Gli impegni del governo verso l'Ue sostenuti da Napolitano e Draghi Licenziamenti liberi. Pensioni a 67 anni. Rafforzamento del ruolo dell'esecutivo e della maggioranza Inoltre: mobilità e tagli agli statali, privatizzazioni e liberalizzazioni, chiusura di scuole e università e aumento delle rette Il massacratore sociale Berlusconi va abbattuto dalla piazza "Il governo di salvezza nazionale c'è già, ed è il mio. Ora avanti fino al 2013, per cambiare la Costituzione e dare attuazione all'azione di governo". Con queste dichiarazioni trionfali Berlusconi ha incassato e messo a frutto il via libera di Bruxelles alla sua "lettera di intenti" presentata al vertice europeo del 26 ottobre, contenente le misure economiche e sociali "urgenti" richieste perentoriamente dalla UE all'Italia per evitare un possibile fallimento del nostro Paese capace di coinvolgere l'intero sistema dell'euro. Queste dichiarazioni, infatti, descrivono perfettamente il senso dell'operazione politica con cui il neoduce è riuscito a concludere una vicenda per lui difficile, in cui era stato messo con le spalle al muro e perfino deriso dal duo Merkel-Sarkozy, volgendola invece a suo vantaggio: sfruttando cioè la crisi e la copertura europea al programma di "lacrime sudore e sangue" delineato nella sua lettera e benedetto anche da Napolitano e Draghi, per rafforzare il suo governo e cercare di restare in sella fino al 2013 insieme al suo stretto alleato Bossi. Così da completare la sua politica economica e sociale stangatrice, antioperaia e ultraliberista e la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione. Le misure annunciate nella sua lettera, che riprendono e aggravano il massacro sociale decretato con le manovre di luglio e agosto, si iscrivono perfettamente in questo programma. Non a caso si dice che il nuovo Mussolini, cogliendo l'occasione per emarginare Tremonti, ne abbia affidato la stesura ai tre ministri economici che rispondono direttamente ai suoi ordini, e che sono anche i più oltranzisti e accaniti nell'applicare la sua dottrina antioperaia, ultraliberista e di massacro sociale: il ministro al Lavoro e al Welfare, Sacconi, quello della Funzione pubblica, Brunetta, e quello all'Industria e allo Sviluppo economico, Romani. Il colpo risolutivo all'articolo 18 A chi infatti, se non all'ex craxiano Sacconi, il nemico giurato dei lavoratori e dei pensionati, che già aveva preparato il terreno con l'articolo 8 della manovra di agosto, può essere attribuita una misura odiosa come la "nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato", da approvare per giunta in tempi rapidissimi, entro maggio 2012, contestualmente all'allungamento del periodo di apprendistato? Una misura cioè che abolirebbe definitivamente l'odiato articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sulla "giusta causa" nei licenziamenti nelle aziende al di sopra di 15 dipendenti, per restituire piena libertà di licenziamento ai padroni? Una misura, per il colmo della beffa, che il ministro pretende di spacciare come miracolosamente capace di creare nuovi posti di lavoro, avventandosi come un mastino rabbioso contro chiunque osi metterlo in dubbio, come ha fatto con la CGIA di Mestre (un'associazione degli artigiani) che ha calcolato in circa tre punti percentuali l'aumento della disoccupazione che si avrebbe immediatamente dopo l'introduzione di questa norma. A sostegno del licenziamento libero Sacconi (ma anche lo stesso Berlusconi lo ha fatto, dichiarando che "la polemica sui licenziamenti facili è figlia di una cultura ottocentesca"), si è richiamato alla proposta di legge del giuslavorista del PD, Pietro Ichino, firmata anche da una cinquantina di senatori del PD e richiamata in una mozione di Rutelli votata quasi all'unanimità dal Senato, PDL e PD in testa. E contemporaneamente ha drammatizzato provocatoriamente la situazione evocando una possibile ripresa del terrorismo, come ha fatto in un'intervista a Sky in cui ha sostenuto che "dalla violenza verbale si può arrivare all'omicidio". In tal modo additando come potenziale terrorista o fautore del terrorismo chiunque si opponga a questa misura fascista e alla linea antioperaia e antisindacale del governo in generale. Nuovo attacco a pensioni, scuola e dipendenti pubblici Sua è anche la firma sotto l'annunciato aumento dell'età pensionabile per tutti a 67 anni nel 2026: un risultato a cui si sarebbe arrivati di fatto già con il meccanismo previsto con la manovra di Agosto, che solo teoricamente si fermava a 65 anni; ma ora ci si sbarazza anche di questa foglia di fico con un'operazione che soddisfa al tempo stesso il diktat della UE e le manfrine elettoralistiche di Bossi, che può continuare a vantarsi di aver "difeso le pensioni padane". E come non vedere il marchio dell'altro ex craxiano, il ducetto Brunetta, sulle ulteriori misure vessatorie ideate per i pubblici dipendenti, laddove si annuncia che "(oltre al vigente blocco del turnover del personale) renderemo effettivi con meccanismi cogenti/sanzionatori: a. la mobilità obbligatoria del personale; b. la messa a disposizione (Cassa Integrazione Guadagni) con conseguente riduzione salariale e del personale; c. il superamento delle dotazioni organiche"? Lo stesso piglio fascista con cui si annunciano la chiusura di scuole risultate "insoddisfacenti" alle prove INVALSI, l'ampliamento di "autonomia e competizione tra Università", l'aumento delle rette di iscrizione, l'attuazione completa della "riforma universitaria" entro il 31 dicembre 2011. Quanto a Romani, un gerarca allevato nel pollaio Mediaset, non è difficile vedere la sua mano di fedele attuatore degli ordini del capo dietro le annunciate misure di liberalizzazione e privatizzazione di tutti i servizi pubblici, acqua compresa, di dismissioni del patrimonio pubblico per 5 miliardi all'anno per i prossimi tre anni, da avviare già entro il prossimo 30 novembre, nonché dietro l'annunciato piano di "accelerazione della realizzazione delle infrastrutture ed edilizia", cominciando da "alcune opere immediatamente cantierabili" da individuare entro le prossime 10 settimane. Il marchio personale di Berlusconi risalta invece nella "riforma dell'architettura costituzionale dello Stato", laddove si fa riferimento in particolare alla "riforma in senso federale dello Stato" per tenersi stretto Bossi e alla "maggiore efficienza dei meccanismi decisionali e al rafforzamento dell'esecutivo e della maggioranza": cioè il presidenzialismo a cui il neoduce anela sopra ogni cosa. Ma non sono da sottovalutare nemmeno la conferma del disegno di legge per la "riforma degli articoli della Costituzione relativi alla libertà di iniziativa economica e alla tutela della concorrenza", e l'altro per "l'introduzione del vincolo di pareggio di bilancio", attraverso cui si mira a sovvertire la Costituzione economica con leggi ordinarie e saltando tutte le procedure fissate dalla Carta stessa. Sostegno di Napolitano, Draghi e Marcegaglia Ma non c'è solo il marchio del nuovo Mussolini e dei suoi più fidati sgherri, su questo infame documento. C'è anche quello della UE capitalista e imperialista, che ne ha dettato i temi e i tempi di attuazione, e che proprio con ciò fornisce anche un ombrello politico al neoduce scaricandolo delle sue responsabilità dirette. C'è anche quello di Confindustria, allettata dalla libertà di licenziamento, la cui presidente Marcegaglia ha smesso di lamentarsi dell'inadeguatezza e della mancanza di credibilità del premier per dichiarare: "La lettera del governo è un passo verso la giusta direzione, gli impegni sono chiari. Sul lavoro serve maggiore flessibilità". E soprattutto ci sono anche quelli di Napolitano e di Draghi. Il nuovo Vittorio Emanuele III tanto appoggia le misure della lettera di Palazzo Chigi dal chiamare anche l'"opposizione" a sostenerle in parlamento, in nome della "coesione nazionale" da lui invocata ormai quotidianamente: "Nessuna forza politica italiana - ha dichiarato infatti - può continuare a governare, o può candidarsi a governare, senza mostrarsi consapevole delle decisioni, anche impopolari, da prendere ora". Mentre il neo presidente della Banca centrale europea ha dato la sua speciale benedizione definendo la lettera di Berlusconi "un passo importante" e "un piano di riforme organiche per lo sviluppo", che "contiene scelte coraggiose" da approvare "con rapidità e concretezza". È chiaro che con questi autorevoli scudi (della UE, della BCE e del Quirinale) e proprio grazie alla situazione di emergenza che è stato chiamato a gestire, salvo che questa non precipiti in maniera imprevista, per il neoduce si allontana lo spettro di un governo di "solidarietà nazionale" o "tecnico" che dir si voglia, e aumentano le probabilità di restare in sella fino al 2013, o quantomeno fino ad eventuali elezioni anticipate a primavera. E con lui andrà avanti la macelleria sociale con cui vuol far pagare la crisi del capitalismo ai lavoratori e alle masse. La confusa e imbelle "opposizione" parlamentare non è in grado di opporglisi, come dimostrano i voti di fiducia. E del resto non ha ricette economiche e sociali sostanzialmente diverse da quelle della maggioranza da proporre per far fronte alla crisi; né, se fosse lei al governo, oserebbe mettersi contro la UE e la BCE, rifiutando i loro diktat per difendere esclusivamente gli interessi dei più deboli. Una sponda alla libertà di licenziamento Basti pensare che tutto quel che il segretario del PD liberale Bersani è riuscito a dire della lettera di Berlusconi è che in essa "non si vede niente di serio" e che si tratta solo di "merce usata". Senza contare poi che proposte come la libertà di licenziamento vengono proprio dall'interno del suo partito. Infatti Ichino, che da tempo la invoca in nome della "flessibilità" del mercato del lavoro e come "alternativa" al precariato, appoggiato in questo da un nutrito gruppo di parlamentari del PD, ha subito offerto una sponda al governo con una serie di dichiarazioni e interviste ai quotidiani, tra cui i tre filogovernativi (Il Giornale, Libero e Il Tempo) che gli hanno dato un grande risalto: "Di una disciplina dei licenziamenti per motivi economici - ha dichiarato per esempio il 27 ottobre al quotidiano della Fiat, La Stampa - abbiamo bisogno e corrisponde a quello che la Banca centrale europea ci ha chiesto con la lettera del 5 agosto. Se il governo intende far riferimento a questo, sarebbe una scelta necessaria e doverosa e corrispondente a quelle richieste nei nostri confronti". Quanto all'opposizione dichiarata a tutta prima dai sindacati a questa norma, Ichino ha aggiunto: "Mi sembra altrettanto sbagliato fare un muro prima ancora di sapere cosa voglia fare il governo, come se su questa materia a priori non si dovesse legiferare". Non c'è da farsi quindi nessuna illusione sulla possibilità della caduta del governo neofascista di Berlusconi per via parlamentare, e comunque un governo di "solidarietà nazionale" con la partecipazione della "sinistra" borghese non fermerebbe, né tanto meno invertirebbe, la politica economica e sociale con cui il sistema capitalistico tende a scaricare la sua crisi economica e finanziaria sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari. Per questo la sola via per liberarsi del nuovo Mussolini è quella della lotta di piazza, se non si vuole che il berlusconismo sopravviva alla sua caduta e la sua politica continui sotto altre forme e nuovi governi della destra o della "sinistra" borghese. Il massacratore sociale, Berlusconi, deve essere abbattuto dalla piazza! Intanto occorre subito lo sciopero generale nazionale di otto ore, con manifestazione a Roma sotto Palazzo Chigi, per affossare la libertà di licenziamento e le altre misure antioperaie e stangatrici del suo governo neofascista. 2 novembre 2011 |