate verso la metà di ottobre del 1917, e la realtà del dicembre 1917 (tesi 46), ma è esaminata anche la storia della lotta di classe e della guerra civile tra l'ottobre e il dicembre 1917 (tesi 715). Da questa storia concreta noi abbiamo tratto la conclusione (tesi 14) che la parola d'ordine "tutto il potere all'Assemblea costituente" era diventata di fatto la parola d'ordine dei cadetti, dei seguaci di Kaledin e dei loro complici.
Lo storico Kautsky non si avvede di questo. Lo storico Kautsky non ha mai sentito dire che il suffragio universale dà origine a parlamenti che sono talvolta piccolo-borghesi e talvolta reazionari e controrivoluzionari. Lo storico marxista Kautsky non ha mai sentito dire che una cosa è la forma delle elezioni, la forma della democrazia, e un'altra cosa è il contenuto di classe di un dato istituto. Il problema del contenuto di classe dell'Assemblea costituente è posto apertamente e risolto nelle mie tesi. Può darsi che la mia soluzione sia sbagliata. Niente sarebbe per noi più gradito di una critica marxista alla nostra analisi, di una critica fatta dal di fuori. Invece di scrivere frasi sciocche (che abbondano in Kautsky) sulla pretesa di qualcuno che il bolscevismo non venga criticato, Kautsky si sarebbe dovuto impegnare in questa critica. Ma la verità è che in lui non c'è ombra di critica. Egli non si prefigge neppure di fare un'analisi di classe dei soviet, da un lato, e dell'Assemblea costituente, dall'altro. È quindi impossibile discutere, polemizzare con Kautsky, e resta solo da mostrare al lettore perché Kautsky non possa non esser detto un rinnegato.
Il disaccordo tra i soviet e l'Assemblea costituente ha una sua storia, che non può essere ignorata nemmeno da uno storico che non si attenga al punto di vista della lotta di classe. Kautsky non ha voluto nemmeno sfiorare questi fatti storici. Egli ha nascosto ai lettori tedeschi il fatto universalmente noto (che oggi occultano soltanto i peggiori menscevichi) che i soviet, anche sotto il dominio dei menscevichi, cioè dalla fine del febbraio all'ottobre 1917, sono stati in disaccordo con le istituzioni "statali" (cioè borghesi). Kautsky è, in sostanza, sulle posizioni della conciliazione, dell'accordo, della collaborazione tra il proletariato e la borghesia; e, sebbene egli lo neghi, questa sua posizione è un fatto, confermato da tutto il suo opuscolo. Dire che non si doveva sciogliere l'Assemblea costituente significa dire che non bisognava condurre a fondo la lotta contro la borghesia, che non bisognava rovesciarla, che il proletariato doveva riconciliarsi con la borghesia.
Ma perché dunque Kautsky non dice parola del fatto che tra il febbraio e l'ottobre del 1917 i menscevichi si sono dedicati a quest'opera ingloriosa, senza concludere un bel niente? Se si poteva riconciliare il proletariato con la borghesia, per quale motivo i menscevichi non ci sono riusciti? perché la borghesia è rimasta estranea ai soviet? perché ì soviet erano detti (dai menscevichi) "democrazia rivoluzionaria" e la borghesia "elementi censitari"?
Kautsky ha nascosto ai lettori tedeschi che proprio i menscevichi, nell'"epoca" (febbraio-ottobre 1917) del loro predominio, hanno chiamato i soviet democrazia rivoluzionaria, riconoscendo per tal modo la loro superiorità su tutti gli altri istituti. Solo nascondendo questo fatto lo storico Kautsky è riuscito a presentar le cose come se il disaccordo tra i soviet e la borghesia non avesse una storia ma fosse sopravvenuto d'un tratto, all'improvviso, senza motivo, per effetto del pessimo comportamento dei bolscevichi. In realtà, proprio l'esperienza più che semestrale (un periodo molto lungo per una rivoluzione) del conciliatorismo menscevico, del tentativo di riconciliare il proletariato con la borghesia, ha convinto il popolo dell'inutilità di questi tentativi e ha allontanato il proletariato dai menscevichi.
I soviet, ammette Kautsky, sono un'ottima organizzazione di lotta del proletariato, un'organizzazione che ha davanti a sé un grande avvenire. Ma, se questo è vero, tutta la posizione di Kautsky precipita come un castello di carte o come il sogno di un piccolo borghese che crede di poter evitare un'aspra lotta di classe tra il proletariato e la borghesia. La rivoluzione è infatti una lotta ininterrotta e per di più accanita, e il proletariato è la classe d'avanguardia di tutti gli oppressi, il fulcro e il centro di tutte le aspirazioni emancipatrici di tutti gli oppressi. I soviet, in quanto organi di lotta delle masse oppresse, rispecchiavano ed esprimevano gli stati d'animo e il mutamento di idee di queste masse in modo infinitamente più rapido, completa e fedele di qualsiasi altra istituzione (è questa, fra l'altro, una delle ragioni per cui la democrazia sovietica è un tipo superiore di democrazia).
Dal 28 febbraio al 25 ottobre (vecchio calendario) 1917 i soviet sono riusciti a convocare due congressi nazionali della stragrande maggioranza della popolazione di Russia, di tutti gli operai e soldati, dei sette o degli otto decimi dei contadini, senza contare la folla di congressi locali, distrettuali, cittadini, governatoriali e regionali. Nello stesso torno di tempo la borghesia non è riuscita a convocare un solo organismo in cui fosse rappresentata la maggioranza (esclusa la "conferenza democratica", manifestamente contraffatta, derisoria verso il proletariato, di cui ha suscitato l'indignazione). L'Assemblea costituente rispecchiava lo stesso stato d'animo delle masse, gli stessi raggruppamenti politici delineatisi al primo congresso dei soviet di tutta la Russia (congresso di giugno). Nel periodo della convocazione dell'Assemblea costituente (gennaio 1918) si sono tenuti il secondo (ottobre 1917) e il terzo (gennaio 1918) congresso dei soviet, i quali hanno dimostrato con estrema chiarezza che le masse si erano spostate a sinistra, si erano poste su un terreno rivoluzionario, si erano allontanate dai menscevichi e dai socialisti-rivoluzionari ed erano passate dalla parte dei bolscevichi, avevano cioè voltato le spalle ai dirigenti piccolo-borghesi, alle illusioni di un accordo con la borghesia, ed erano passate sul terreno della lotta rivoluzionaria del proletariato per rovesciare la borghesia.
Anche la sola storia esterna dei soviet mostra pertanto che lo scioglimento dell'Assemblea costituente era inevitabile e che questa Assemblea aveva un carattere reazionario. Ma Kautsky continua ad attenersi fermamente alla sua "parola d'ordine": soccomba la rivoluzione, trionfi pure la borghesia sul proletariato, purché prosperi la "democrazia pura"! Fiat justitia, pereat mundus!
Ecco un breve consuntivo dei congressi dei soviet di tutta la Russia nella storia della rivoluzione russa:
Congressi dei soviet Numero dei delegati Numero dei bolscevichi % dei bolscevichi
1° (3 giugno 1917) 790 103 13
2° (25 ottobre 1917) 675 343 51
3° (10 gennaio 1918) 710 434 61
4° (14 marzo 1918) 1232 795 64
5° (4 luglio 1918) 1164 773 66
Basta dare uno sguardo. a queste cifre per capire perché la difesa dell'Assemblea costituente e i discorsi (come quello di Kautsky) secondo cui i bolscevichi non hanno dalla loro la maggioranza della popolazione, provochino tra noi soltanto ilarità.
La Costituzione sovietica
Come ho già detto, la privazione dei diritti elettorali per la borghesia non è un indice obbligatorio e necessario della dittatura del proletariato. Neanche in Russia i bolscevichi, che molto prima dell'ottobre avevano lanciato la parola d'ordine della dittatura proletaria, avevano detto in precedenza di voler sopprimere i diritti elettorali degli sfruttatori. Questo elemento della dittatura non è venuto alla luce "in base al piano" di un partito qualsiasi, ma è sorto spontaneamente nel corso della lotta. Beninteso, lo storico Kautsky non se n'è accorto. Non ha capito che la borghesia, già nel periodo in cui nei soviet predominavano i menscevichi (favorevoli all'intesa ton la borghesia), si era separata dai soviet, li boicottava, li contrastava, intrigava contro di essi. I soviet sono nati senza alcuna Costituzione e per oltre un anno (dalla primavera del 1917 all'estate del 1918) hanno funzionato senza Costituzione. La collera della borghesia contro l'organizzazione autonoma e onnipotente (perché comprendeva tutti) degli oppressi, la lotta senza scrupoli, egoistica e sordida della borghesia contro i soviet, infine, la palese partecipazione della borghesia (dai cadetti ai socialisti-rivoluzionari, da Miliukov a Kerenski) all'avventura di Kornilov, tutto questo ha preparato l'esclusione formale della borghesia dai soviet.
Kautsky ha sentito parlare dell'avventura di Kornilov, ma egli sputa con sovrano disdegno sui fatti storici, sull'andamento e sulle forme della lotta che determinano le forme della dittatura: e, in realtà, che c'entrano i fatti con la democrazia "pura"? La "critica" di Kautsky alla soppressione dei diritti elettorali per la borghesia si distingue pertanto per una... cosi soave ingenuità che sarebbe commovente, se venisse da un bambino, ma che suscita disgusto quando proviene da un uomo che non è stato ancora riconosciuto ufficialmente debole di mente.
"... Se, in regime di suffragio universale, i capitalisti si fossero trovati in infima minoranza, si sarebbero rassegnati più rapidamente alla loro sorte..." (p. 33). Non è grazioso? L'acuto Kautsky ha riscontrato mille volte nella storia e, in generale, ha potuto osservare molto bene nella vita reale che certi grandi proprietari fondiari e capitalisti tengono conto della volontà della maggioranza degli oppressi. L'acuto Kautskv si attiene fermamente al punto di vista dell'"opposizione", cioè al punto di vista della lotta parlamentare. E scrive testualmente "opposizione" (p. 34 e altrove).
O dotto storico e politico! Non sarebbe male per voi sapere che il concetto di "opposizione" riguarda la lotta pacifica e puramente parlamentare, corrisponde cioè a una situazione non rivoluzionaria, corrisponde all'assenza della rivoluzione. Nella rivoluzione si ha a che fare con un nemico implacabile nella guerra civile, e tutte le geremiadi reazionarie di un piccolo borghese che, come Kautsky, tema questa guerra non potranno cambiare questo fatto. Considerare sotto il profilo dell'"opposizione" i problemi della spietata guerra civile, nel momento in cui la borghesia non rifugge da nessun delitto (e l'esempio dei versagliesi e le loro transazioni con Bismarck possono insegnare qualcosa a chi non esamini la storia come il Petruscka gogoliano), nel momento in cui la borghesia chiama in suo soccorso gli Stati stranieri e intriga con loro contro la rivoluzione, è cosa ridicola. Il proletariato rivoluzionario, ispirandosi all'esempio del "consigliere dell'imbroglio" Kautsky, dovrebbe mettersi la berretta da notte e considerare la borghesia, che organizza le rivolte controrivoluzionarie di Dutov di Krasnov e dei cechi e spende milioni per sovvenzionare i sabotatori, come un'"opposizione legale. Che profondità di pensiero!
A Kautskv interessa soltanto il lato giuridico formale della questione, tanto che, nel leggere le sue considerazioni sulla Costituzione sovietica, vien fatto di ricordare le parole di Bebel: i giuristi sono reazionari dalla testa ai piedi. "In realtà, - scrive Kautsky, - non si possono privare dei diritti i soli capitalisti. Che cos'è un capitalista in senso giuridico? Un possidente? Persino in un paese così avanzato sulla via del progresso economico, come la Germania, che ha un proletariato tanto numeroso, l'instaurazione della repubblica sovietica priverebbe dei diritti politici grandi masse di cittadini. Nel 1907, nell'impero germanico, il numero delle persone occupate nei tre grandi rami, agricoltura, industria e commercio, abbracciava, comprese le loro famiglie, circa 35 milioni di unità nel gruppo degli impiegati e degli operai salariati e 17 milioni nel gruppo dei lavoratori indipendenti. Quindi un partito può ben avere la maggioranza tra gli operai salariati ed essere tuttavia una minoranza della popolazione" (p. 33).
Ecco un piccolo saggio del modo di ragionare di Kautsky. Non è questo il piagnucolio controrivoluzionario di un borghese? Perché mai, signor Kautsky, avete classificato tutti gli "indipendenti" fra coloro che sono privi di diritti, mentre sapete benissimo che la stragrande maggioranza dei contadini russi non impiega operai salariati e non viene quindi privata dei diritti? Non è forse questa una falsificazione?
Perché mai voi, dotto economista, non avete riportato i dati a voi ben noti e contenuti nella stessa statistica del 1907 sul lavoro salariato nell'agricoltura per gruppi di aziende? Perché non avete riferito agli operai tedeschi, lettori del vostro opuscolo, questi dati, dai quali risulterebbe quanti siano gli sfruttatori e come sia esiguo il loro numero nel complesso dei "proprietari agricoli", in base alla statistica tedesca?
Solo perché la vostra abiura ha fatto di voi un sicofante al servizio della borghesia.
Il concetto di capitalista, guardate voi, à un concetto giuridico indeterminato. e Kautsky tuona per alcune pagine contro l'"arbitrio" della Costituzione sovietica. Quest'"erudito scrupoloso" consente alla borghesia inglese di elaborare e rifinire per secoli la nuova (rispetto al medioevo) Costituzione borghese, mentre a noi, operai e contadini di Russia, questo rappresentante di una scienza servile non dà alcun respiro. Da noi pretende in pochi mesi una Costituzione rifinita in tutti i particolari.
... "Arbitrio"! Pensate che abisso di sordido servilismo verso la borghesia e di ottusa pedanteria riveli un tale rimprovero! Quando nei paesi capitalistici i giuristi, borghesi fino al midollo e per la massima parte reazionari, elaborano per secoli e decenni i regolamenti più minuziosi e scrivono decine e centinaia di volumi di leggi e di commenti alle leggi, che opprimono l'operaio, che legano il povero mani e piedi, che frappongono mille ostacoli e cavilli a ogni semplice lavoratore, a ogni uomo del popolo, oh, in questo caso, i liberali borghesi e il signor Kautsky non parlano di "arbitrio"! Qui regnano l'"ordine" e la "legalità"! Qui tutto è calcolato e codificato per "spremere" quanto più si può il povero diavolo! Qui vi sono migliaia di avvocati e funzionari borghesi (dei quali Kautsky non fa parola, probabilmente perché Marx attribuiva grande importanza alla demolizione della macchina burocratica...), che sanno interpretare le leggi in modo tale da impedire all'operaio e al contadino medio di sfondare il reticolato di queste leggi. Ebbene, questo non è l'"arbitrio" della borghesia, non è la dittatura di sfruttatori avidi e sordidi, che si nutrono del sangue del popolo. Oh, no, questa è la "democrazia pura", che diventa di giorno in giorno sempre più pura.
Ma, quando le classi lavoratrici e sfruttate, che la guerra imperialistica ha separato dai loro fratelli d'oltre frontiera, hanno costituito per la prima volta nella storia i loro soviet, hanno chiamato all'edificazione politica quelle masse che la borghesia opprimeva, schiacciava, abbrutiva e hanno cominciato a costruire esse stesse uno Stato nuovo, uno Stato proletario, e a delineare, nell'ardore di una lotta furiosa, nel fuoco della guerra civile, le tesi fondamentali di uno Stato senza sfruttatori, allora tutta la canaglia borghese. tutta la banda dei vampiri, con il loro tirapiedi Kautsky, ha preso a gridare all'"arbitrio"! Come volete infatti che questi ignoranti, questi operai e contadini, questa "plebe" sappiano interpretare le loro leggi? Dove volete che prendano il senso della giustizia questi semplici lavoratori, che non si giovano dei consigli dei colti avvocati e degli scrittori borghesi, dei Kautsky e dei vecchi saggi funzionari?
Dal mio discorso del 29 aprile 1918 il signor Kautsky cita queste parole: "Le masse fissano la procedura e la data delle elezioni" '"... E Kautsky, il "democratico puro", deduce:
"...Ogni assemblea elettorale decide quindi a suo giudizio la procedura delle elezioni. L'arbitrio e la possibilità di disfarsi degli elementi d'opposizione che non fanno comodo, nel seno stesso del proletariato, sarebbero così portati al massimo grado" (p. 37).
In che cosa differiscono queste parole dal discorso di un servile pennivendolo al soldo della borghesia, che nel corso di uno sciopero strepita contro la violenza esercitata dalle masse sugli operai diligenti, "desiderosi di lavorare"? Perché mai la determinazione burocratico-borghese della procedura delle elezioni nella "pura" democrazia borghese non sarebbe un arbitrio? Perché mai il senso della giustizia dovrebbe essere più debole nelle masse che insorgono nella lotta contro i loro secolari sfruttatori, nelle masse illuminate e temprate da questa lotta accanita, che non in un pugno di funzionari, di intellettuali, di avvocati educati nello spirito dei pregiudizi borghesi?
Kautsky è un socialista autentico. Non si osi mettere in dubbio la sincerità di questo onorevolissimo padre di famiglia, di questo onestissimo cittadino. Kautsky è un fautore appassionato e convinto della vittoria degli operai, della rivoluzione proletaria. Egli chiede però una cosa: che gli untuosi intellettuali piccoli-borghesi e i filistei in berretta da notte redigano, prima che le masse si mettano in moto, prima che esse scatenino la loro lotta furibonda contro gli sfruttatori, e assolutamente senza guerra civile, un moderato e accurato statuto dello sviluppo della rivoluzione...
Con profonda indignazione morale il nostro dottissimo Iudusck a Golovliov racconta agli operai tedeschi che il 14 giugno 1918 il Comitato esecutivo centrale dei soviet di tutta la Russia ha deciso di espellere dai soviet i rappresentanti del partito socialista-rivoluzionario di destra e del partito menscevico. "Questo provvedimento - scrive Iuduscka Kautsky, infiammato di nobile sdegno - non è rivolto contro determinate persone che hanno compiuto determinati atti passibili di punizione... La Costituzione della repubblica sovietica non fa parola dell'immunità dei deputati dei soviet. Non determinate persone, ma determinati partiti vengono qui esclusi dai soviet" (p. 37).
Sì, è proprio terribile, è un'inammissibile deviazione dalla democrazia pura, secondo le cui regole il nostro rivoluzionario Iuduscka Kautsky vuole fare la rivoluzione. Noi, bolscevichi russi, avremmo dovuto promettere dapprima l'immunità ai Savinkov e soci, ai Liberdan, ai Potresov (agli "attivisti") e soci, e redigere quindi un codice penale che dichiarasse "passibile di punizione" la partecipazione alla guerra controrivoluzionaria dei cecoslovacchi o l'alleanza in Ucraina e in Georgia con gli imperialisti tedeschi contro gli operai del proprio paese, e allora soltanto, sulla base di questo codice, avremmo avuto il diritto, nello spirito della "democrazia pura", di espellere dai soviet "determinate persone". Va da sé che i cecoslovacchi, i quali, per mezzo dei Savinkov, dei Potresov, dei Liberdan (o con l'aiuto della loro propaganda), ricevevano denaro dai capitalisti anglo-francesi, o i Krasnov, i quali ricevevano munizioni dai tedeschi con l'aiuto dei menscevichi dell'Ucraina e di Tiflis, avrebbero atteso pazientemente che noi redigessimo un normale codice penale e, da purissimi democratici, si sarebbero accontentati di fare l'"opposizione"...
Un'indignazione morale non meno profonda è suscitata in Kautsky dal fatto che la Costituzione sovietica priva dei diritti elettorali coloro che "impiegano operai salariati a scopo di profitto". "Un lavoratore a domicilio o un piccolo padrone che impieghi un solo apprendista - scrive Kautsky - può avere una vita e dei sentimenti veramente proletari, e tuttavia non gode del diritto di voto" (p. 36).
Che deviazione dalla "democrazia pura"! Che ingiustizia! È vero, sino a oggi tutti i marxisti hanno pensato e migliaia di fatti hanno confermato che i piccoli padroni sono gli sfruttatori più taccagni e privi di scrupoli degli operai salariati, tuttavia, Iuduscka Kautsky non prende in considerazione la classe dei piccoli padroni (chi ha inventato questa dannosa teoria della lotta di classe?), ma alcune persone determinate, gli sfruttatori "che hanno una vita e dei sentimenti veramente proletari". La celebre "Agnese l'economa", che si credeva morta da un pezzo, rinasce sotto la penna di Kautsky. Quest'Agnese l'economa è stata inventata e messa in circolazione nella letteratura tedesca, alcuni decenni or sono, da un democratico "puro" come il borghese Eugen Richter. Costui prediceva le incredibili calamità che sarebbero derivate dalla dittatura del proletariato e dalla confisca del capitale agli sfruttatori e con aria innocente si domandava che cosa fosse un capitalista in senso giuridico. Riferiva l'esempio di una sarta povera e risparmiatrice ("Agnese l'economa") a cui i malvagi "dittatori del proletariato" toglievano gli ultimi soldi. C'è stato un tempo in cui tutta la socialdemocrazia tedesca si divertiva con quest'"Agnese l'economa" del democratico puro Eugen Richter. Ma questo accadeva tanto tempo fa, quando Bebel era ancora vivo e diceva apertamente e con franchezza che nel partito tedesco c'erano molti nazionalliberali. Questo accadeva tanto tempo fa, quando Kautsky non era ancora un rinnegato.
Oggi "Agnese l'economa" è risorta nelle sembianze del "piccolo padrone che impiega un solo apprendista e che ha una vita e dei sentimenti veramente proletari". I malvagi bolscevichi gli fanno dei torti, gli tolgono i diritti elettorali. t vero, nella repubblica sovietica, "ogni assemblea elettorale", come dice Io stesso Kautsky, può ammettere un povero artigiano legato a una data fabbrica, se, in via eccezionale, non è uno sfruttatore, se nei fatti "ha una vita e dei sentimenti veramente proletari". Ma ci si può forse fidare della conoscenza della vita. del senso della giustizia di un"assemblea di semplici operai di fabbrica, di un'assemblea disordinata e (orrore!) funzionante senza statuto? Non e forse evidente che sarebbe meglio concedere il diritto di voto a tutti gli sfruttatori, a tutti coloro che impiegano operai salariati, invece di correre il rischio che gli operai facciano dei torti ad "Agnese l'economa" e all'"artigiano che ha una vita e dei sentimenti proletari"?
Lasciate che le spregevoli canaglie dell'abiura, applaudite dalla borghesia e dai social-sciovinisti***, biasimino la nostra Costituzione sovietica perché priva dei diritti elettorali gli sfruttatori! Questo è un fatto positivo, che accelera e approfondisce la rottura degli operai rivoluzionari d'Europa con gli Scheidemann e i Kautsky, i Renaudel e i Longuet, i Henderson e i Ramsay MacDonald, con i vecchi capi e con i vecchi traditori del socialismo.
Le grandi masse delle classi oppresse, i dirigenti consapevoli e onesti venuti dalle file dei proletari rivoluzionari saranno per noi. Basterà far conoscere a questi proletari e a queste masse la Costituzione sovietica, perché essi dicano subito: ecco dove sono veramente i nostri, ecco dov'è il vero partito operaio, ecco dov'è il vero governo operaio! Esso infatti non inganna gli operai con chiacchiere sulle riforme, come li hanno ingannati tutti i capi menzionati sopra, ma lotta sul serio contro gli sfruttatori, fa sul serio la rivoluzione, si batte realmente per la completa emancipazione degli operai.
Se dopo un anno di "esperienza" i soviet hanno privato gli sfruttatori del diritto di voto, vuol dire che questi soviet sono realmente le organizzazioni delle masse oppresse e non dei socialimperialisti o dei socialpacifisti vendutisi alla borghesia. Se questi soviet hanno privato gli sfruttatori del diritto di voto, vuol dire che essi non sono gli organi di una politica piccolo-borghese di conciliazione con i capitalisti, non sono gli organi del chiacchiericcio parlamentare (dei Kautsky, dei Longuet e dei MacDonald), ma sono gli organi del proletariato realmente rivoluzionario, che combatte per la vita e per la morte contro gli sfruttatori.
"L'opuscolo di Kautsky è quasi sconosciuto qui", mi ha scritto pochi giorni fa (oggi è il 30 ottobre) da Berlino un compagno bene informato. Consiglierei ai nostri ambasciatori in Germania e in Svizzera di non risparmiare qualche migliaio di rubli per acquistare l'opuscolo e diffonderlo gratuitamente tra gli operai coscienti, al fine di trascinare nel fango questa socialdemocrazia "europea" - leggi: imperialistica e riformistica - che è diventata ormai da tempo un "fetido cadavere".
Alla fine del suo opuscolo, alle pagine 61 e 63, il signor Kautsky deplora amaramente che la "nuova teoria" (come egli chiama il bolscevismo, temendo anche solo di sfiorare l'analisi della Comune di Parigi fatta da Marx e da Engels) "trovi sostenitori persino nelle vecchie democrazie, come, ad esempio, la Svizzera". Per Kautsky "è inconcepibile" che "dei socialdemocratici tedeschi accettino questa teoria".
No, è pienamente concepibile, perché dopo le severe lezioni della guerra le masse rivoluzionarie cominciano a provare disgusto per gli Scheidemann e per i Kautsky
"Noi", scrive Kautsky. siamo sempre stati per la democrazia, e ora d'un tratto dovremmo rinunciare a essa!
"Noi", opportunisti della socialdemocrazia, siamo sempre stati contrari alla dittatura del proletariato, e i Kolb e soci l'hanno ammesso francamente da un pezzo. Kautsky lo sa bene e invano spera di poter nascondere ai suoi lettori il fatto evidente del suo "ritorno in seno" ai Bernstein e ai Kolb.
"Noi", marxisti rivoluzionari, non ci siamo mai fatti un idolo della democrazia "pura" (borghese). Com'è noto, Plekhanov era un marxista rivoluzionario nel 1903 (prima del suo deplorevole voltafaccia, che ha fatto di lui uno Scheidemann russo). Ebbene, al congresso del partito che ha approvato il programma ', Plekhanov ha detto che nel corso della rivoluzione il proletariato avrebbe privato in caso di necessità del diritto di voto i capitalisti e sciolto qualsiasi parlamento che si fosse rivelato controrivoluzionario. Che sia proprio questa la sola impostazione conforme al marxismo possono capirlo tutti anche solo dai brani di Marx e di Engels citati sopra. Questo scaturisce in modo evidente da tutti i principi del marxismo.
"Noi", marxisti rivoluzionari, non abbiamo mai tenuto al popolo discorsi come quelli che amano pronunciare i kautskiani di tutte le nazioni, i quali strisciano davanti alla borghesia, si adattano al parlamentarismo borghese, nascondono il carattere borghese dell'attuale democrazia e si limitano a chiedere che essa venga estesa e realizzata fino in fondo.
"Noi" abbiamo detto alla borghesia: voi sfruttatori e ipocriti non fate che parlare di democrazia, mentre frapponete ad ogni passo mille ostacoli alla partecipazione delle masse oppresse alla politica. Vi prendiamo in parola e, per preparare le masse alla rivoluzione, per rovesciare voi sfruttatori nell'interesse di queste masse, esigiamo l'allargamento della vostra democrazia. E, se voi sfruttatori farete il minimo tentativo di resistere alla rivoluzione proletaria, vi schiacceremo senza pietà, vi priveremo di ogni diritto o, peggio, vi negheremo il pane, perché nella nostra repubblica proletaria gli sfruttatori non avranno alcun diritto, saranno privati del fuoco e dell'acqua, perché noi siamo dei socialisti sul serio e non dei socialisti alla maniera di Scheidemann e di Kautsky.
Ecco che cosa abbiamo detto e che cosa diremo "noi" marxisti rivoluzionari; ecco perché le masse oppresse saranno per noi e con noi, mentre gli Scheidemann e i Kautsky saranno gettati nell'immondezzaio dei rinnegati.
Che cos'è l'internazionalismo?
Kautsky è convintissimo di essere un internazionalista e si proclama tale. Egli dice che gli Scheidemann sono "socialisti governativi". Difendendo i menscevichi (egli non dice apertamente di essere solidale con loro, ma ne condivide interarriente le posizioni), rivela nel modo più lampante di che genere sia il suo "internazionalismo". E, poiché Kautsky non è un isolato, ma rappresenta una corrente, che doveva inevitabilmente scaturire dall'ambiente della II Internazionale (Longuet in Francia, Turati in Italia, Nobs e Grimm, Graber e Naine in Svizzera, Ramsay MacDonald in Inghilterra, ecc.), sarà istruttivo soffermarsi sull'"internazionalismo" di Kautsky.
Dopo aver sottolineato che anche i menscevichi sono stati a Zimmerwald (un diploma, senza dubbio, ma... un diploma che sa di rancido), Kautsky così delinea le concezioni dei menscevichi da lui condivise:
"I menscevichi volevano la pace generale. Volevano che tutti i belligeranti accettassero la parola d'ordine: senza annessioni e senza riparazioni. Fino a che questo obiettivo non fosse stato raggiunto, l'esercito russo sarebbe dovuto rimanere con le armi al piede. I bolscevichi invece esigevano la pace immediata a qualsiasi costo, in caso di necessità erano pronti a stipulare una pace separata e cercavano di imporla con la forzai aggravando la già profonda disorganizzazione dell'esercito" (p. 27). I bolscevichi, a giudizio di Kautsky, non avrebbero dovuto conquistare il potere, ma accontentarsi dell'Assemblea costituente. L'internazionalismo di Kautsky e dei menscevichi consiste quindi nell'esigere riforme dal governo borghese imperialistico, ma nel continuare ad appoggiarlo, nel continuare a sostenere la guerra condotta da questo governo, fino a che tutti i belligeranti non abbiano accolto la parola d'ordine della pace senza annessioni e senza riparazioni. t questa l'idea enunciata pi ù volte da Turati, dai kautskiani (Haase, ecc.), da Longuet e soci, i quali si sono dichiarati favorevoli alla "difesa della patria".
Sul piano teorico, questo significa totale incapacità di separarsi dai socialsciovinisti e confusione completa riguardo al problema della difesa della patria. Sul piano politico, questo implica la sostituzione dell'internazionalismo con il nazionalismo piccolo-borghese, il passaggio al riformismo, la rinuncia alla rivoluzione.
Riconoscere la "difesa della patria" significa giustificare, dalle posizioni del proletariato, la guerra attuale, ammetterne la legittimità. E, poiché la guerra continua a essere imperialistica (in regime monarchico o repubblicano), indipendentemente dal luogo in cui, in un momento dato, si trovano le unità nemiche, nel mio paese o in un paese straniero, riconoscere la difesa della patria significa appoggiare di fatto la predonesca borghesia imperialistica e tradire completamente il socialismo. In Russia, anche sotto Kerenski, in regime di repubblica democratica borghese, la guerra continuava a essere imperialistica, perché era condotta dalla borghesia, in quanto classe dominante (e la guerra è la "continuazione della politica"), e l'espressione più evidente del carattere imperialistico della guerra erano i trattati segreti per la spartizione del mondo e il saccheggio dei paesi stranieri, trattati conclusi dall'ex zar con i capitalisti d'Inghilterra e di Francia.
I menscevichi ingannavano vilmente il popolo, dicendo che questa era una guerra difensiva o rivoluzionaria, e Kautsky, approvando la politica dei menscevichi, approva che si inganni il popolo, approva la funzione dei piccoli borghesi, che aiutano il capitale a turlupinare gli operai, ad aggiogarli al carro degli imperialisti. Kautsky conduce una politica tipicamente piccolo-borghese e filistea, quando crede (e suggerisce quest'idea assurda alle masse) che lanciare una parola d'ordine significhi cambiare la realtà. Tutta la storia della democrazia borghese smentisce quest'illusione: per ingannare il popolo i democratici borghesi hanno lanciato sempre e continuano a lanciare "parole d'ordine" d'ogni genere. Il punto è di controllare la loro sincerità, di mettere a confronto le parole con i fatti, di non star contenti della frase idealistica o ciarlatanesca, ma di individuare la realtà di classe. La guerra non cessa di essere imperialistica quando i ciarlatani o i parolai o i filistei piccolo-borghesi lanciano una melliflua "parola d'ordine", ma solo quando la classe, che conduce questa guerra imperialistica ed è legata a essa da milioni di fili (se non di cavi) economici, viene di fatto rovesciata e sostituita al potere dalla classe realmente rivoluzionaria, dal proletariato. Non c'è altro modo di uscire da una guerra imperialistica o, anche, da una pace imperialistica di rapina.
Approvando la politica estera dei menscevichi, proclamandola internazionalistica e zimmerwaldiana, Kautsky mostra anzitutto il marciume della maggioranza opportunistica zimmerwaldiana (non per caso noi, sinistra di Zimmerwald, ci siamo separati subito da questa maggioranza!) e inoltre - ma è l'essenziale - passa dalla posizione proletaria alla posizione piccolo-borghese, dalla posizione rivoluzionaria alla posizione riformistica.
Il proletariato lotta per abbattere con la rivoluzione la borghesia imperialistica, la piccola borghesia si batte per "perfezionare" mediante le riforme l'imperialismo, per adattarsi e subordinarsi a esso. Quando Kautsky era ancora marxista, nel 1909, per esempio, allorché scrisse La via del potere, egli sosteneva che la rivoluzione era inevitabile in relazione alla guerra e parlava dell'avvicinarsi dell'èra delle rivoluzioni. Il manifesto di Basilea del 1912 parla apertamente e in modo preciso di rivoluzione proletaria in rapporto a quella guerra imperialistica tra il gruppo tedesco e il gruppo inglese che sarebbe poi scoppiata nel 1914. Ma nel 1918, quando in relazione con la guerra sono cominciate le rivoluzioni, Kautsky, invece di spiegare che esse sono inevitabili, invece di meditare e riflettere sino in fondo sulla tattica rivoluzionaria, sui metodi e mezzi di preparazione della rivoluzione, prende a definire internazionalistica la tattica riformistica dei menscevichi. Non è questa un'abiura?
Kautsky elogia i menscevichi perché volevano che fosse mantenuta l'efficienza combattiva dell'esercito. Biasima i bolscevichi perché hanno aggravato la già profonda "disorganizzazione dell'esercito". Questo significa elogiare il riformismo e la subordinazione alla borghesia imperialistica, questo significa denigrare la rivoluzione, rinnegarla. Mantenere l'efficienza combattiva dell'esercito sotto Kerenski equivaleva infatti a conservare un esercito con un comando borghese (pur se repubblicano). Tutti sanno - e il corso degli eventi lo ha confermato - che quest'esercito repubblicano, in virtù dei suoi quadri superiori korniloviani, conservava uno spirito korniloviano. Gli ufficiali borghesi non potevano non essere korniloviani, non potevano non propendere per l'imperialismo, per la repressione violenta del proletariato. Lasciare intatte tutte le vecchie basi della guerra imperialistica e della dittatura borghese, accomodare le minuzie, dare una mano di vernice alle inezie ("riforme"): ecco a che cosa si riduceva nei fatti la tattica menscevica.
Eppure, nessuna grande rivoluzione è mai avvenuta e può avvenire senza che sia "disorganizzato" l'esercito. Perché l'esercito è lo strumento più tradizionale su cui poggia il vecchio regime, è il baluardo più potente della disciplina borghese, del dominio del capitale, è una scuola di servile sottomissione e subordinazione dei lavoratori al capitale. La controrivoluzione non ha mai tollerato, né poteva tollerare, la presenza di operai armati accanto all'esercito. In Francia, ha scritto Engels, dopo ogni rivoluzione gli operai erano armati: "per i borghesi che si trovavano al governo dello Stato il disarmo degli operai era quindi il primo comandamento" . Gli operai armati erano l'embrione di un nuovo esercito, il nucleo organizzativo di un nuovo sistema sociale. Schiacciare questo nucleo, non permetterne lo sviluppo, era il primo comandamento della borghesia. Il primo comandamento di ogni rivoluzione vittoriosa, come Marx e Engels hanno sottolineato a pii riprese, è invece quello di distruggere il vecchio esercito, di scioglierlo e sostituirlo con un nuovo esercito. La nuova classe sociale, salendo al potere, non ha mai potuto e non può oggi conquistare e consolidare questo potere senza disgregare completamente il vecchio esercito ("disorganizzazione", gridano in proposito i piccoli borghesi reazionari o semplicemente pusillanimi), senza passare per il periodo eccezionalmente duro e difficile in cui non c'è esercito (anche la grande rivoluzione francese ha conosciuto questo periodo), senza forgiare a poco a poco, in una aspra guerra civile, un nuovo esercito, una nuova disciplina, la nuova organizzazione militare della nuova classe. Lo storico Kautsky in passato capiva tutto questo. Il rinnegato Kautsky se ne è dimenticato.
Quale diritto ha Kautsky di definire gli Scheidemann "socialisti governativi" se poi approva la tattica seguita dai menscevichi nella rivoluzione russa? I menscevichi, sostenendo Kerenski, facendo parte del suo governo, erano anch'essi dei socialisti governativi. E Kautskv non potrà in nessun caso sfuggire a questa conclusione, se solo tenterà di impostare il problema della classe dominante che conduce la guerra imperialistica. Ma Kautsky evita di impostare il problema della classe dominante, che si impone ad ogni marxista, perché la sua sola impostazione lo smaschererebbe come rinnegato.
I kautskiani in Germania, i longuettisti in Francia, Turati e soci in Italia ragionano così: il socialismo presuppone l'uguaglianza e la libertà delle nazioni, la loro autodecisione; e pertanto, quando il nostro paese viene aggredito o quando gli eserciti nemici invadono la nostra terra. i socialisti hanno il diritto e il dovere di difendere la patria. Ma, sul piano teorico, questo ragionamento è un insulto continuato al socialismo o una manovra truffaldina; sul piano pratico-politico, esso coincide con il ragionamento di un contadino assolutamente ignorante, incapace anche solo di riflettere sul carattere sociale, classista della guerra e sui compiti di un partito rivoluzionario in una guerra reazionaria.
Il socialismo è contro la violenza verso le nazioni. Questo è incontestabile. Ma il socialismo è in generale contrario alla violenza verso gli uomini. Però nessuno, tranne gli anarchici cristiani e i tolstoiani, ha mai da ciò dedotto che il socialismo è contrario alla violenza rivoluzionaria. Pertanto, parlare di "violenza" in generale, senza analizzare le condizioni che differenziano la violenza reazionaria dalla violenza rivoluzionaria, significa essere un filisteo che rinnega la rivoluzione o semplicemente ingannare sé stessi e gli altri con i sofismi.
Lo stesso si dica della violenza contro le nazioni. Ogni guerra è violenza contro le nazioni, ma questo non impedisce ai socialisti di essere favorevoli alla guerra rivoluzionaria. Quale è il carattere di classe della guerra? Ecco la domanda fondamentale che si pone ogni socialista (a meno che non sia un rinnegato). La guerra imperialistica del 19141918 è una guerra tra due gruppi della borghesia imperialistica per la spartizione del mondo, per la spartizione del bottino, per il saccheggio e lo strangolamento delle nazioni piccole e deboli. Questo è il giudizio dato sulla guerra dal manifesto di Basilea del 1912, giudizio che i fatti hanno confermato. Chi abbandona questa posizione sulla guerra non è un socialista.
Se un tedesco sotto Guglielmo o un francese sotto Clemenceau dicesse: io, come socialista, ho il diritto e il dovere di difendere la patria, poiché 'il nemico ha invaso il mio paese, ebbene, questo non sarebbe il ragionamento di un socialista, di un internazionalista, di un proletario rivoluzionario, ma di un nazionalista piccolo-borghese. In questo ragionamento svanisce infatti la lotta rivoluzionaria di classe del l'operaio contro il capitale. svanisce il giudizio dato su tutta la guerra nel suo insieme dal punto di vista della borghesia mondiale o del proletariato mondiale, svanisce cioè l'internazionalismo e non rimane che un meschino e fossilizzato nazionalismo. Si oltraggia il mio paese, il lesto non mi riguarda: ecco a che cosa si riduce questo ragionamento, ecco dove risiede la sua grettezza nazionalistica piccolo-borghese. È esattamente come se, dinanzi alla violenza individuale, esercitata contro un singolo, qualcuno dicesse: il socialismo è contrario alla violenza, e quindi preferisco commettere un tradimento anziché andare in prigione.
Un francese, un tedesco o un italiano il quale dica che il socialismo è contrario alla violenza verso le nazioni e che pertanto egli si difende, quando il nemico invade il suo paese, tradisce il socialismo e l'internazionalismo. Perché quest'individuo vede unicamente il suo "paese", pone al di sopra di tutto la "sua"... borghesia, senza pensare ai legami internazionali, che fanno della guerra una guerra imperialistica e che fanno della s u a borghesia un anello nella catena della rapina imperialistica.
Tutti i piccoli borghesi e tutti i contadini ottusi e ignoranti ragionano proprio così, cioè come i rinnegati kautskiani, i longuettisti, Turati e soci, i quali dicono: il nemico è nel mio paese, il resto non mi riguarda****.
Il socialista, il proletario rivoluzionario, l'internazionalista ragiona altrimenti: per definire il carattere di una guerra (è essa reazionaria o rivoluzionaria?) non bisogna accertare chi abbia attaccato o in quale paese si trovi il "nemico", ma bisogna stabilire quale classe conduca la guerra, di quale politica sia continuazione questa guerra. Se la guerra è una guerra reazionaria imperialistica, condotta cioè da due raggruppamenti mondiali della borghesia imperialistica, aggressiva, predonesca, reazionaria, ogni borghesia (anche se di un piccolo paese diventa complice della rapina, e il mio dovere, il dovere di un rappresentante del proletariato rivoluzionario, è quello di preparare la rivoluzione proletaria mondiale, come unico mezzo di salvezza dagli orrori della carneficina mondiale. Non devo ragionare dall'angolo visivo del "mio" paese (poiché questo è il ragionamento di un misero cretino di un piccolo borghese nazionalista, che non sa di essere una marionetta nelle mani della borghesia imperialistica), ma dall'angolo visivo del mio contributo alla preparazione, alla propaganda, all'accelerazione della rivoluzione proletaria mondiale.
Ecco che cos'è l'internazionalismo, ecco qual è il dovere dell'internazionalista, dell'operaio rivoluzionario, del vero socialista. Ecco l'abbiccì che il rinnegato Kautsky "ha dimenticato". E la sua abiura diventa tanto più manifesta quando egli dall'approvazione della tattica dei nazionalisti piccolo-borghesi (menscevichi in Russia, longuettisti in Francia, Turati in Italia, Haase e soci in Germania) passa alla critica della tattica bolscevica. Ascoltate questa critica:
"La rivoluzione bolscevica è stata fondata sull'ipotesi che essa sarebbe stata il punto di partenza di una rivoluzione europea generale, che l'audace iniziativa della Russia avrebbe incitato i proletari di tutta Europa a sollevarsi.
"Secondo quest'ipotesi, naturalmente, contavano poco le forme che avrebbe assunto la pace separata russa, gli oneri e le perdite di territorio [letteralmente: autolesioni o mutilazioni, Verstiimmelungen] che essa avrebbe causato al popolo russo, l'interpretazione che essa avrebbe dato dell'autodecisione delle nazioni. Poco importava inoltre di sapere se la Russia sarebbe stata o no capace di difendersi. La rivoluzione europea costituiva, secondo questa visione, la migliore difesa della rivoluzione russa e doveva assicurare a tutti i popoli dell'antico territorio russo l'integrale ed effettivo diritto di autodecisione.
"La rivoluzione in Europa, che avrebbe apportato e consolidato il socialismo, avrebbe dovuto diventare anche il mezzo per rimuovere gli ostacoli che in Russia il ritardo economico del paese frapponeva alla realizzazione della produzione socialista.
"Tutto questo era molto logico e ben fondato, se si ammetteva l'ipotesi fondamentale, cioè che la rivoluzione russa avrebbe immancabilmente scatenato la rivoluzione europea. Ma se ciò non fosse accaduto?
"Fino ad ora l'ipotesi non si è giustificata. E oggi i proletari d'Europa vengono accusati di aver abbandonato e tradito la rivoluzione russa. È un'accusa contro ignoti: a chi infatti attribuire la responsabilità della linea di condotta del proletariato europeo?" (p. 28).
E Kautsky continua a rimasticare che Marx, Engels e Bebel hanno sbagliato più d'una volta, predicendo l'avvento di rivoluzioni premature, ma non hanno mai fondato la loro tattica sull'attesa di una rivoluzione "entro un termine dato" (p. 29), mentre, a suo dire, i bolscevichi "hanno puntato tutto sulla sola carta della rivoluzione europea generale".
Abbiamo riportato di proposito una citazione così lunga, per mostrare chiaramente al lettore con quanta "abilità" Kautsky travisi il marxismo, sostituendogli una concezione piccolo-borghese, volgare e reazionaria.
In primo luogo, attribuire all'avversario una sciocchezza evidente per poi confutarla è un trucco degno di persone non troppo intelligenti. Se i bolscevichi avessero fondato la loro tattica sull'attesa della rivoluzione in altri paesi entro un termine dato, si sarebbe trattato di un'incontestabile sciocchezza. Ma il partito bolscevico non è stato così sciocco: nella mia lettera agli operai americani (del 20 agosto 1918) ho respinto categoricamente questa sciocchezza, dicendo che facciamo assegnamento sulla rivoluzione americana, ma non entro un termine dato 120. Nella mia polemica con i socialisti-rivoluzionari di sinistra e con i "comunisti di sinistra" (gennaio-marzo 1918) ho sviluppato ripetutamente la stessa idea. Kautsky ha commesso un piccolo.., un piccolissimo travisamento su cui ha articolato la sua critica del bolscevismo. Ha confuso la tattica che fa assegnamento sulla rivoluzione europea entro un termine più o meno prossimo, ma non determinato, e la tattica che fa assegnamento sulla rivoluzione europea entro un termine dato. Una piccola frode, una frode assolutamente piccola!
La seconda tattica è una sciocchezza. La prima è obbligatoria per ogni marxista, per ogni proletario rivoluzionario e internazionalista, è obbligatoria perché solo essa tiene esattamente conto in senso marxista della situazione oggettiva creata dalla guerra in tutti i paesi europei e risponde ai compiti internazionali del proletariato.
Sostituendo alla grande questione dei princìpi della tattica rivoluzionaria in generale la meschina questione dell'errore che i rivoluzionari bolscevichi avrebbero potuto commettere ma non hanno commesso, Kautsky ripudia felicemente la tattica rivoluzionaria in generale.
Rinnegato in politica, in teoria egli non sa neppure impostare il problema delle premesse oggettive della tattica rivoluzionaria.
E siamo cos ì pervenuti al secondo punto.
Fare assegnamento sulla rivoluzione europea è, in secondo luogo, obbligatorio per ogni marxista, quando si sia in presenza di una situazione rivoluzionaria. É una verità elementare del marxismo che la tattica del proletariato socialista non può essere la stessa quando la situazione sia rivoluzionaria o quando invece non lo sia.
Se Kautsky si fosse posto questa domanda, obbligatoria per un marxista, avrebbe visto che la risposta gli era assolutamente sfavorevole. Molto tempo prima della guerra tutti i marxisti, tutti i socialisti concordavano nel ritenere che la guerra europea avrebbe creato una situazione rivoluzionaria. Quando non era ancora un rinnegato, Kautsky lo ha riconosciuto con chiarezza e precisione: sia nel 1902 (La rivoluzione sociale) che nel 1909 (La via del potere). Il manifesto di Basilea lo ha affermato a nome di tutta la II Internazionale. Non per caso i socialsciovinisti e i kautskiani (o "centristi", che oscillano tra i rivoluzionari e i riformisti) di tutti i paesi temono come il fuoco queste affermazioni del manifesto di Basilea!
L'attesa di una situazione rivoluzionaria in Europa non era pertanto un'infatuazione dei bolscevichi, ma l'opinione generale di tutti i marxisti. Se Kautsky elude quest'incontestabile verità con frasi come quella secondo cui i bolscevichi "hanno sempre creduto nell'onnipotenza della violenza e della volontà", questa è soltanto una frase reboante che nasconde appunto la fuga - la vergognosa fuga - di Kautsky da ogni impostazione del problema della situazione rivoluzionaria.
Inoltre, si è poi avuta di fatto una situazione rivoluzionaria o no? Kautsky non ha saputo porre nemmeno questo problema. I fatti economici dicono: la fame e la rovina, provocate dappertutto dalla guerra, denunciano una situazione rivoluzionaria. E i fatti politici dicono: fin dal 1915 si è chiaramente delineato in tutti i paesi un processo di scissione dei vecchi e putridi partiti socialisti, uno spostamento a sinistra delle masse proletarie, che si allontanano dai dirigenti social-sciovinisti e si orientano verso le idee e le tendenze rivoluzionarie verso i dirigenti rivoluzionari.
Il 5 agosto 1918, quando Kautsky ha finito di scrivere il suo opuscolo, solo chi 'tema la rivoluzione e la tradisca poteva non avvedersi di questi fatti. Oggi, alla fine di ottobre del 1918, la rivoluzione si sviluppa molto in fretta, a vista d'occhio, in una serie di paesi europei Il "rivoluzionario" Kautsky, che ci tiene a essere ancora considerato un marxista, si è quindi rivelato come un miope filisteo che - alla pari dei filistei del 1847 derisi da Marx - non s'è accorto dell'imminenza della rivoluzione!!
Siamo così pervenuti al terzo punto.
Quali sono infatti, in terzo luogo, le particolarità della tattica rivoluzionaria a patto che si determini in Europa una situazione rivoluzionaria? Kautsky, essendo diventato un rinnegato, ha paura di porre questa domanda obbligatoria per ogni marxista. Egli ragiona come un tipico filisteo piccolo-borghese o come un contadino ignorante: è venuta o no la "rivoluzione europea generale"? Se è venuta, allora anche lui è disposto a diventare un rivoluzionario! Ma in quel caso - aggiungiamo noi - anche la canaglia d'ogni risma (come quei farabutti che cercano a volte d'intrufolarsi tra i bolscevichi vittoriosi) comincerà a dichiararsi rivoluzionaria!
Se questa rivoluzione europea non è venuta, Kautsky volta le spalle alla rivoluzione! Egli non capisce affatto la semplice verità che un rivoluzionario marxista si distingue da un filisteo e da un piccolo borghese proprio perché sa predicare alle masse ignoranti la necessità della rivoluzione che matura, dimostrarne l'ineluttabilità, spiegarne l'utilità per il popolo, preparare a essa il proletariato e tutte le masse lavoratrici e sfruttate.
Kautsky attribuisce ai bolscevichi l'idea assurda di aver puntato tutto su una sola carta, calcolando che la rivoluzione europea sarebbe scoppiata entro un termine fissato. Quest'assurdità si ritorce contro lo stesso Kautsky, poiché dal suo ragionamento risulta che la tattica dei bolscevichi sarebbe stata giusta, se la rivoluzione europea fosse scoppiata entro il 5 agosto 1918! È questa la data che egli indica come data di stesura del suo opuscolo. Quando, qualche settimana pii tardi, è apparso chiaro che la rivoluzione avanzava in una serie di paesi europei, tutta l'abiura di Kautsky, tutta la sua falsificazione del marxismo tutta la sua incapacità di ragionare da rivoluzionario e persino di impostare la questione in modo rivoluzionario si sono rivelate in tutto il loro fascino!
Quando si accusano i proletari d'Europa di tradimento - scrive Kautsky - si muove un'accusa contro ignoti.
Vi sbagliate, signor Kautsky! Guardatevi allo specchio e vedrete gli "ignoti" contro cui l'accusa è rivolta. Kautsky fa l'ingenuo, finge di non capire chi rivolga l'accusa e quale ne sia il senso. In realtà egli sa benissimo che l'accusa è stata ed è lanciata dalla "sinistra" tedesca, dagli spartachisti, da Liebknecht e dai suoi amici. Quest'accusa esprime la chiara coscienza del fatto che il proletariato tedesco ha commesso un atto di tradimento verso la rivoluzione russa (e internazionale) quando ha strangolato la Finlandia, l'Ucraina, la Lettonia, l'Estonia. Questa accusa è diretta anzitutto e soprattutto, non contro le masse, che sono sempre schiacciate, ma contro quei capi che, come Scheidemann e Kautsky, non hanno compiuto il loro dovere (non si sono dedicati all'agitazione e alla propaganda rivoluzionaria, non hanno svolto un lavoro rivoluzionario tra le masse per combatterne l'inerzia) e che in realtà hanno sempre agito contro le aspirazioni e gli istinti rivoluzionari sempre annidati nel profondo delle masse della classe oppressa. Gli Scheidemann hanno tradito apertamente, in modo volgare e cinico, per puro egoismo, il proletariato e sono passati dalla parte della borghesia. I kautskiani e i longuettisti hanno fatto la stessa cosa, ma esitando, tentennando, lanciando sguardi impauriti verso chi era forte in un dato momento. Con tutti i suoi scritti del periodo di guerra Kautsky ha smorzato lo spirito rivoluzionario invece di tenerlo vivo e farlo divampare.
Come un monumento storico dell'idiozia filistea del capo centrista" della socialdemocrazia tedesca ufficiale rimarrà il fatto che Kautsky non riesce a cogliere l'immensa portata teorica e l'ancora pi ù grande significato che sul piano della propaganda e dell'agitazione assume l'"accusa" rivolta ai proletari d'Europa di aver tradito la rivoluzione russa! Kautsky non capisce che quest'"accusa" - nel regime di censura dell'"impero" tedesco - è forse l'unica forma in cui i socialisti tedeschi che non hanno tradito il socialismo, Liebknecht e i suoi amici, potevano incitare gli operai tedeschi a sbarazzarsi degli Scheidemann e dei Kautsky, a respingere questi "capi", a emanciparsi dalla loro propaganda degradante e avvilente, a marciare, contro di loro, senza di loro, al di sopra della loro testa, verso la rivoluzione, per la rivoluzione!
Kautsky non ha capito questo fatto. E come poteva capire la tattica dei bolscevichi? Da chi rinnega la rivoluzione in generale ci si può forse aspettare che soppesi e valuti le condizioni di sviluppo della rivoluzione in uno dei casi pii "difficili"?
La tattica dei bolscevichi è stata giusta, è stata la sola tattica internazionalistica, perché non era fondata sul timore pusillanime della rivoluzione mondiale, sulla "sfiducia" piccolo-borghese verso di essa sul desiderio grettamente nazionalistico di difendere la "propria" patria (la patria della propria borghesia) e di "sputare" su tutto il resto, ma era fondata sull'esatta valutazione (universalmente riconosciuta prima della guerra. prima dell'abiura dei socialsciovinisti e dei socialpacifisti) della situazione rivoluzionaria europea. Questa tattica è stata la sola tattica internazionalistica, perché ha realizzato il massimo del realizzabile in un solo paese p e r sviluppare, sostenere, suscitare la rivoluzione in tutti i Paesi. Questa tattica è stata giustificata dal suo grande successo, perché il bolscevismo (non certo a causa dei meriti dei bolscevichi russi, ma in virtù della profonda e generale simpatia delle musse per questa tattica, rivoluzionaria nei fatti) è diventato un fenomeno mondiale, ha fornito un'ideologia, una teoria, un programma e una tattica, che lo differenziano in concreto, sul piano pratico, dal socialsciovinismo e dal socialpacifismo. Il bolscevismo ha dato il colpo di grazia alla vecchia e putrida Internazionale degli Scheidemann e dei Kautsky, dei Renaudel e dei Longuet, dei Henderson e dei MacDonald, che oggi si pestano l'un l'altro i piedi sognando l'"unità" e risuscitando un cadavere. Il bolscevismo ha posto le fondamenta ideali e tattiche della III Internazionale, che è realmente proletaria e comunista e che tiene conto dei risultati ottenuti in tempo di pace e dell'esperienza dell'epoca delle rivoluzioni, un'epoca che ha già avuto inizio.
Il bolscevismo ha divulgato in tutto il mondo l'idea della "dittatura del proletariato", ha tradotto quest'espressione prima dal latino in russo e poi in tutte le lingue del mondo, mostrando con l'esempio del potere sovietico che persino in un paese arretrato gli operai e i contadini poveri, anche ì meno esperti, i meno istruiti, i meno abituati all'organizzazione, sono stati capaci per tutto un anno, tra difficoltà immani, lottando contro gli sfruttatori (sostenuti dalla borghesia di tutto il mondo), di mantenere il potere dei lavoratori, di creare una democrazia incomparabilmente più elevata e larga di tutte le precedenti democrazie, di avviare al lavoro creativo decine di milioni di operai e contadini per la realizzazione pratica del socialismo.
Il bolscevismo ha di fatto contribuito a sviluppare la rivoluzione proletaria in Europa e in America in modo tanto più efficace di quanto sia riuscito a fare fino a oggi qualsiasi altro paese. Mentre di giorno in giorno diventa sempre più chiaro agli operai di tutto il mondo che la tattica degli Scheidemann e dei Kautsky non li ha fatti sfuggire né alla guerra imperialistica né alla schiavitù salariata imposta dalla borghesia imperialistica, che questa tattica non è un modello valido per tutti i paesi, al tempo stesso diventa di giorno in giorno più chiaro alle masse proletarie di tutto il mondo che il bolscevismo ha additato la via giusta per scampare agli orrori della guerra e dell'imperialismo, che il bolscevismo è valido come modello di tattica per tutti.
La rivoluzione proletaria sta maturando a vista d'occhio non solo in tutta l'Europa ma in tutto il mondo, e la vittoria del proletariato in Russia l'ha favorita, accelerata, appoggiata. Tutto questo è ancora poco per la vittoria completa del socialismo? Naturalmente, è ancora poco. Un solo paese non può fare di più. Ma questo paese, in virtù del potere sovietico, ha fatto da solo tanto che, se domani l'imperialismo mondiale, attraverso poniamo un accordo tra l'imperialismo tedesco e l'imperialismo anglo-francese, schiacciasse il potere sovietico in Russia, anche in questo caso, che sarebbe il peggiore, la tattica bolscevica avrebbe tuttavia recato la massima utilità al socialismo e avrebbe promosso l'avanzata dell'invincibile rivoluzione mondiale.
Servilismo verso la borghesia in veste di "analisi economica"
Come si è già detto, l'opuscolo di Kautsky, se il titolo riflettesse fedelmente il contenuto, dovrebbe intitolarsi non La dittatura del proletariato ma Ripetizione degli attacchi borghesi contro i bolscevichi.
Il nostro teorico ci riscodella le vecchie "teorie" dei menscevichi sul carattere borghese della rivoluzione russa, cioè il vecchio travisamento menscevico del marxismo (respinto da Kautsky nel 1905!). Dovremo soffermarci su questo problema, per quanto tedioso possa essere per i marxisti russi.
La rivoluzione russa è borghese, dicevano tutti i marxisti di Russia prima del 1905. I menscevichi, sostituendo al marxismo il liberalismo, deducevano da questa premessa che il proletariato non doveva oltrepassare ciò che era accettabile per la borghesia e doveva condurre una politica d'intesa con la borghesia. I bolscevichi dicevano che questa era una teoria liberale borghese. La borghesia cerca infatti di rinnovare lo Stato in modo borghese, riformistico, e non in modo rivoluzionario, conservando, nei limiti del possibile, la monarchia, la grande proprietà fondiaria, ecc. Il proletariato deve spingere sino in fondo la rivoluzione democratica borghese, senza farsi "legare" dal riformismo borghese. I bolscevichi formulavano come segue il rapporto tra le forze di classe nella rivoluzione borghese: il proletariato, unendo a sé i contadini, neutralizza la borghesia liberale e distrugge completamente la monarchia, il medioevo, la grande proprietà fondiaria.
Proprio nell'alleanza tra il proletariato e la popolazione contadina in generale si manifesta il carattere borghese della rivoluzione, perché i contadini in generale sono appunto piccoli produttori che stanno sul terreno della produzione mercantile, in seguito, aggiungevano i bolscevichi, il proletariato, unendo a sé tutto il semiproletariato (tutti gli sfruttati e i lavoratori), neutralizza i contadini medi e abbatte la borghesia: ecco che cosa differenzia la rivoluzione socialista dalla rivoluzione democratica borghese (si veda il mio opuscolo del 1905: Due tattiche, ristampato nella raccolta In dodici anni, Pietroburgo, 1907).
Nel 1905 Kautsky partecipò indirettamente alla controversia 122, perché rispondendo a una domanda dell'allora menscevico Plekhanov nella sostanza si pronunciò contro di lui: e la cosa suscitò a quel tempo i caustici sarcasmi della stampa bolscevica. Oggi Kautsky non fa parola delle polemiche di quel tempo (per timore che le sue stesse affermazioni lo smascherino! ) e toglie così al lettore tedesco ogni possibilità di comprendere la sostanza della questione. Nel 1918 il signor Kautsky non può riferire agli operai tedeschi di essere stato favorevole nel 1905 all'alleanza degli operai con i contadini, e non con la borghesia liberale, e non può dire quali condizioni aveva preconizzato e quale programma aveva proposto per tale alleanza.
Avendo fatto macchina indietro, Kautsky sostiene oggi, col pretesto di un'"analisi economica" e con frasi pretenziose sul materialismo storico", la subordinazione degli operai alla borghesia, rimasticando, con l'aiuto di citazioni del menscevico Maslov, le vecchie idee liberali dei menscevichi. Le citazioni dovrebbero dimostrare l'idea inedita dell'arretratezza della Russia, ma da quest'idea inedita se ne deduce una vecchia, quella per cui nella rivoluzione borghese non si deve sorpassare la borghesia! E questo a dispetto di tutte le cose che Marx e Engels hanno detto, confrontando la rivoluzione borghese del 1789 1793 in Francia con la rivoluzione borghese del 1848 in Germania!
Prima di passare alla principale "argomentazione", al nocciolo dell'"analisi economica" di Kautsky, notiamo che sin dalle prime frasi si rivela nell'autore una bizzarra confusione di idee o superficialità:
"Il fondamento economico della Russia - annuncia il nostro "teorico" - è ancora oggi l'agricoltura e, soprattutto, la piccola produzione contadina. Essa dà da vivere ai quattro quinti circa, se non ai cinque sesti, della popolazione" (p. 45). Innanzi tutto, amabile teorico, avete mai pensato quanti possano essere gli sfruttatori in seno a questa massa di piccoli produttori? Naturalmente, non pii di un decimo del numero complessivo, e nelle città, dove la grande produzione è più sviluppata, anche meno. Prendiamo pure un numero incredibilmente alto, ammettiamo pure che un quinto dei piccoli produttori sia fatto di sfruttatori ai quali è negato il diritto di voto. Persino in questo caso si avrà che i bolscevichi, i quali costituivano al quinto congresso dei soviet il 66%, rappresentavano la maggioranza della popolazione. A ciò si deve aggiungere che tra i socialisti-rivoluzionari di sinistra una parte cospicua è sempre stata per il potere sovietico, cioè che in linea di principio tutti i socialisti-rivoluzionari di sinistra erano per il potere sovietico, e, quando una parte di essi ha tentato l'avventura della rivolta nel luglio 1918, due nuovi partiti si sono staccati dal vecchio: quello dei "comunisti populisti" e quello dei "comunisti rivoluzionari" (fra i socialisti-rivoluzionari di sinistra pi ù noti, già proposti dal vecchio partito per importanti cariche statali, al primo dei due nuovi partiti ha aderito, per esempio, Sax, al secondo Kolegaiev). E quindi - senza avvedersene! - lo stesso K.autsky confuta la ridicola leggenda secondo cui i bolscevichi avrebbero con sé solo una minoranza della popolazione.
Inoltre, amabile teorico, avete mai pensato che il piccolo produttore contadino oscilla inevitabilmente tra il proletariato e la borghesia? Kautsky "dimentica" molto opportunamente questa verità marxista, convalidata da tutta la storia europea contemporanea, perché essa riduce in polvere tutta la "teoria" menscevica che Kautsky ribadisce! Se egli non l'avesse "dimenticata", non avrebbe potuto negare la necessità della dittatura del proletariato in un paese in cui predominano i piccoli produttori contadini.
Veniamo ora al nocciolo dell'"analisi economica" del nostro teorico.
Che il potere sovietico sia una dittatura è innegabile, dice Kautsky. "Ma è poi la dittatura del proletariato?" (p. 34).
"I contadini sono, secondo la Costituzione sovietica, la maggioranza della popolazione che ha diritto di partecipare alla legislazione e alla amministrazione. Ciò che ci viene presentato come dittatura del proletariato - se il principio fosse applicato in modo conseguente e se in generale una classe potesse esercitare direttamente la dittatura - altro non sarebbe che la dittatura dei contadini" (p. 35).
E, oltremodo soddisfatto di un ragionamento così profondo e acuto, il buon Kautsky tenta di fare dello spirito: "Da ciò conseguirebbe che la realizzazione meno dolorosa del socialismo viene assicurata solo quando sia affidata ai contadini" (p. 35).
Poi, con grande ricchezza di particolari e un gran numero di citazioni eccezionalmente erudite tolte dagli scritti del semiliberale Maslov, il nostro teorico si dà a dimostrare l'idea nuova che i contadini sono interessati agli alti prezzi del grano, ai bassi salari degli operai urbani, ecc., ecc. Del resto, queste idee nuove sono esposte in modo tanto più noioso quanto meno si presta attenzione ai fenomeni veramente nuovi del periodo postbellico, come, ad esempio, il fatto che i contadini esigono in cambio del grano non più denaro ma merci, che essi mancano di attrezzi, perché non riescono a procurarseli in misura adeguata a nessun prezzo. Ma su questo ritorneremo più ampiamente in seguito.
Kautsky accusa pertanto i bolscevichi, il partito del proletariato, di aver affidato la dittatura, la realizzazione del socialismo, ai contadini piccolo-borghesi. Stupendo, signor Kautsky! Quale dovrebbe essere allora, secondo la vostra illuminata opinione, l'atteggiamento del partito proletario verso ì contadini piccolo-borghesi?
Su questo punto il nostro teorico preferisce tacere, memore forse del detto che "la parola è d'argento, e il silenzio è d'oro". E tuttavia Kautsky si tradisce con il seguente ragionamento:
"Agli inizi della repubblica sovietica, i soviet contadini erano organizzazioni dei contadini in generale. Oggi, invece, questa repubblica proclama che i soviet sono organizzazioni dei proletari e dei contadini poveri. I contadini agiati perdono il diritto di eleggere i soviet. Il contadino povero viene riconosciuto qui come il prodotto permanente e di massa della riforma agraria socialista in regime di "dittatura del proletariato"" (p. 48).
Che ironia mordace! E l'ironia che si può cogliere in Russia sulla bocca di qualsiasi borghese: tutti costoro esultano infatti e sghignazzano perché la repubblica sovietica ammette francamente l'esistenza dei contadini poveri. I borghesi deridono il socialismo. E nel loro diritto. Ma quel "socialista" il quale può ridere del fatto che in Russia, dopo quattro anni di una guerra delle più devastatrici, vi sono i contadini poveri - e vi saranno ancora per molto - è un "socialista" che poteva nascere soltanto nell'atmosfera dell'abiura di massa.
Ascoltate il seguito:
"... La repubblica sovietica interviene nei rapporti tra contadini ricchi e contadini poveri, ma senza procedere a una nuova ripartizione della terra. Per sopperire al fabbisogno di grano degli abitanti delle città si inviano nei villaggi reparti di operai armati i quali tolgono ai contadini ricchi le loro eccedenze di grano. Una parte di questo grano è assegnata alla popolazione urbana, l'altra ai contadini poveri" (p. 48).
Beninteso, il socialista e marxista Kautsky è profondamente indignato all'idea che un simile provvedimento possa estendersi oltre i dintorni delle grandi città (e in Russia si estende a tutto il paese). Il socialista e marxista Kautsky sentenzia con l'inimitabile, impareggiabile, ammirevole freddezza (o ottusità) del filisteo: "... Esse [le espropriazioni dei contadini agiati] immettono un nuovo fattore di turbamento e di guerra civile nel processo produttivo [la guerra civile immessa nel "processo produttivo" è già un che di sovrannaturale!] che, per essere risanato, ha urgente bisogno di tranquillità e sicurezza" (49).
Eh, sì, il marxista e socialista Kautsky deve per forza sospirare e spargere lacrime sulla tranquillità e sicurezza degli sfruttatori e degli speculatori del grano, i quali nascondono le loro eccedenze, boicottano la legge sul monopolio del grano, riducono alla fame la popolazione delle città. Noi siamo tutti socialisti, marxisti e internazionalisti, gridano in coro i signori Kautsky, Heinrich Weber (Vienna), Longuet (Parigi), MacDonald (Londra), ecc.; noi tutti siamo per la rivoluzione della classe operaia, purché... purché non si turbi la tranquillità e sicurezza di coloro che speculano sul grano! Quest'immondo servilismo verso i capitalisti lo occultiamo con un rimando "marxista" al "processo produttivo"... Se questo è marxismo, che cosa chiamiamo allora servilismo verso la borghesia?
Guardate che cosa succede al nostro teorico. Accusa i bolscevichi di spacciare la dittatura dei contadini per dittatura del proletariato. E al tempo stesso ci accusa di immettere la guerra civile nei villaggi (ciò che noi riteniamo un merito) e di inviarvi reparti di operai armati, i quali proclamano apertamente di realizzare "la dittatura del proletariato e dei contadini poveri", aiutano i contadini poveri, confiscano agli speculatori, ai contadini ricchi le eccedenze di grano, da costoro nascoste in violazione della legge sul monopolio del grano.
Da una parte, il nostro teorico marxista è per la democrazia pura, per la subordinazione della classe rivoluzionaria, guida dei lavoratori e degli sfruttati, alla maggioranza della popolazione (in cui sono quindi compresi anche gli sfruttatori). Dall'altra parte, egli cerca di dimostrare, contro di noi, che il carattere della rivoluzione è inevitabilmente borghese perché i contadini stanno nel loro complesso sul terreno dei. rapporti sociali borghesi, e pretende al tempo stesso di attenersi alla posizione proletaria, classista, marxista!
In luogo di un'"analisi economica" abbiamo cosi un pasticcio e un minestrone di prima scelta. In luogo del marxismo frammenti di teorie liberali e la predicazione del servilismo verso la borghesia e i kulak.
La questione ingarbugliata da Kautsky è stata già interamente chiarita dai bolscevichi nel 1905. Sì, la nostra rivoluzione è borghese fino a che noi marciamo con i contadini nel loro insieme. Ce ne siamo resi conto molto chiaramente, lo abbiamo ripetuto centinaia e migliaia di volte dopo il 1905, non abbiamo mai cercato di saltare o abolire con decreti questo gradino necessario del processo storico. Gli sforzi di Kautsky per "smascherarci" su questo punto smascherano soltanto la sua confusione di idee e il suo timore di ricordare quanto ha scritto nel 1905, quando non era ancora un rinnegato.
Ma nel 1917, dopo il mese di apri/e, molto prima della rivoluzione di ottobre, prima della presa del potere, abbiamo detto apertamente e chiarito al popolo che la rivoluzione non poteva fermarsi a quel punto, perché il paese era andato avanti, perché era andato avanti il capitalismo, e la rovina aveva toccato proporzioni senza precedenti, tali da esigere (lo si volesse o no) dei passi in avanti, verso il socialismo. In caso contrario non si poteva salvare il paese, stremato dalla guerra, alleviare le sofferenze dei lavoratori e degli sfruttati.
Le cose sono andate come noi avevamo previsto. Lo sviluppo della rivoluzione ha confermato che il nostro ragionamento era giusto. All'inizio insieme con "tutti" ì contadini contro la monarchia, contro i grandi proprietari fondiari, contro il medioevo (e pertanto la rivoluzione rimane borghese, democratica borghese). Poi insieme con i contadini poveri, insieme con il semiproletariato, insieme con tutti gli sfruttati, contro il capitalismo, compresi i contadini ricchi, i kulak, gli speculatori, e pertanto la rivoluzione diventa socialista. Tentare di erigere artificialmente una muraglia cinese tra l'una e l'altra rivoluzione, tentare di separarle l'una dall'altra con qualcosa che non sia il grado di preparazione del proletariato e il grado della sua unità con i contadini poveri, è il peggior travisamento del marxismo, la sua volgarizzazione, la sua sostituzione con il liberalismo. Sarebbe come far passare di contrabbando la difesa reazionaria della borghesia nei confronti del proletariato socialista per mezzo di rimandi pseudoscientifici al carattere progressivo della borghesia nei confronti del medioevo.
I soviet rappresentano, fra l'altro, un tipo e una forma infinitamente superiore di democrazia proprio perché, unificando e impegnando nella politica la massa degli operai e dei contadini, costituiscono il barometro più vicino al "popolo" (nel senso in cui Marx parlava nel 1871 di una rivoluzione realmente "popolare" 123) e più sensibile dello sviluppo e del grado di maturità politica e classista delle masse. La Costituzione sovietica non è stata redatta secondo nessun "piano", non è stata compilata a tavolino, non è stata imposta ai lavoratori dai giuristi della borghesia. No, questa Costituzione è sorta dallo sviluppo della lotta di classe, via via che maturavano le contraddizioni di classe. La riprova è fornita proprio dai fatti che lo stesso Kautsky è costretto a riconoscere.
All'inizio i soviet raggruppavano i contadini nel loro insieme. L'immaturità, l'arretratezza, l'ignoranza dei contadini poveri ne lasciavano la direzione nelle mani dei kulak, dei contadini ricchi, dei capitalisti, degli intellettuali piccolo-borghesi. È stata questa l'epoca del dominio della piccola borghesia, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari (che solo gli stolti o dei rinnegati come Kautsky possono considerare socialisti). La piccola borghesia oscillava di necessità e inevitabilmente tra la dittatura della borghesia (Kerenski, Kornilov, Savinkov) e la dittatura del proletariato, perché la piccola borghesia, in forza delle caratteristiche fondamentali della sua situazione economica, è incapace di qualsiasi iniziativa autonoma. Tra l'altro, Kautsky rinnega completamente il marxismo, quando, nell'esaminare la rivoluzione russa, si limita al concetto giuridico, formale, di "democrazia", di cui la borghesia si serve per travestire il proprio dominio e ingannare le masse, e dimentica che in realtà "democrazia" significa a volte dittatura della borghesia, a volte riformismo impotente della piccola borghesia, che si sottomette a questa dittatura, ecc. Da Kautsky risulta che in un paese capitalistico ci sono i partiti borghesi, c'è un partito proletario (i bolscevichi) che guida la maggioranza, la massa del proletariato, ma non ci sono i partiti piccolo-borghesi! Non ci sono le radici di classe piccolo-borghesi dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari!
Le esitazioni della piccola borghesia, dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari, hanno illuminato le masse e indotto la stragrande maggioranza, tutti gli "strati inferiori", tutti i proletari e semiproletati ad abbandonare questi "capi". Nei soviet hanno ottenuto la maggioranza (a Pietrogrado e a Mosca verso l'ottobre del 1917) i bolscevichi, mentre nelle file dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi si approfondiva la scissione.
La rivoluzione socialista vittoriosa ha segnato la fine delle esitazioni, ha significato la distruzione completa della monarchia e della grande proprietà fondiaria (che prima della rivoluzione di ottobre non era stata ancora distrutta). La rivoluzione borghese è stata da noi portata a termine. I contadini ci hanno seguìto nel loro insieme. Il loro antagonismo nei confronti del proletariato socialista non poteva manifestarsi di colpo. I soviet raggruppavano i contadini in generale. La divisione di classe all'interno della popolazione contadina non era ancora matura, non era ancora venuta alla luce.
Questo processo si è sviluppato nell'estate e nell'autunno del 1918. La rivolta controrivoluzionaria dei cecoslovacchi ha risvegliato i kulak. In tutta la Russia ha dilagato un'ondata di rivolte dei kulak. Non il libro
il giornale, ma la vita stessa ha insegnato ai contadini poveri che i loro interessi sono inconciliabili con quelli dei kulak, dei ricchi, della borghesia contadina. I "socialisti-rivoluzionari di sinistra", come ogni partito piccolo-borghese, rispecchiavano le esitazioni delle masse e nell'estate del 1918 si sono scissi: una parte si è schierata con i cecoslovacchi (rivolta di Mosca, durante la quale Proscian, impadronitosi - per un'ora! - del telegrafo, ha annunciato alla Russia la caduta dei bolscevichi; tradimento di Muraviov, comandante in capo dei reparti impegnati contro i cecoslovacchi, ecc.); l'altra parte, ricordata più sopra, è rimasta con i bolscevichi.
L'aggravarsi della situazione alimentare nelle città ha posto con sempre maggiore acutezza il problema del monopolio del grano (di cui si è "dimenticato" il teorico Kautsky nella sua analisi economica, che ripete le solite cose, lette dieci anni fa in Maslov! ).
Il vecchio Stato dei grandi proprietari fondiari e della borghesia,
persino lo Stato democratico repubblicano, inviava nelle campagne reparti armati, che erano di fatto al servizio della borghesia. Il signor Kautsky ignora questo fatto! Non vede in esso, Dio ce ne scampi, la "dittatura della borghesia"! Questa è "democrazia pura", soprattutto se viene sanzionata da un parlamento borghese! Kautsky "non ha sentito dire" e omette che Avxentiev e S. Maslov, in compagnia dei Kerenski, degli Tsereteli e di altri esponenti del menscevismo e del socialismo-rivoluzionario, hanno fatto imprigionare nell'estate e nell'autunno del 1917 i membri dei comitati della terra!
La verità è che lo Stato borghese, che realizza la dittatura della borghesia per mezzo della repubblica democratica, non può confessare di fronte al popolo di essere al servizio della borghesia, non può dire la verità, è costretto a fingere.
Lo Stato del tipo della Comune, lo Stato dei soviet, dice invece apertamente e francamente la verità al popolo, dichiarandosi dittatura del proletariato e dei contadini poveri, attraendo a sé, proprio con questa verità, decine e decine di milioni di nuovi cittadini, che in tutte le repubbliche democratiche sono oppressi e che i soviet fanno partecipare alla vita politica, alla democrazia, alla gestione dello Stato. La repubblica sovietica invia nelle campagne reparti di operai armati, operai scelti tra quelli più avanzati, tra quelli delle capitali. Questi operai portano il socialismo nelle campagne, conquistano i contadini poveri, li organizzano e li istruiscono, li aiutano a schiacciare la resistenza della borghesia.
Chiunque sia al corrente della situazione e sia stato nelle campagne dice che soltanto nell'estate e nell'autunno del 1918 i nostri villaggi hanno compiuto la rivoluzione "d'ottobre" (cioè la rivoluzione proletaria). Siamo ad una svolta. All'ondata delle rivolte dei kulak subentra lo slancio dei contadini poveri, lo sviluppo dei "comitati di contadini poveri". Nell'esercito aumenta il numero dei commissari, ufficiali, comandanti di divisione e di armata provenienti dagli operai. Mentre lo sciocco Kautsky, atterrito dalla crisi di luglio (1918) e dagli urli della borghesia, corre dietro a questa scodinzolando e scrive tutto un opuscolo imbevuto della persuasione che i bolscevichi sono alla vigilia di essere rovesciati dai contadini, mentre questo sciocco vede nella defezione dei socialisti-rivoluzionari di sinistra un "restringimento" (p. 37) della cerchia di coloro che sostengono i bolscevichi, in realtà la cerchia effettiva dei sostenitori del bolscevismo si estende all'infinito, perché decine e decine di milioni di contadini poveri, emancipatisi dalla tutela e dall'influenza dei kulak e della borghesia rurale, si ridestano a una vita politica autonoma.
Abbiamo perduto centinaia di socialisti-rivoluzionari di sinistra, intellettuali senza carattere e kulak, ma abbiamo conquistato milioni di rappresentanti dei contadini poveri.*****
A un anno dalla rivoluzione proletaria nelle capitali, sotto la sua influenza e con il suo aiuto, la rivoluzione si è prodotta nei villaggi pii sperduti, consolidando definitivamente il potere sovietico e il bolscevismo, dimostrando definitivamente che nel paese non vi sono forze capaci di opporsi a questo potere.
Il proletariato di Russia, dopo aver portato a termine, insieme con i contadini in generale, la rivoluzione democratica borghese, è passato definitivamente alla rivoluzione democratica borghese, è passato definitivamente alla rivoluzione socialista, non appena è riuscito a scindere le campagne, a unire a sé i proletari e i semiproletari, a raggrupparli contro i kulak e la borghesia, compresa la borghesia contadina.
Se il proletariato bolscevico delle capitali e dei grandi centri industriali non avesse saputo unire attorno a sé i contadini poveri contro i contadini ricchi, questa sarebbe stata la prova dell'"immaturità" della Russia per la rivoluzione socialista, i contadini sarebbero rimasti "un tutto unico", sarebbero cioè rimasti sotto la direzione economica, politica e morale dei kulak, dei ricchi, della borghesia, e la rivoluzione non avrebbe varcato i confini della rivoluzione democratica borghese. (Ma nemmeno in quel caso, sia detto tra parentesi, si sarebbe dimostrato che il proletariato non doveva prendere il potere, perché solo il proletariato ha portato realmente a termine la rivoluzione democratica borghese, soltanto il proletariato ha fatto qualcosa di serio per avvicinare la rivoluzione proletaria mondiale, soltanto il proletariato ha creato lo Stato sovietico, compiendo il secondo passo, dopo la Comune, verso lo Stato socialista.)
D'altra parte, se il proletariato bolscevico avesse tentato subito, nell'ottobre-novembre del 1917, - senza aspettare che nelle campagne si producesse la differenziazione delle classi, senza prepararla e realizzarla, - di "decretare la guerra civile o l'"introduzione del socialismo" nelle campagne, se avesse cercato di fare a meno del blocco (alleanza) provvisorio con i contadini in generale e di evitare ogni concessione ai contadini medi, ecc., questo sarebbe stato un travisamento blanquista del marxismo, sarebbe stato un tentativo della minoranza di imporre la propria volontà alla maggioranza, sarebbe stata un'assurdità teorica, perché avrebbe significato non capire che la rivoluzione dei contadini in generale è ancora una rivoluzione borghese e che senza una serie di trapassi e gradi transitori è impossibile in un paese arretrato trasformarla in rivoluzione socialista.
In questo problema teorico e politico della massima importanza Kautsky ha confuso tutto e si è rivelato in pratica come un servitore della borghesia, che gracchia contro la dittatura del proletariato.
La stessa, se non una più grande confusione, Kautsky ha portato in un'altra questione di grande interesse e importanza, formulabile come segue: è stata impostata correttamente in linea di principio e realizzata congruentemente l'attività legislativa della repubblica sovietica nella trasformazione agraria, che è una trasformazione socialista eccezionalmente difficile e al tempo stesso eccezionalmente importante? Saremmo infinitamente grati a ogni marxista europeo occidentale, se, dopo aver studiato almeno i documenti più importanti, sottoponesse a critica la nostra azione politica, perché darebbe a noi un aiuto straordinario e aiuterebbe insieme la rivoluzione che sta maturando in tutto il mondo. Ma Kautsky, in luogo di una critica, ci fornisce un'inverosimile confusione teorica, che tramuta il marxismo in liberalismo, e, sul piano pratico, ci dà solo attacchi oziosi, rabbiosi e filistei contro i bolscevichi. Giudichi il lettore:
"La grande proprietà fondiaria non poteva essere mantenuta a causa della rivoluzione. Questo è apparso chiaro fin dall'inizio. Non si poteva non trasferire quella proprietà alla popolazione contadina" (Non è vero, signor Kautsky: voi sostituite ciò che è "chiaro" per voi all'atteggiamento delle diverse classi verso la questione; la storia della rivoluzione ha dimostrato che il governo di coalizione della borghesia con la piccola borghesia, con i menscevichi e socialisti-rivoluzionari, ha perseguito appunto una politica di conservazione della grande proprietà fondiaria. Lo hanno dimostrato in particolare la legge di S. Maslov e gli arresti dei membri dei "comitati della terra" i". Senza dittatura del proletariato la "popolazione contadina" non avrebbe sconfitto il grande proprietario fondiario alleato con il capitalista).
"... Tuttavia non c'era unità riguardo alle forme in cui questo doveva avvenire. Diverse soluzioni erano possibili..." (Kautsky si preoccupa soprattutto dell'"unità" dei "socialisti", chiunque sia colui che si attribuisce questo nome. E dimentica invece che le classi fondamentali della società capitalistica devono pervenire a soluzioni diverse). "... Dal punto di vista socialista, la soluzione più razionale sarebbe stata quella di trasferire le grandi aziende in proprietà dello Stato e di affidare ai contadini in esse occupati come operai salariati la coltivazione dei grandi fondi in forma di associazioni. Ma questa soluzione presuppone un proletariato agricolo che in Russia non esiste. Un'altra soluzione poteva essere quella di trasferire il grande possesso fondiario in proprietà dello Stato e di ripartirlo in piccoli appezzamenti da dare in affitto ai contadini con poca terra. Si sarebbe cosi realizzato anche solo qualcosa di socialista..."
Come sempre Kautsky se la cava con il celebre: da un lato, non si può non riconoscere, dall'altro lato, bisogna ammettere. Egli pone sullo stesso piano soluzioni diverse, senza nemmeno domandarsi - ed è la sola domanda reale e marxista - quali debbano essere le forme di passaggio dal capitalismo al comunismo in queste o quelle condizioni specifiche. In Russia ci sono gli operai agricoli, ma il loro numero è limitato, e Kautsky non tocca affatto il problema posto dal potere sovietico del modo come passare alla coltivazione della terra mediante le comuni e le associazioni. La cosa più curiosa è tuttavia che Kautsky vuol vedere "qualcosa di socialista" nella cessione in affitto dei piccoli appezzamenti. In realtà, questa è una parola d'ordine piccolo-borghese, che non ha niente "di socialista". Se lo "Stato" che dà in affitto la terra non sarà uno Stato del tipo della Comune, ma una repubblica parlamentare borghese (ed è questa l'ipotesi costante di Kautsky), la cessione della terra in affitto in piccoli appezzamenti sarà una tipica riforma liberale.
Kautsky non dice che il potere sovietico ha abolito qualsiasi proprietà privata della terra. Ma c'è di peggio. Egli commette un incredibile falso citando i decreti del potere sovietico in modo da ometterne i punti essenziali.
Dopo aver dichiarato che "la piccola produzione aspira alla proprietà privata assoluta dei mezzi di produzione", che l'Assemblea costituente sarebbe stata l'"unica autorità" capace di impedire la ripartizione della terra (affermazione che in Russia può suscitare soltanto ilarità perché tutti sanno che gli operai e i contadini riconoscono soltanto l'autorità dei soviet e che la Costituente è diventata la parola d'ordine dei cecoslovacchi e dei grandi proprietari fondiari), Kautsky continua:
"Uno dei primi decreti del governo sovietico dice: I. La grande proprietà fondiaria è abolita immediatamente senza alcun indennizzo. 2. Le tenute dei grandi proprietari fondiari, come tutte le terre dell'appannaggio, dei monasteri, della Chiesa, con tutte le loro scorte vive e morte, con gli edifici e tutti i loro annessi, sono messe a disposizione dei comitati agricoli di volost e dei soviet distrettuali dei deputati contadini fino a che l'Assemblea costituente non avrà risolto la questione della terra".
Dopo aver citato solo questi due punti, Kautsky conclude:
"Il riferimento all'Assemblea costituente è rimasto lettera morta. In realtà i contadini delle singole volost potevano fare della terra quello che volevano". (p. 47).
Eccovi un saggio della "critica" di Kautsky! Eccovi un lavoro "scientifico" che rassomiglia singolarmente a un falso. Si vuol far credere al lettore tedesco che i bolscevichi hanno capitolato di fronte ai contadini nella questione della proprietà privata della terra! che i bolscevichi hanno consentito ai contadini di fare a casaccio (nelle "singole volost") quello che volevano!
In effetti, il decreto citato da Kautsky - il primo decreto, emanato il 26 ottobre (vecchio calendario) 1917 - non contiene due, ma cinque articoli, più otto articoli del "Mandato", che - com'è detto nel decreto - "deve servire di guida".
L'articolo 3 del decreto dice che le aziende passano "al popoIo", che sono obbligatori l'inventario preciso di tutti i beni confiscati e "la più rigorosa difesa rivoluzionaria di tutte le terre". Nel Mandato è detto che "il diritto di proprietà privata della terra è abolito per sempre", che "le terre a coltura intensiva" "non sono soggette a divisione", che "tutte le scorte vive e morte delle terre confiscate passano senza alcun indennizzo in esclusivo godimento dello Stato o della comunità contadina a seconda della loro entità e importanza", che "tutta la terra passa al fondo agrario di tutto il popolo".
Inoltre, insieme con lo scioglimento dell'Assemblea costituente (5 gennaio 1918), il III congresso dei soviet ha approvato la Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato, che ora fa parte della legge fondamentale della repubblica sovietica. L'articolo II, paragrafo 1, di questa Dichiarazione dice che "la proprietà privata della terra è abolita" e che "le tenute e le aziende agricole modello sono dichiarate patrimonio nazionale".
Il riferimento all'Assemblea costituente non è quindi rimasto lettera morta, perché un'altra assemblea rappresentativa, infinitamente più autorevole per i contadini, si è assunta l'incarico di risolvere la questione agraria.
E ancora. Il 6 (19) febbraio 1918 è stata promulgata una legge sulla socializzazione della terra, che conferma ancora una volta l'abolizione di ogni proprietà privata della terra e mette a disposizione delle autorità sovietiche, sotto il controllo del potere sovietico federale, la terra e tutte le scorte delle proprietà private. La terra viene messa a disposizione per "sviluppare le aziende agricole collettive, più vantaggiose nel senso dell'economia del lavoro e della produzione, a spese delle aziende agricole individuali, al fine di passare all'economia socialista" (art. 11, punto e).
Istituendo il godimento ugualitario della terra, alla fondamentale domanda: "Chi ha diritto al godimento della terra?", questa legge risponde:
"Articolo 20. Entro i confini della repubblica federativa sovietica di Russia singoli appezzamenti di terra possono essere utilizzati per le necessità pubbliche e private: a) a fini educativi e culturali: 1) dallo Stato, rappresentato dagli organi del potere sovietico (federale, regionale, governatoriale, distrettuale, di volost, comunale), 2) da organizzazioni pubbliche (sotto il controllo e con l'autorizzazione del potere sovietico locale); b) per l'esercizio dell'agricoltura: 3) dalle comuni agricole, 4) dalle cooperative agricole, 5) dalle associazioni rurali, 6) da singole famiglie e persone...".
Il lettore vede come Kautsky abbia completamente travisato le cose e fornito al lettore tedesco un quadro assolutamente falso della politica e della legislazione agraria dello Stato proletario in Russia.
Kautsky non è nemmeno riuscito a impostare le questioni teoriche più importanti, fondamentali!
Tali questioni sono:
godimento ugualitario della terra e
nazionalizzazione della terra; rapporto di questi due provvedimenti con il socialismo in generale e con il passaggio dal capitalismo al comunismo in particolare;
coltivazione della terra in comune come transizione dalla piccola economia agricola frazionata alla grande azienda collettiva: il modo come questo problema è posto nella legislazione sovietica risponde alle esigenze del socialismo?
Per la prima questione è anzitutto necessario stabilire i due seguenti fatti fondamentali: a) i bolscevichi, tenendo conto anche dell'esperienza del 1905 (rimando, per esempio, al mio lavoro sulla questione agraria nella prima rivoluzione russa 128), avevano già segnalato il carattere democratico progressivo, democratico rivoluzionario della parola d'ordine dell'ugualitarismo e nel 1917, prima della rivoluzione d'ottobre, ne hanno parlato con la massima precisione; b) promulgando la legge sulla socializzazione della terra, cioè la legge che ha come sua "anima" la parola d'ordine del godimento ugualitario della terra, i bolscevichi hanno affermato nel modo più esplicito e determinato: quest'idea non è nostra, noi non siamo d'accordo con questa parola d'ordine, ma riteniamo nostro dovere applicarla, perché è la rivendicazione della stragrande maggioranza dei contadini. E la maggioranza dei lavoratori deve essa stessa superare quest'idea e queste rivendicazioni, che non possono essere né "abolite" né "scavalcate". Noi bolscevichi aiuteremo i contadini a superare le parole d'ordine piccolo-borghesi, a passare al più presto e nel modo più agevole alle parole d'ordine socialiste.
Un teorico marxista, che voglia aiutare la rivoluzione operaia con la sua analisi scientifica, dovrebbe dire anzitutto se sia vero che l'idea del godimento ugualitario della terra assume una portata democratica rivoluzionaria, in quanto porta a compimento la rivoluzione democratica borghese. Dovrebbe dire, inoltre, se abbiano avuto ragione i bolscevichi nel far approvare con i propri voti (e nell'osservare con la massima lealtà) la legge piccolo-borghese del godimento ugualitario della terra.
Kautsky non è nemmeno riuscito ad avvedersi del significato teorico della questione!
Egli non avrebbe mai potuto confutare che l'idea dell'ugualitarismo assume un significato progressivo e rivoluzionario nel rivolgimento democratico borghese. Questa rivoluzione non può andare oltre. Quando giunge sino in fondo, rivela alle masse tanto pii chiaramente, rapidamente e agevolmente l'insufficienza delle soluzioni democratiche borghesi, la necessità di trascenderne i confini e di passare al socialismo.
I contadini, dopo aver rovesciato lo zarismo e i grandi proprietari fondiari, sognano l'ugualitarismo, e nessuna forza al mondo avrebbe potuto opporsi ai contadini liberatisi dei grandi proprietari fondiari e dello Stato parlamentare borghese repubblicano. I proletari dicono ai contadini: noi vi aiuteremo a raggiungere il capitalismo "ideale", perché, dal punto di vista del piccolo produttore, il godimento ugualitario della terra è l'idealizzazione del capitalismo. Ma al tempo stesso vi mostreremo l'insufficienza di questo sistema e la necessità di passare alla coltivazione in comune della terra.
Sarebbe stato interessante vedere in che modo Kautsky avrebbe cercato di confutare la validità di questa direzione della lotta contadina da parte del proletariato!
Kautsky ha preferito eludere la questione...
Egli ha inoltre ingannato i lettori tedeschi, omettendo il fatto che nella legge sulla terra il potere sovietico ha garantito un netto vantaggio alle comuni e alle cooperative, ponendole in primo piano.
Insieme con i contadini sino al compimento della rivoluzione democratica borghese; insieme con i contadini poveri, con gli strati proletari e semiproletari dei contadini avanti, verso la rivoluzione socialista! t stata questa la politica dei bolscevichi, ed è stata l'unica politica marxista.
Ma Kautsky s'ingarbuglia e non riesce a impostare un solo problema! Da un lato, non s'arrischia a dire che i proletari dovevano separarsi dai contadini nella questione dell'ugualitarismo, perché si rende conto dell'assurdità di una simile rottura (inoltre, nel 1905, quando non era ancora un rinnegato, Kautsky sosteneva esplicitamente la necessità dell'alleanza tra gli operai e i contadini come premessa per la vittoria della rivoluzione). Dall'altro lato, cita approvandole le trivialità liberali del menscevico Maslov, il quale "dimostra" il carattere utopistico e reazionario dell'ugualitarismo piccolo-borghese dal punto di vista del socialismo e non parla del carattere progressivo e rivoluzionario della lotta piccolo-borghese per l'ugualitarismo dal punto di vista della rivoluzione democratica borghese.
Ne vien fuori una confusione senza fine. Si noti che Kautsky (nel 1918) insiste sul carattere borghese della rivoluzione russa. E (nel 1918) esige che non si varchino questi confini! Lo stesso Kautsky ravvisa "qualcosa di socialista" (per la rivoluzione borghese) nella riforma piccolo-borghese che assegna in affitto piccoli appezzamenti di terra ai contadini poveri (cioè in una riforma che avvicina all'ugualitarismo)!
Capisca chi può!
Kautsky rivela, tra l'altro, l'incapacità filistea di tener conto della politica reale di un partito determinato. Riporta le frasi del menscevico Maslov, rifiutandosi di vedere la politica reale del partito menscevico nel 1917, quando cioè questo partito, in "coalizione" con i grandi proprietari fondiari e i cadetti, difendeva nei fatti la riforma agraria liberale e l'accordo con i grandi proprietari fondiari (riprova: gli arresti dei membri dei comitati della terra e il progetto di legge di S. Maslov ).
Kautsky non s'è accorto che le frasi di Piotr Maslov sul carattere reazionario e utopistico dell'ugualitarismo piccolo-borghese nascondono in realtà la politica menscevica di intesa tra i contadini e i grandi proprietari fondiari (cioè la politica di inganno dei contadini per opera dei grandi proprietari fondiari ), politica che viene sostituita alla lotta per il rovesciamento rivoluzionario dei grandi proprietari fondiari per opera dei contadini.
Che bel "marxista" questo Kautsky!
I bolscevichi hanno tenuto conto nel modo più rigoroso della differenza tra la rivoluzione democratica borghese e la rivoluzione socialista: nel portare a termine la prima, hanno dischiuso le porte alla seconda. Ecco l'unica politica rivoluzionaria e marxista!
E invano Kautsky rimastica le scipitaggini liberali: "Mai e in nessun luogo i piccoli contadini sono ancora passati alla produzione collettiva per effetto dei convincimenti teorici" (p. 50).
Quant'arguzia!
Mai e in nessun luogo i piccoli contadini di un grande paese sono ancora stati sotto l'influenza di uno Stato proletario.
Mai e in nessun luogo i piccoli contadini si sono spinti fino alla aperta lotta di classe dei contadini poveri contro i contadini ricchi, fino a una guerra civile in cui i contadini poveri hanno l'appoggio propagandistico, politico, economico e militare del potere statale proletario.
Mai e in nessun luogo la guerra ha arricchito a tal punto gli speculatori e i ricchi e al tempo stesso rovinato a tal punto le masse contadine.
Kautsky ripete cose fritte e rifritte, le mastica e le rimastica, temendo anche solo di pensare ai nuovi compiti della dittatura proletaria. Ebbene, caro Kautsky, se i contadini non hanno abbastanza attrezzi per la piccola produzione e Io Stato proletario li aiuta a procurarsi le macchine per la coltivazione collettiva della terra, è forse questo un "convincimento teorico"?
Veniamo al problema della nazionalizzazione della terra. I nostri populisti, compresi tutti i socialisti-rivoluzionari di sinistra, negano che la misura da noi realizzata sia la nazionalizzazione della terra. Sul piano teorico hanno torto. Nella misura in cui rimaniamo nell'ambito della produzione mercantile e del capitalismo, abolire la proprietà privata della terra significa nazionalizzare la terra. La parola "socializzazione" esprime soltanto una tendenza, un'aspirazione, la preparazione del passaggio al socialismo.
Quale deve essere dunque l'atteggiamento dei marxisti verso la nazionalizzazione della terra?
Anche in questo caso Kautsky non sa nemmeno impostare la questione teorica o - quel che è peggio - la elude di proposito, benché dalla letteratura russa risulti che Kautsky è al corrente delle vecchie polemiche tra i marxisti russi sulla nazionalizzazione, sulla municipalizzazione (trasferimento delle grandi tenute agli organi di autoamministrazione), sulla spartizione.
È un'aperta derisione del marxismo la tesi di Kautsky secondo cui il trasferimento delle grandi tenute allo Stato e la loro cessione in affitto, sotto forma di piccoli appezzamenti, ai contadini con poca terra conterrebbero "qualcosa di socialista". Abbiamo già detto che qui del socialismo non c'è neanche l'ombra. Ma non basta: bisogna aggiungere che non c'è neppure la rivoluzione democratica borghese condotta a termine. A Kautsky è accaduta la grave disgrazia di fidarsi dei menscevichi. Ne è venuto fuori un fatto curioso: Kautsky, mentre sostiene che la nostra rivoluzione ha un carattere borghese e accusa i bolscevichi di aver pensato di avanzare verso il socialismo, presenta lui stesso una riforma liberale in guisa di socialismo, senza spingere questa riforma sino alla completa liquidazione di quanto vi è di medievale nei rapporti fondiari! In Kautsky, come nei suoi consiglieri menscevichi, traspare allora il difensore della borghesia liberale, che ha paura della rivoluzione, e non invece il fautore di una rivoluzione democratica borghese conseguente.
Infatti, perché mai si dovrebbero trasformare in proprietà dello Stato soltanto le grandi tenute e non tutte le terre? La borghesia liberale si garantisce per questa via la massima possibilità di perpetuare il vecchio stato di cose (cioè la minima coerenza nella rivoluzione) e di ritornare al passato. La borghesia radicale, quella cioè che vuole realizzare sino in fondo la rivoluzione borghese, formula invece la parola d'ordine della nazionalizzazione della terra.
Kautsky, che in tempi molto lontani, circa vent'anni fa, ha scritto un mirabile saggio marxista sulla questione agraria, non può ignorare le indicazioni di Marx sulla nazionalizzazione della terra come parola d'ordine conseguente della borghesia. Kautsky non può ignorare la polemica di Marx con Rodbertus e gli stupendi chiarimenti forniti da Marx nelle Teorie del plusvalore, dove appunto si dimostra con particolare chiarezza il carattere rivoluzionario - in senso democratico borghese - della nazionalizzazione della terra.
Il menscevico P. Maslov, che Kautsky ha cos ì infelicemente scelto come suo consigliere, ha negato che i contadini russi avrebbero acconsentito alla nazionalizzazione di tutta la terra (compresa la terra dei contadini). E fino a un certo punto quest'opinione di Maslov si può connettere con la sua "originale" (che ripete gli argomenti dei critici borghesi di Marx) teoria, cioè con la negazione della rendita assoluta e con l'accettazione della "legge" (o del "fatto", come dice lo stesso Maslov ) della "fertilità decrescente del terreno".
In realtà già la rivoluzione del 1905 aveva rivelato che la stragrande maggioranza dei contadini di Russia, membri delle officine e con aziende individuali, era favorevole alla nazionalizzazione di tutte le terre. La rivoluzione del 1917 ha confermato questa tendenza e, dopo il passaggio del potere al proletariato, l'ha realizzata nella pratica. I bolscevichi sono rimasti fedeli al marxismo e non hanno tentato di "saltare;" (nonostante Kautsky, che ci muove quest'accusa senza l'ombra di una prova) la rivoluzione democratica borghese. I bolscevichi hanno anzitutto aiutato gli ideologi democratici borghesi della popolazione contadina più radicali, più rivoluzionari, più vicini al proletariato, cioè i socialisti-rivoluzionari di sinistra, a realizzare dei provvedimenti che equivalevano di fatto alla nazionalizzazione della terra. La proprietà privata della terra è stata abolita in Russia il 26 ottobre 1917, cioè fin dal primo giorno della rivoluzione proletaria socialista.
Si è creata così la base più completa dal punto di vista dello sviluppo del capitalismo (cosa che Kautsky non può negare senza rompere con Marx), e al tempo stesso si è creato il regime agrario pii duttile nel senso del passaggio al socialismo. Dal punto di vista democratico borghese, i contadini rivoluzionari di Russia non possono andare più lontano: in tal senso, non si può dare niente di "più ideale" e di "più radicale" della nazionalizzazione e del godimento ugualitario della terra. Proprio i bolscevichi, ed essi soltanto, in forza della vittoria della rivoluzione proletaria, hanno aiutato i contadini a portare a compimento la rivoluzione democratica borghese. E solo per questa via hanno agevolato e accelerato al massimo il passaggio alla rivoluzione socialista.
Si può vedere di qui quale incredibile pasticcio Kautsky offra ai suoi lettori quando accusa i bolscevichi di non aver compreso il carattere borghese della rivoluzione e rivela lui stesso di essersi allontanato a tal punto dal marxismo da non fare parola della nazionalizzazione della terra e presentare la riforma agraria liberale, cioè la riforma meno rivoluzionaria (anche dal punto di vista borghese), come "qua/cosa di socialista"!
Siamo così giunti alla terza delle questioni che abbiamo elencato sopra e che consiste appunto nell'accertare in che misura la dittatura proletaria in Russia abbia tenuto conto della necessità di passare alla coltivazione collettiva della terra. Anche qui Kautsky commette qualcosa che rassomiglia molto a un falso: si limita a citare le "tesi" di un solo bolscevico, in cui si parla del compito di passare alla coltivazione collettiva della terra! Dopo aver riportato una di queste tesi, il nostro "teorico" esclama trionfante:
"Purtroppo, con il definire compito una certa cosa, questo compito non viene ancora assolto. La coltivazione collettiva della terra in Russia è destinata per il momento a restare sulla carta Mai e in nessun luogo i piccoli contadini sono ancora passati alla produzione collettiva per effetto dei convincimenti teorici" (p 50)
Mai e in nessun luogo si è ancora commessa una frode letteraria come quella a cui si è abbassato Kautsky, che cita le "tesi", ma omette la legge del potere sovietico, che parla di "convincimenti teorici", ma non fa parola del potere statale proletario, nelle cui mani si trovano le fabbriche e le merci! Tutto quello che Kautsky ha scritto nel 1899, nella Questione agraria, sui mezzi di cui dispone lo Stato proletario per condurre progressivamente i piccoli contadini verso il socialismo, è stato dimenticato nel 1918 dal rinnegato Kautsky.
Naturalmente, alcune centinaia di comuni agricole e aziende sovietiche (cioè grandi aziende gestite da associazioni di operai per conto dello Stato) sorrette dal potere statale sotto ancora poca cosa. Ma si puo forse chiamare "critica" l'elusione di questo fatto da parte di Kautsky?
La nazionalizzazione della terra, realizzata in Russia dalla dittatura proletaria, è la massima garanzia della possibilità di condurre a compimento la rivoluzione democratica borghese, persino nel caso in cui una vittoria della controrivoluzione dovesse farci ritornare dalla nazionalizzazione alla spartizione della terra (ho esaminato specificamente quest'eventualità nel mio opuscolo '3° sul programma agrario dei marxisti nella rivoluzione del 1905). Ma, oltre a ciò, la nazionalizzazione della terra fornisce allo Stato proletario il massimo di possibilità per passare al socialismo nell'agricoltura.
Conclusione: sul piano teorico Kautsky ci ha spiattellato un incredibile pasticcio, che implica la completa rinuncia al marxismo; sul piano pratico, ha dato prova del suo servilismo verso la borghesia e il riformismo borghese. Una bella critica, non c'è che dire!
Katitsky apre la sua "analisi economica" dell'industria con il seguente magnifico ragionamento.
In Russia esiste la grande industria capitalistica. Non si potrebbe costruire su questo fondamento la produzione socialista? "Si potrebbe pensarlo, se il socialismo consistesse nel fatto che gli operai delle singole fabbriche e miniere le prendono in proprietà [letteralmente: se le appropriano] per gestire separatamente ognuna di esse" (52). "Oggi stesso, 5 agosto, mentre scrivo queste righe, - aggiunge Kautsky, - da Mosca si comunica che Lenin, in un discorso del 2 agosto, avrebbe detto: "Gli operai tengono saldamente le fabbriche nelle loro mani, e i contadini non restituiranno la terra ai grandi proprietari fondiari". La parola d'ordine: "La fabbrica agli operai, la terra ai contadini" è stata sinora una rivendicazione anarcosindacalistica, non già socialdemocratica" (52-53).
Abbiamo riferito per esteso questo ragionamento perché gli operai russi, che un tempo - e ben a ragione - stimavano Kautsky, vedano con i loro occhi i metodi di cui si serve questo transfuga passato alla borghesia.
Pensate: il 5 agosto, quando ormai esistevano numerosi decreti sulla nazionalizzazione delle fabbriche in Russia, e gli operai non si erano "appropriata" nessuna di queste fabbriche, che erano diventate tutte proprietà della repubblica, Kautsky, sulla base di un'interpretazione palesemente truffaldina di una frase di un mio discorso, suggerisce ai lettori tedeschi l'idea che in Russia le fabbriche sarebbero state consegnate ai rispettivi operai! E, dopo di ciò, ripete per decine di pagine, fino alla sazietà, che le fabbriche non devono essere consegnate singolarmente agli operai!
Questa non è critica, ma il metodo di un lacché della borghesia, assoldato dai capitalisti per calunniare la rivoluzione operaia.
Bisogna consegnare le fabbriche allo Stato o alle comuni o alle cooperative di consumo, scrive ripetutamente Kautsky e alla fine aggiunge:
"Ecco la strada su cui si cerca di avviarsi oggi in Russia...". Che significa "oggi"? in agosto? perché Kautsky non ha chiesto ai suoi Stein o Axelrod o ad altri suoi amici della borghesia russa la traduzione di almeno uno dei decreti sulle fabbriche?
"Fino a che punto si sia arrivati non si può ancora dire. Questo aspetto della vita della repubblica sovietica presenta per noi in ogni caso il massimo interesse, ma è ancora completamente avvolto nelle tenebre. I decreti non mancano [ecco perché Kautsky ne ignora il contenuto o lo nasconde ai suoi lettori!), mancano però notizie attendibili sull'effetto di questi decreti. La produzione socialista è impossibile senza una statistica ampia, particolareggiata, attendibile e che informi rapidamente. La repubblica sovietica non è ancora riuscita a impiantarla. Ciò che noi apprendiamo sulla sua attività economica è oltremodo contraddittorio e non può essere controllato. È anche questo uno dei risultati della dittatura e della soppressione della democrazia. Non c'è libertà di stampa e di parola..." (53).
Ecco come si scrive la storia! Dalla "libera" stampa dei capitalisti e dei seguaci di Dutov Kautsky avrebbe attinto notizie sulle fabbriche consegnate agli operai... Sì, è davvero stupendo questo "serio scienziato" che sta al di sopra delle classi! Kautsky non accenna nemmeno di sfuggita a uno solo degli infiniti fatti da cui risulta che le fabbriche vengono consegnate esclusivamente alla repubblica e vengono gestite dal Consiglio superiore dell'economia nazionale, organo del potere sovietico composto in prevalenza di operai eletti dai sindacati. E con la caparbietà, con la cocciutaggine dell'uomo nell'astuccio, non fa che ripetere: datemi una democrazia pacifica, senza guerra civile, senza dittatura, con una buona statistica. (La repubblica sovietica ha impiantato un ufficio di statistica, chiamandovi a lavorare gli statistici più competenti di Russia, ma, naturalmente, è impossibile ottenere in poco tempo una statistica ideale! ) In una parola, una rivoluzione senza rivoluzione, senza lotta accanita, senza violenza: ecco che cosa vuole Kautsky. È come se si volesse uno sciopero senza scatenare le passioni tra operai e padroni. Come distinguere un simile "socialista" da un volgare funzionario liberale?
Sulla base di questo "materiale documentario", omettendo cioè scientemente e con disprezzo i numerosi fatti, Kautsky "conclude":
"È dubbio che il proletariato russo abbia ottenuto nella repubblica sovietica di più, in fatto di risultati pratici reali e non di decreti, di quanto avrebbe ottenuto dall'Assemblea costituente, nella quale, come nei soviet, prevalevano i socialisti, pur se di un'altra sfumatura" (58).
Non è una perla? Consigliamo agli ammiratori di Kautsky di diffondere il più largamente possibile questa sentenza tra gli operai russi, perché l'autore non avrebbe potuto fornire una documentazione migliore della propria degradazione politica. Anche Kerenski, compagni operai, era un "socialista", ma "di un'altra sfumatura"! Lo storico Kautsky si accontenta dell'appellativo, del titolo, che si sono "attribuito" i socialisti-rivoluzionari di destra e i menscevichi. Lo storico ICautsky non vuole sentir parlare dei fatti attestanti che i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari di destra hanno sostenuto la politica imperialistica e l'opera di brigantaggio della borghesia. Egli tace pudicamente sul fatto che l'Assemblea costituente ha dato la maggioranza proprio a questi eroi della guerra imperialistica e della dittatura borghese. E questo viene detto "analisi economica"!...
Per concludere ancora un piccolo esempio di "analisi economica":
"In nove mesi di vita, invece di estendere il benessere generale, la repubblica sovietica si è vista costretta a spiegare da che cosa provenga la miseria generale"(41).
I cadetti ci hanno abituati a questo modo di ragionare. Tutti i valletti della borghesia ragionano così in Russia: dateci, dicono, il benessere generale in nove mesi, dopo quattro anni di una guerra devastatrice, mentre il capitale straniero aiuta in Russia il sabotaggio e le rivolte della borghesia. Di fatto non c'è più alcuna differenza, nemmeno l'ombra di una differenza, tra Kautsky e un controrivoluzionario borghese. Nei discorsi melliflui, spacciati per discorsi "socialisti", si ripetono le stesse cose che vengono dette in Russia, in forma brutale, senza circonlocuzioni e orpelli, dai seguaci di Kornilov, di Dutov e di Krasnov.
Le righe che precedono sono state scritte il 9 novembre 1918. Nella notte dal 9 al 10 novembre dalla Germania è giunta la notizia dell'inizio della rivoluzione vittoriosa dapprima a Kiel e in altre città del nord e della costa, dove il potere è passato nelle mani dei soviet di deputati degli operai e dei soldati, poi a Berlino, dove il soviet ha preso il potere.
La conclusione che dovevo scrivere per l'opuscolo su Kautsky e la rivoluzione proletaria diventa superflua.
10 novembre 1918.
Scritto nell'ottobre-novembre 1918.
Pubblicato in opuscolo nel 1918 a Mosca nelle edizioni "Kommunist".
Firmato: N. Lenin (Vl. Ulianov)
Note
* Fra l'altro, Kautsky cita ripetutamente l'espressione del passaggio "meno doloroso", sforzandosi evidentemente di ironizzare. Ma, poiché lo sforzo è compiuto con mezzi inadeguati, alcune pagine dopo Kautsky fa un piccolo trucco e scrive falsamente: passaggio "indolore,"! Con questi mezzi, naturalmente, non è difficile far dire al proprio avversario delle assurdità. Il trucco aiuta inoltre a eludere la sostanza dell'argomento: il passaggio "meno doloroso" al socialismo è possibile solo se esiste un'organizzazione generale dei poveri (soviet) e se il potere statale centrale (del proletariato) sostiene quest'organizzazione.
** Incidentalmente osserviamo che nell'opuscolo di Kautsky abbondano le menzogne mensceviche di questo genere! il libello di un menscevico esasperato.
*** Ho appena letto l'editoriale della Frankfurter Zeitung (22 ottobre 1918, n. 293), che parafrasa con entusiasmo l'opuscolo di Kautsky. Il giornale degli uomini della Borsa è soddisfatto. Ne ha motivo! Un compagno mi scrive da Berlino che il Vorwarts, il giornale degli Scheidemann, dichiara in un articolo a parte '17 di potere sottoscrivere quasi ogni riga di Kautsky. Congratulazioni! Congratulazioni!
**** I socialsciovinisti (gli Scheidemann, Renaudel, Henderson, Gompers e soci) si rifiutano durante la guerra di sentir parlare dell'"Internazionale". Considerano come "traditori"... del socialismo i nemici della "propria" borghesia. Sono favorevoli alla politica espansionistica della propria borghesia. I socialpacifisti (cioè i pacifisti piccolo-borghesi nei fatti) esprimono sentimenti "internazionalistici" di ogni sorta, si scagliano contro le annessioni, ecc., ma di fatto continuano ad appoggiare la propria borghesia imperialistica. La differenza tra questi due tipi è minima ed è all'incirca identica a quella che corre tra un capitalista inviperito e un capitalista dai discorsi melliflui.
***** Al sesto congresso dei soviet (69 settembre 1918) hanno partecipato 967 deputati con voto deliberativo, di cui 950 bolscevichi, e 351 deputati con voto consultivo, di cui 335 bolscevichi. La percentuale complessiva dei bolscevichi è del 97%.
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