Contro la chiusura dello stabilimento La lotta degli operai dell'Alcoa non si ferma Bloccato l'aeroporto e il porto di Cagliari. Al presidio sotto Palazzo Chigi si arrampicano al cancello del ministero. Tre operai a Portovesme salgono sul silo a 70 metri da terra. Le gravi responsabilità del governo. Tutti a Roma in difesa del posto di lavoro "Non è più una trattativa meramente industriale e riteniamo il governo responsabile per non aver trovato una soluzione alla situazione. Se si dovesse fermare la fabbrica l'unico responsabile sarà il governo". Poche parole del sindacalista della Cisl, Rino Barca, per capire come gli operai dell'Alcoa di Portovesme, sempre più affaticati dall'estenuante braccio di ferro contro i miliardari della multinazionale americana ma decisi a resistere fino alla vittoria, hanno le idee chiare. In tutti questi mesi il ministro Passera e l'intero governo del tecnocrate liberista borghese Monti non hanno mosso dito per affrontare questa vertenza determinante per oltre 1.000 lavoratori, fra diretti e indiretti, ma anche per tutta l'isola massacrata dalla crisi finanziaria capitalista. Dagli incontri fra sindacati, governo e dirigenza Alcoa avvenuti tra luglio e agosto, sono uscite vacue promesse, nessun impegno del governo ed un'unica certezza: la fabbrica sarà chiusa addirittura in anticipo rispetto anche agli accordi presi se la società multinazionale svizzera Glencore non decide di rilevare l'azienda sarda. La Fiom, ha invitato l'Alcoa "a non venire meno agli impegni assunti il primo agosto scorso al ministero dello Sviluppo economico". Mentre al ministero spetta "la ricerca di nuovi investimenti industriali che siano in grado di dare una prospettiva allo stabilimento di Portovesme e al settore dell'alluminio", l'Alcoa "deve riaffermare la disponibilità espressa in quella sede a mantenere attivi gli impianti, pur in un quadro di programmata riduzione dell'attività degli stessi, fino al 31 dicembre, salvaguardando l'occupazione di tutti i lavoratori". Invece, non si ferma la lotta degli operai in difesa del posto di lavoro contro l'arroganza padronale della multinazionale americana e contro l'inconcludenza di una trattativa con il governo che non svolge alcun ruolo se non quello di reprimere e fiaccare i lavoratori per far loro subire come "inevitabile" la chiusura. Oltre 300 lavoratori dell'Alcoa ha raggiunto il 22 agosto con un corteo di auto la rotonda stradale di ingresso all'aeroporto di Cagliari Elmas, che con petardi, fumogeni, striscioni e slogan ha reso impossibile il traffico in entrata e uscita dall'aeroscalo, bloccandolo per circa due ore e mezza. L'iniziativa è stata decisa al termine di un'assemblea iniziata alle 5,30 di mattina nello stabilimento. Il 25 agosto in 500 hanno occupato il porto di Cagliari per tre ore nonostante una folta presenza della polizia che non ha risparmiato manganellate ai lavoratori: addirittura alcuni si sono tuffati in mare per impedire al traghetto Tirrenia arrivato proprio in quel momento, di attraccare. I turisti e il comandante della nave hanno solidarizzato con i lavoratori e la loro tenace lotta. Il 30 agosto, una nutrita delegazione di operai e sindacalisti, prima in nave, poi a piedi in corteo da Civitavecchia sono arrivati sotto Palazzo Chigi con fischietti, trombe e caschi sbattuti sul marciapiede a sturare le orecchie ai super ricchi inquilini con un rumoroso presidio; l'esasperazione è tanta verso altrettanta "sordità" politica e padronale: Alcuni operai si sono arrampicati sulla porta d'ingresso del ministero dello sviluppo economico sventolando bandiere, battendo i caschi da lavoro e scandendo: "Lavoro, sviluppo, occupazione", circondati dalla polizia in assetto antisommossa, altri, per richiamare l'attenzione si tuffano dentro la Fontana di Trevi. "L'Alcoa dà lavoro a 600 operai - spiega un operaio - Ma con l'indotto, gli appalti, arriviamo a 1.000 persone. Il vero problema, però è che Alcoa sta facendo di tutto per non vendere, perché non vuole lasciare la fabbrica in mano a un concorrente". Gli operai spiegano che Alcoa sta ultimando un maxi stabilimento in Arabia Saudita, dove i salari sono notevolmente più bassi e pochi i diritti sindacali: per questo gli stabilimenti europei sono destinati a essere ridotti, come quelli spagnoli o chiusi come quello di Portovesme. Insieme agli operai un nutrito gruppo di sindaci provenienti dal Sulcis: "In tutto 23 comuni con un bacino di 165 mila abitanti - spiega il sindaco di Villa Massargia, Franco Porcu -. Quei posti, come i 600 della miniera, sono preziosissimi. Il polo industriale di Portovesme dà lavoro a 8.000 persone, e se va in crisi non ci sono alternative. La disoccupazione da noi è al 28%, quella giovanile addirittura al 60%. Salviamo la filiera dell'alluminio, salviamo il carbone rendendolo verde: il governo deve darci una mano, non ci può lasciare soli". Intanto la multinazionale americana ha decretato il 1° settembre l'inizio della chiusura procedendo allo spegnimento delle celle degli altoforni in attesa di una decisione della Glencore e del governo, che ancora non è in grado di assicurare per più di tre anni gli sconti sull'energia. Dal dicastero fanno sapere che i dipendenti dell'Alcoa e quelli dell'indotto saranno tutelati con appositi ammortizzatori sociali. "Governo e Regione - informa il comunicato - hanno concordato le modalità per mettere in sicurezza i lavoratori dell'Alcoa e dell'indotto. L'esecutivo e la Regione Sardegna hanno confermato quanto sottoscritto negli accordi del 27 marzo e dell'11 aprile in materia di cassa integrazione straordinaria per i dipendenti Alcoa e hanno convenuto che saranno assicurate adeguate forme di tutela anche per i lavoratori dell'indotto". Questa dai sindacalisti e dai lavoratori è stata interpretata come una resa. È questo il "percorso di guerra" che Monti auspica per tutti? Intanto il 4 settembre durante l'assemblea dei lavoratori tre operai dello stabilimento sardo per protesta sono saliti a 70 metri d'altezza su uno dei silos dell'impianto di Portovesme. Allora all'incontro definitivo, che si doveva tenere il 5 settembre poi spostato al 10, occorre presenziare con nutrita e determinata manifestazione in sostegno delle ragioni degli operai dell'Alcoa e dell'intero popolo sardo. A questo si stanno preparando: dal 5 fino a domenica 9 settembre si terranno in Sardegna diverse iniziative di lotta per preparare la manifestazione a Roma di lunedì prossimo. Lo ha deciso l'assemblea dei lavoratori, riunita il 4 settembre in fabbrica dai delegati di Cgil, Cisl e Uil del Sulcis e delle Rsu. 5 settembre 2012 |