Secondo i magistrati: "Per lui e il fratello la prova di rapporti diretti con la mafia" Lombardo indagato per "concorso esterno" in associazione mafiosa 48 richieste di arresto per boss, politici e amministratori siciliani Il PD continua a reggergli il sacco nella giunta siciliana All'alba del 3 novembre la procura distrettuale antimafia di Catania ha scoperchiato il criminale intreccio politico-mafioso fra i massimi vertici di governo dell'Assemblea regionale siciliana (Ars) e i boss di Cosa nostra. In manette, nell'ambito dell'operazione "Ibis", sono finiti 48 fra vecchi e nuovi boss politici legati sia alla destra che alla "sinistra" del regime neofascista e capi bastone del clan dei Santapaola e degli Ercolano. In cima alla lista degli indagati figurano lo stesso governatore della Sicilia, l'imbroglione e falso meridionalista Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo, deputato nazionale dell'MPA, entrambi accusati di "concorso esterno" in associazione mafiosa. Ciò che traspare è una vera e propria simbiosi fra potere politico e potere mafioso alimentata da un mutuo tornaconto elettorale ed economico basato sul controllo capillare delle gare di appalto, con particolare riguardo per i centri commerciali e le energie rinnovabili, assegnati tramite un: "rapporto diretto e continuativo" alle imprese che fanno capo ai vari boss di Cosa nostra i quali, a loro volta, ricambiano il "favore" finanziando coi soldi dell'estorsione le campagne elettorali dei politici e garantiscono loro interi pacchetti di voti per far eleggere gli "amici" nelle poltrone giuste a partire dal consiglio comunale dei piccoli centri, fino allo scranno di parlamentare regionale e di deputato nazionale. Voti in cambio di appalti Insomma voti in cambio di soldi e appalti e oltre 22 milioni di euro finora accertati di finanziamenti pubblici finiti nelle tasche dei boss. "La mafia - scrivono i Pm nell'ordinanza di arresto - non supportava Lombardo per ragioni ideali ma operava per ottenere quale contropartita la possibilità di controllare appalti pubblici finanziati e gestiti dalla Regione o alimentati da risorse statali o comunitarie". Non a caso, durante l'operazione coordinata dal Procuratore capo Vincenzo D'Agata e dai sostituti Giuseppe Gennaro, Agata Santonocito, Antonino Fanara e Iole Boscarino, gli inquirenti hanno eseguito anche il sequestro di beni per oltre quattrocento milioni e apposto i sigilli a cento cinque imprese in odore di mafia. Fra gli arrestati invece spicca Fausto Fagone, presidente della commissione Cultura, Formazione e lavoro dell'Ars, eletto deputato regionale in quota all'UDC e il 21 settembre scorso passato nelle file dei Popolari Italia domani (PID), gli ex UDC fedeli a Berlusconi. Agli arresti sono finiti anche il consigliere provinciale Antonino Sangiorgi; Giuseppe Tomasello, ex assessore del comune di Ramacca nella Piana di Catania; Franco Ilardi, imprenditore e consigliere comunale a Ramacca; l'avvocato Antonino Santagati, accusato di riferire ai boss in carcere dello stato di avanzamento dei lavori del Parco commerciale "La Tenutella" di Misterbianco gestito dal clan Ercolano e il geologo Giovanni Barbagallo, militante di spicco dell'MPA, che secondo la procura etnea fungeva da referente tra mafia, imprenditoria e politica; era in contatto continuo con il fondatore del partito, Raffaele Lombardo e suo fratello Angelo e a completa disposizione del reggente di Cosa nostra a Catania Vincenzo Aiello. Il ruolo di Barbagallo emerge anche da alcune intercettazioni in cui il militante dell'MPA promette l'intervento diretto di Angelo Lombardo per lo sblocco di un appalto a Sigonella. Secondo la procura il geologo avrebbe anche messo a disposizione della cosca una casa di campagna per un summit di mafia al quale, come testimoniano i filmati dei carabinieri, prende parte il 4 maggio 2008 anche il neoeletto deputato Angelo Lombardo. Inoltre dalle conversazioni tra Barbagallo e Aiello i magistrati hanno scoperto che il governatore Raffaele Lombardo è in stretti rapporti anche con l'imprenditore inquisito per mafia Vincenzo Basilotta. "Nel giugno 2008 - scrivono i Pm - Basilotta era con il vestito a braccetto di Raffaele... Un connubio assolutamente inusuale quanto biasimevole tra l'uomo istituzionalmente più rappresentativo della Sicilia ed il facoltoso ma penalmente censurato imprenditore edile vestito a festa". Mentre in una intercettazione del 1° giugno 2008, il boss Aiello rivela a Barbagallo come la campagna elettorale per la presidenza della Regione sia stata finanziata dalle cosche con i soldi dell'estorsione per il costruendo centro commerciale del Pigno. "Gli ho dato i soldi nostri! Del Pigno... gli ho dato a lui per la campagna elettorale". Scrivono i Pm: "Si tratta della più grave acquisizione investigativa che descrive il dato nudo e crudo della avvenuta consegna a Lombardo di una somma di denaro destinata al finanziamento della sua campagna elettorale disposto dal capo della più forte organizzazione mafiosa operante nella provincia di Catania". Agli atti dell'inchiesta ci sono anche le intercettazioni del boss di Ramacca Rosario Di Dio, gestore di una pompa di benzina, che si lamenta del governatore Lombardo che: "è venuto da me all'una e mezza di notte... ho rischiato la vita e la galera per lui" cercando voti nonostante fosse sorvegliato speciale, senza aver poi ricevuto alcuni favori dai fratelli Lombardo. "Le intercettazioni - si legge nella richiesta dei Pm - hanno dimostrato l'esistenza di rapporti diretti di Rosario Di Dio, esponente di primissimo piano della famiglia Santapaola - e Raffaele Lombardo". Le indagini, scrivono ancora i Pm, hanno confermato che: "Lombardo risulta essere da tempo in rapporti di amicizia e di reciproci interessi con Di Dio. Egli recandosi nottetempo a casa dell'amico mafioso per chiedere il suo appoggio elettorale sapeva che una richiesta di voto proveniente da un soggetto dotato di indiscusso prestigio criminale non poteva essere tanto facilmente disattesa... la circostanza che l'incontro si sia svolto dall'una e mezza alle quattro di notte può spiegarsi soltanto con la consapevolezza che i fratelli Lombardo avevano di recarsi a casa di un mafioso". Il PD regge il sacco a Lombardo Di fronte a tutto ciò appare a dir poco vergognoso l'atteggiamento del PD che attraverso il suo segretario regionale Giuseppe Lupo ha fatto sapere di non aver nessuna intenzione di lasciare l'esecutivo regionale fino a quando "non verranno accertati fatti penalmente rilevanti a carico del presidente della Regione". Quando invece sanno benissimo che nelle 583 pagine che il 31 luglio scorso la Dda di Catania ha presentato al Giudice per le indagini preliminari (Gip) Luigi Barone per poter procedere agli arresti, i sostituti procuratori hanno già detto chiaro e tondo che risulta: "provata, in punto di fatto, l'esistenza di risalenti rapporti - diretti e indiretti - degli esponenti di Cosa nostra della provincia di Catania con Raffaele Lombardo e con Angelo Lombardo"; che il rapporto "con soggetti di sicura caratura criminale non occasionale né marginale ma cospicuo, diretto e continuativo"; e che proprio grazie a questo rapporto diretto coi boss, Lombardo "poteva avvalersi del costante e consistente appoggio elettorale della criminalità organizzata di stampo mafioso a lui vicina". Altro che: "portare l'antimafia al governo della Sicilia". La parola d'ordine coniata dal PD il 21 settembre scorso per giustificare il suo ingresso nel IV° governo regionale siciliano capeggiato dal boss del Movimento per le Autonomie (MPA) Raffaele Lombardo con dentro anche i fascisti "ripuliti" è quantomeno fuorviante e serve solo per buttare altro fumo negli occhi dei propri elettori e militanti. Non a caso, proprio a proposito dell'ingresso nel primo governo Lombardo di due magistrati, i Pm sottolineano che: "Le acquisizioni investigative operate nel corso della presente indagine dimostrano che la decisione di Lombardo (di inserire magistrati in giunta, ndr) era, in effetti, frutto di una strategia che mirava a disegnare la figura del nuovo presidente della Regione come di un politico che non solo non intratteneva rapporti di contiguità con ambienti del malaffare politico-mafioso ma che, anzi, combatteva con forza il tentacolare mondo del crimine organizzato fino al punto da inserire nella giunta regionale, per la prima volta nella storia del parlamento siciliano, due magistrati - Massimo Russo e Giovanni Ilarda - e di presentarsi all'opinione pubblica come soggetto politico che, godendo della fiducia di due autorevoli e noti magistrati siciliani, non era per ciò stesso sospettabile di contiguità alcuna con soggetti o settori del crimine organizzato". E i fatti danno ancora una volta ragione ai giudici: infatti nel corso dell'ultimo mese sono già 4 i deputati dell'Ars coinvolti in inchieste su mafia e politica. Pochi giorni prima dell'arresto di Fagone un avviso di garanzia aveva colpito alla fine di ottobre l'ex assessore Michele Cimino tirato in ballo in un'indagine su compravendita di voti ad Agrigento; poi c'è stato il sequestro dei beni al deputato di Forza del Sud Franco Mineo, indagato perché sospettato di essere socio del figlio di un boss dell'Acquasanta a cui si è aggiunta la richiesta di arresto dei Pm, respinta dai giudici, per il deputato ex PDL Sicilia Giovanni Cristaudo coinvolto in questa stessa indagine. A questi vanno aggiunti almeno altri 11 "onorevoli" sottoposti ad indagini giudiziarie per vari reati fra spicca il capogruppo del PID Rudy Maira (per episodi che risalgono alla sua sindacatura a Caltanissetta); il deputato dell'MPA Paolo Ruggirello per un'inchiesta di corruzione al Comune di Erice e del deputato PDL Fabio Mancuso, per fatti risalenti alla sua sindacatura ad Adrano. Nella lista ci sono anche "onorevoli" indagati in inchieste su presunte truffe (il deputato MPA Riccardo Minardo coinvolto in un presunto raggiro con fondi dello Stato e dell'Unione europea per la ristrutturazione di un palazzo a Pozzallo), e su ipotesi di falso in bilancio (Salvatore Termine e Elio Galvagno del PD, ex amministratori dell'Ato di Enna). Mentre il deputato e sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, è stato condannato per peculato. In data 6 novembre il PMLI Sicilia ha emesso un comunicato con la parola d'ordine: "Lombardo mafioso vattene! PD vergognati!". Esso si conclude: "lottiamo per abbattere il governo neofascista dell'imbroglione e falso meridionalista Lombardo. Noi marxisti-leninisti lavoreremo perché attorno ad essa si riunisca il massimo consenso delle masse lavoratrici, pensionate, disoccupate, precarie, studentesche, dei sindacati, e movimenti, delle forze politiche, sociali, culturali, religiose antifasciste, antimafiose, democratiche e progressiste, indipendentemente dalle loro posizioni ideologiche, per una mobilitazione popolare con l'obbiettivo di cacciar via il governo della mafia in Sicilia". 10 novembre 2010 |