Due paragrafi tratti dalla celebre opera di Lenin "Che fare?"
Seguiamo gli insegnamenti di Lenin sul ruolo del Partito e della teoria rivoluzionaria

Non c'è miglior modo per ricordare Lenin che studiare le sue opere e i suoi impareggiabili insegnamenti sui compiti del partito del proletariato rivoluzionario.
In questa occasione proponiamo due paragrafi tratti dal primo capitolo del celebre scritto "Che fare?", che mettono a fuoco temi e problematiche scottanti non solo nel 1901-1902 quando fu scritto ma anche ai nostri giorni.
 
 
1. Dogmatismo e "libertà di critica"

a) Che cosa significa "libertà di critica"

"Libertà di critica": questa, incontestabilmente, è la parola d'ordine più di moda in questo periodo, quella che più frequentemente ricorre nelle discussioni fra socialisti e democratici di tutti i paesi. A prima vista, non ci si può rappresentare niente di più strano di questi solenni richiami di una delle parti in contesa alla libertà di critica. Possibile che dalle file dei partiti avanzati si siano levate delle voci contro quella legge costituzionale che, nella maggior parte dei paesi europei, garantisce la libertà della scienza e dell'investigazione scientifica? "Qui gatta ci cova!", si dirà chi, essendo estraneo alla discussione e sentendo ripetere ad ogni piè sospinto questa parola d'ordine di moda, non abbia ancora penetrato l'essenza del dissenso. "Questa parola d'ordine è evidentemente una di quelle parole convenzionali che, al pari dei nomignoli, sono legittimate dall'uso e diventano quasi dei nomi comuni".
In realtà non è un mistero per nessuno che nella moderna socialdemocrazia internazionale [1] si sono formate due tendenze e che la lotta fra di esse ora si riaccende e arde di fiamma vivissima, ora si calma e cova sotto la cenere di imponenti "risoluzioni di tregua". In che cosa consista la "nuova" tendenza che "critica" il marxismo "vecchio, dogmatico", Bernstein lo ha detto, e Millerand lo ha dimostrato con sufficiente precisione.
La socialdemocrazia deve trasformarsi da partito di rivoluzione sociale in partito democratico di riforme sociali. Bernstein ha appoggiato questa rivendicazione politica con tutta una batteria di "nuovi" argomenti e considerazioni abbastanza ben concatenati. Si nega la possibilità di dare un fondamento scientifico al socialismo e di provare che, dal punto di vista della concezione materialistica della storia, esso è necessario e inevitabile; si nega il fatto della miseria crescente, della proletarizzazione, dell'inasprimento delle contraddizioni capitalistiche; si dichiara inconsistente il concetto stesso di "scopo finale" e si respinge categoricamente l'idea della dittatura del proletariato; si nega l'opposizione di principio tra liberalismo e socialismo; si nega la teoria della lotta di classe, che sarebbe inapplicabile in una società rigorosamente democratica, amministrata secondo la volontà della maggioranza, ecc.
L'invocata svolta decisiva dalla socialdemocrazia rivoluzionaria al socialriformismo borghese è quindi accompagnata da una svolta non meno decisiva verso la critica borghese di tutte le idee fondamentali del marxismo. Ma poiché già da tempo si muoveva contro il marxismo questa critica dall'alto della tribuna politica e della cattedra universitaria, in innumerevoli opuscoli e in una serie di dotti trattati, poiché, da decine di anni, tutta la nuova gioventù delle classi colte è stata educata a questa critica, non è sorprendente che la "nuova" tendenza "critica" nella socialdemocrazia sia sorta di colpo in una forma definitiva, come Minerva dal cervello di Giove. Quanto al contenuto, questa tendenza non ha dovuto né prender forma né svilupparsi; essa è stata direttamente trasferita dalla letteratura borghese nella letteratura socialista.
Inoltre, se la critica teorica di Bernstein e le sue aspirazioni politiche fossero ancora per taluni poco chiare, i francesi si sono incaricati di dare una dimostrazione palmare del "nuovo metodo". La Francia ha confermato ancora una volta la vecchia reputazione di essere il "paese in cui le lotte di classe della storia vennero combattute, più che in qualsiasi altro luogo, sino alla soluzione decisiva" (Engels, dalla prefazione all'opera di Marx: Der 18 Brumaire [Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte]). Invece di fare della teoria, i socialisti francesi hanno agito; la situazione politica della Francia, più evoluta in senso democratico, ha permesso loro di passare immediatamente al "bernsteinismo pratico" con tutte le sue conseguenze. Millerand ha dato un esempio brillante di questo bernsteinismo pratico. E non per nulla Bernstein e Vollmar si sono affrettati a difenderlo e a lodarlo con tanto zelo! Infatti, se la socialdemocrazia in sostanza non è che il partito delle riforme - e deve avere il coraggio di riconoscerlo francamente -, un socialista non soltanto ha il diritto di entrare in un ministero borghese, ma deve sempre sforzarsi di entrarvi. Se democrazia significa essenzialmente soppressione del dominio di classe, perché un ministro socialista non dovrebbe affascinare tutto il mondo borghese con discorsi sulla collaborazione di classe? Perché non dovrebbe restare nel ministero anche quando gli eccidi di operai compiuti dai gendarmi hanno dimostrato, per la centesima e per l'ennesima volta, il vero carattere della collaborazione democratica delle classi? Perché non dovrebbe prendere parte personalmente al ricevimento di uno zar che i socialisti francesi oggi non chiamano altrimenti che eroe del knut, della forca e della deportazione (knouteur, pendeur et déportateur)? E in compenso di questo abisso di ignominia e di autodenigrazione del socialismo davanti al mondo, di questo pervertimento della coscienza socialista delle masse operaie - unica base che possa garantirci la vittoria - ci si presentano a suon di tromba progetti di riforme miserabili, così miserabili che si è potuto ottenere di più dai governi borghesi!
Chi non chiude intenzionalmente gli occhi non può non vedere che la nuova tendenza "critica" del socialismo non è altro che una nuova varietà di opportunismo. E se si giudica la gente non dalla brillante uniforme che ha indossato o dal nome di parata che si è data, ma dal modo di agire e dalle idee che effettivamente propaga, si vedrà chiaramente che la "libertà di critica" è la libertà della corrente opportunistica nella socialdemocrazia, la libertà di trasformare la socialdemocrazia in un partito democratico di riforme, la libertà di introdurre nel socialismo le idee borghesi e gli uomini della borghesia.
La libertà è una grande parola, ma sotto la bandiera della libertà dell'industria si sono fatte le guerre più brigantesche, sotto la bandiera della libertà del lavoro i lavoratori sono stati costantemente derubati. L'impiego che oggi si fa dell'espressione "libertà di critica" implica lo stesso falso sostanziale. Chi fosse effettivamente convinto di aver fatto progredire la scienza non rivendicherebbe per le nuove concezioni la libertà di coesistere accanto alle vecchie, ma esigerebbe la sostituzione di queste con quelle. L'odierno strillare: "Viva la libertà di critica!" ricorda davvicino la favola della botte vuota.
Piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una strada ripida e difficile tenendoci con forza per mano. Siamo da ogni parte circondati da nemici e dobbiamo quasi sempre marciare sotto il fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di una decisione liberamente presa, allo scopo di combattere i nostri nemici e di non sdrucciolare nel vicino pantano, i cui abitanti, fin dal primo momento, ci hanno biasimato per aver costituito un gruppo a parte e preferito la via della lotta alla via della conciliazione. Ed ecco che taluni dei nostri si mettono a gridare: "Andiamo nel pantano!". E, se si incomincia a confonderli, ribattono: "Che gente arretrata siete! Non vi vergognate di negarci la libertà d'invitarvi a seguire una via migliore?". Oh, sì, signori, voi siete liberi non soltanto di invitarci, ma di andare voi stessi dove volete, anche nel pantano; del resto pensiamo che il vostro posto è proprio nel pantano e siamo pronti a darvi il nostro aiuto per trasportarvi i vostri penati. Ma lasciate la nostra mano, non aggrappatevi a noi e non insozzate la nostra grande parola della libertà, perché anche noi siamo "liberi" di andare dove vogliamo, liberi di combattere non solo contro il pantano, ma anche contro coloro che si incamminano verso di esso.
(...)
d) Engels e l'importanza della lotta teorica
"Il dogmatismo, il dottrinarismo", "la fossilizzazione del partito sono il castigo inevitabile della violenta compressione del pensiero": ecco i nemici contro i quali scendono in lizza i campioni della "libertà di critica" del Raboceie Dielo. Siamo felicissimi che tale questione sia stata posta all'ordine del giorno; ma proporremmo di completarla con la seguente:
Chi sono i giudici?
Abbiamo innanzi a noi due annunzi di pubblicazioni: il programma del Raboceie Dielo, organo del periodico dell'"Unione dei socialdemocratici russi" (tiratura speciale del n.1 del Raboceie Dielo) e l'annuncio della ripresa delle edizioni del gruppo "Emancipazione del lavoro". Entrambi hanno la data del 1899, epoca nella quale la "crisi del marxismo" era all'ordine del giorno da molto tempo. Eppure nella prima di queste pubblicazioni si cercherebbero invano indicazioni sulla crisi stessa e un'esposizione precisa della posizione che conta di prendere il nuovo organo a questo riguardo. Dell'attività teorica e dei suoi compiti vitali nel momento attuale non dicono una parola né questo programma, né le aggiunte approvate dal III Congresso dell'"Unione" nel 1901 (Due congressi, pp. 15-18). In tutto questo periodo, la redazione del Raboceie Dielo ha lasciato da parte le questioni teoriche, benché esse appassionassero i socialdemocratici di tutto il mondo.
L'altra pubblicazione, al contrario, segnala innanzi tutto l'indebolimento dell'interesse per la teoria durante questi ultimi anni, esige imperiosamente che sia data una "vigile attenzione al lato teorico del movimento rivoluzionario del proletariato" ed esorta a una "critica spietata delle tendenze bernsteiniane e delle altre tendenze antirivoluzionarie" esistenti nel nostro movimento. I numeri della Zarià finora pubblicati dimostrano come sia stato eseguito questo programma.
Vediamo, dunque, che le grandi frasi contro la fossilizzazione del pensiero, ecc. dissimulano in realtà l'indifferenza e l'impotenza nei riguardi dello sviluppo del pensiero teorico. L'esempio dei socialdemocratici russi illustra in modo particolarmente chiaro il fenomeno, generale in Europa (e da molto tempo segnalato anche dai marxisti tedeschi), che la famosa libertà di critica non significa la sostituzione di una teoria con un'altra, ma significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata, eclettismo e mancanza di princìpi. Chiunque abbia una conoscenza anche limitata della situazione di fatto del nostro movimento non può non vedere che la grande diffusione del marxismo è stata accompagnata da un certo abbassamento del livello teorico. Molta gente, la cui preparazione teorica era infima e persino inesistente, ha aderito al movimento grazie alla sua importanza pratica e ai suoi progressi pratici. Ognuno può dunque vedere quanto manchi di tatto il Raboceie Dielo quando agita trionfalmente la frase di Marx: "Ogni passo del movimento reale è più importante di una dozzina di programmi". Ripetere queste parole in un momento di sbandamento teorico, è come "fare dello spirito a un funerale". Queste parole, d'altra parte, sono estratte dalla lettera sul programma di Gotha, nella quale Marx condanna categoricamente l'eclettismo nell'enunciazione dei princìpi. Se è necessario unirsi - scriveva Marx ai capi del partito - fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei princìpi e non fate "concessioni" teoriche. Questo era il pensiero di Marx, e fra noi si trova della gente che nel suo nome tenta di sminuire l'importanza della teoria!
Senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario. Non si insisterà mai troppo su questo concetto in un periodo in cui la predicazione opportunistica venuta di moda è accompagnata dall'esaltazione delle forme più anguste di azione pratica. Ma per la socialdemocrazia russa, in particolare, la teoria acquista un'importanza ancora maggiore per le tre considerazioni seguenti, che sono spesso dimenticate. Innanzi tutto, il nostro partito è ancora in via di formazione, sta ancora definendo la sua fisionomia ed è ben lungi dall'aver saldato i conti con le altre correnti del pensiero rivoluzionario, che minacciano di far deviare il movimento dalla giusta via. Anzi, proprio in questi ultimi anni (come Axelrod già da molto tempo aveva predetto agli economisti) ci troviamo di fronte ad una reviviscenza delle tendenze rivoluzionarie non socialdemocratiche. In siffatte condizioni, un errore, che a prima vista sembra "senza importanza", può avere le più deplorevoli conseguenze; e bisogna essere ben miopi per giudicare inopportune e superflue le discussioni di frazione e la rigorosa definizione delle varie tendenze. Dal consolidarsi dell'una piuttosto che dell'altra "tendenza" può dipendere per lunghi anni l'avvenire della socialdemocrazia russa.
In secondo luogo, il movimento socialdemocratico è per la sua stessa sostanza internazionale. Ciò non significa soltanto che dobbiamo combattere lo sciovinismo nazionale. Significa anche che in un paese giovane un movimento appena nato può avere successo solo se applica l'esperienza degli altri paesi. Ma per applicarla non basta conoscerla o limitarsi a copiare le ultime risoluzioni. Bisogna saper valutare criticamente e verificare da se stessi questa esperienza. Basta pensare quali passi giganteschi ha fatto il movimento operaio contemporaneo e come si è articolato per comprendere quale riserva di forze teoriche e di esperienza politica (ed anche rivoluzionaria) sia necessaria per adempiere questo compito.
In terzo luogo, i compiti nazionali della socialdemocrazia russa sono tali, quali non si sono mai presentati a nessun altro partito socialista del mondo. Vedremo in seguito quali doveri politici ed organizzativi ci impone il compito di liberare tutto il popolo dal giogo dell'autocrazia. Per il momento ci limiteremo a rilevare che solo un partito guidato da una teoria di avanguardia può adempiere la funzione di combattente di avanguardia. Ma per raffigurarsi un po' più concretamente che cosa questo significhi, ricordi il lettore quei precursori della socialdemocrazia russa, che si chiamano Herzen, Belinski, Cernyscevski e la brillante pleiade dei rivoluzionari degli anni settanta; rifletta all'importanza mondiale che la letteratura russa acquista presentemente; pensi... ma basta così!
Ricordiamo le osservazioni di Engels (1874) sull'importanza della teoria nel movimento socialdemocratico. Secondo Engels, esistono non due forme della grande lotta socialdemocratica (politica ed economica) - come si pensa abitualmente fra noi -, ma tre, ponendosi accanto a queste anche la lotta teorica. La raccomandazione che egli fa al movimento operaio tedesco, già rafforzatosi praticamente e politicamente, è talmente istruttiva, dal punto di vista delle questioni e discussioni attuali, che il lettore ci scuserà se riportiamo il lungo brano seguente della prefazione all'opuscolo Der deutsche Bauernkríeg [2] che è diventato da molto tempo una rarità bibliografica eccezionale:
"Gli operai tedeschi hanno due vantaggi essenziali sugli operai del resto dell'Europa. In primo luogo essi appartengono al popolo dell'Europa più portato alla teoria ed hanno conservato il senso teorico, che i cosiddetti "uomini colti" della Germania hanno totalmente perduto. Senza il precedente della filosofia tedesca e precisamente della filosofia di Hegel, il socialismo scientifico tedesco - l'unico socialismo scientifico che sia mai esistito - non sarebbe mai nato. Se tra gli operai non ci fosse stato questo senso teorico, il socialismo scientifico non si sarebbe mai cambiato in sangue e carne in così grande misura come è effettivamente accaduto. E quale incommensurabile vantaggio sia questo, si rileva da una parte se si tenga presente l'indifferenza verso tutte le teorie, che è una delle cause principali per cui il movimento operaio inglese, malgrado tutta la notevole organizzazione dei singoli sindacati, avanza così lentamente, e, dall'altra parte, se si tengano presenti la confusione e le storture che il proudhonismo ha provocato, nella sua forma originaria, nei francesi e nei belgi, e, più tardi, nella caricatura che ne fece Bakunin, negli spagnoli e negli italiani.
"Il secondo vantaggio è costituito dal fatto che i tedeschi sono arrivati quasi ultimi nel movimento operaio dell'epoca. Come il socialismo tedesco non dimenticherà mai che esso, diremo, poggia sulle spalle di Saint-Simon, Fourier e Owen, tre uomini che, con tutta la loro fantasticheria e tutto il loro utopismo, sono tra le teste più fini di tutti i tempi e hanno anticipato infinite cose che noi oggi dimostriamo scientificamente, così il movimento operaio pratico tedesco non può mai dimenticare che esso si è sviluppato sulle spalle dei movimenti inglese e francese, e può con tutta semplicità trarre profitto dalle loro esperienze acquistate a così caro prezzo ed evitare oggi i loro errori che erano allora inevitabili. Senza il gigantesco impulso dato specialmente dalla Comune di Parigi, dallo sviluppo precedente delle trade-unions inglesi e dalle lotte politiche degli operai francesi, a che punto saremmo noi ora?
"Si deve riconoscere che gli operai tedeschi hanno sfruttato con rara intelligenza la loro vantaggiosa posizione. Infatti, per la prima volta dacché esiste il movimento operaio, la lotta viene condotta unitariamente, coerentemente e secondo un piano che si svolge su tre linee: teorica, politica e pratico-economica (resistenza ai capitalisti). La forza e l'invincibilità del movimento tedesco sta precisamente in questo attacco che potremmo dire concentrico.
"Da una parte per questa loro privilegiata posizione, dall'altra per le particolarità insulari del movimento inglese e la violenta repressione del movimento francese, gli operai tedeschi sono per il momento all'avanguardia della lotta proletaria. Per quanto tempo gli avvenimenti lasceranno loro questo posto d'onore, non si può dire. Ma sino a quando lo occuperanno, è sperabile che essi eseguiranno il loro compito come si conviene. Per questo occorre che gli sforzi siano raddoppiati in ogni campo della lotta e dell'agitazione. Precisamente sarà dovere di tutti i dirigenti chiarire sempre più tutte le questioni teoriche, liberarsi sempre più completamente dall'influsso delle frasi fatte proprie della vecchia concezione del mondo, e tener sempre presente che il socialismo, da quando è diventato una scienza, va trattato come una scienza, cioè va studiato. Ma l'importante sarà poi diffondere tra le masse, con zelo accresciuto, la concezione che così si è acquisita e che sempre più si è chiarita, e rinsaldare sempre più fermamente l'organizzazione del partito e dei sindacati...
"Se gli operai tedeschi così andranno avanti, non perciò marceranno alla testa del movimento - anzi non è affatto nell'interesse del movimento, che gli operai di una singola nazione, quale che essa sia, marcino alla testa del movimento - ma tuttavia occuperanno un posto degno di onore nella linea del combattimento; e saranno pronti in armi, se dure prove inattese o grandi avvenimenti esigeranno maggiore coraggio, maggiore decisione ed energia".
Le parole di Engels furono profetiche. Qualche anno dopo, gli operai tedeschi erano improvvisamente sottoposti alla rude prova delle leggi eccezionali contro i socialisti. Ed effettivamente si trovarono armati per affrontarla e ne uscirono vittoriosi.
Il proletariato russo dovrà subire delle prove infinitamente più gravi, dovrà combattere un mostro in confronto del quale una legge eccezionale in un paese costituzionale sembrerà un pigmeo. La storia ci pone oggi un compito immediato, il più rivoluzionario di tutti i compiti immediati del proletariato di qualsiasi altro paese. L'adempimento di questo compito, la distruzione del baluardo più potente della reazione, non soltanto europea, ma anche (oggi possiamo dirlo) asiatica, farebbe del proletariato russo l'avanguardia del proletariato rivoluzionario internazionale. Siamo in diritto di credere che ci meriteremo questo titolo onorevole, come già lo meritarono i nostri precursori, i rivoluzionari degli anni settanta, se sapremo animare dello stesso spirito di illimitata risolutezza e della stessa energia il nostro movimento, mille volte più vasto e più profondo.
 
Note
1. A proposito. Nella storia del socialismo moderno è forse un fenomeno unico e, nel suo genere, molto consolante, che l'urto delle diverse tendenze in seno al socialismo si sia per la prima volta trasformato da nazionale in internazionale. Nei tempi passati le dispute tra i lassalliani e gli eisenachiani, tra i guesdisti e i possibilisti, tra i fabiani e i socialdemocratici, tra i seguaci della "Libertà del popolo" e i socialdemocratici rimanevano dispute puramente nazionali, riflettevano particolarità puramente nazionali, si svolgevano, per così dire, su piani diversi. Ai nostri giorni (questo è già evidente) i fabiani inglesi, i ministeriali francesi, i bernsteiniani tedeschi, i critici russi sono tutti una sola famiglia, si lodano reciprocamente, imparano gli uni dagli altri e si armano insieme contro il marxismo "dogmatico". In questa prima battaglia, veramente internazionale, contro l'opportunismo socialista riuscirà la socialdemocrazia rivoluzionaria internazionale a rafforzarsi al punto da mettere fine alla reazione politica che già da molto tempo impera in Europa?
2. Dritter Abdruck. Leipzig, 1875, Verlag der Genossenschaftsbuchdruckerei.


14 aprile 2010