Accordo bipartisan sul rinnegato Petruccioli nuovo presidente Lottizzata la Rai dalla destra alla "sinistra" del regime Curzi corona il suo sogno e plaude alla lottizzazione Meocci, uomo di Berlusconi, nuovo direttore La lunga ed estenuante trattativa tra i due poli del regime neofascista per la spartizione del vertice della Rai si è conclusa ai primi di agosto con la nomina del diessino Claudio Petruccioli, già presidente della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, a presidente del consiglio di amministrazione e con la nomina di Alfredo Meocci, ex democristiano e uomo di Berlusconi, a direttore generale dell'azienda. Le due nomine, insieme a quella di Angelo Maria Petroni a consigliere, completano l'accordo lottizzatorio bipartisan tra la Casa del fascio e l'Unione di "centro-sinistra" che lo scorso 17 maggio, secondo le nuove regole previste dalla legge Gasparri, aveva portato all'elezione dei 7 consiglieri di nomina parlamentare del nuovo Cda Rai a 9 membri, in sostituzione del vecchio consiglio a 5 rimasto in carica nonostante le dimissione della presidente Lucia Annunziata. La nomina dei 7 consiglieri era stata effettuata proprio dalla Commissione di vigilanza presieduta da Petruccioli, secondo le regole classiche del manuale Cencelli: 4 per la maggioranza e 3 per l'"opposizione". Quelli della Casa del fascio sono il forzista ex ministro dei Beni culturali Giuliano Urbani, l'Udc già membro del Cda Rai sotto la presidenza Baldassarre, Marco Staderini, il fascista Gennaro Malgieri, già direttore del "Secolo d'Italia" e attuale direttore de "l'Indipendente", e la deputata leghista Giovanna Bianchi Clerici, già relatrice della legge Gasparri. Quelli nominati dal "centro-sinistra" sono: per l'area PRC-Verdi il trotzkista ex direttore del Tg3, del Tg di Tele Montecarlo e di "Liberazione", Sandro Curzi; per i DS il giornalista Carlo Rognoni, ex direttore di "Panorama", "Epoca" e "Secolo XIX"; e per la Margherita l'attuale direttore di "Europa" ed ex direttore del Tg3, Nino Rizzo Nervo. Il sogno avverato del lottizzato Curzi Restavano ancora da nominare gli altri due consiglieri, tra cui il presidente, che secondo le nuove regole sono di proposta della proprietà, cioè del ministero del Tesoro, previo voto di gradimento di almeno i due terzi della Commissione di Vigilanza e della maggioranza del Cda. Nonché il nuovo direttore generale dell'azienda, in sostituzione dell'uscente Flavio Cattaneo. E su questa partita si è aperto il lungo braccio di ferro tra maggioranza e "opposizione" che è durato fino alle ferie estive. Ma intanto l'elezione del nuovo Cda così scientificamente lottizzato nell'arco dei partiti parlamentari, dai fascioleghisti fino al PRC, era stata salutata con grande soddisfazione da entrambi i poli del regime neofascista: Il cacasotto Bertinotti aveva definito l'elezione del nuovo Cda superlottizzato come un idilliaco "colpo di timone che mette fine a una conduzione abnorme". E il trotzkista Curzi, sprizzante felicità per essere tornato in viale Mazzini e ai piani più alti, incurante degli appelli dei "girotondi" a non accettare l'incarico per non essere complice della lottizzazione che anche lui a parole aveva sempre condannato, dichiarava testualmente a "la Repubblica" del 19 maggio: "In questo momento, il metodo di nomina è il migliore possibile. La politica ci ha provato, ma non ne ha inventato uno migliore". E poiché a suo dire "prima di tutto noi siamo dei professionisti, ed anche, in molti casi, degli esperti di tv", ne consegue che "questo consiglio quindi è pluralista e, se permettete, anche attrezzato". Per riempire le caselle mancanti e completare l'operazione di riassetto del vertice Rai Berlusconi faceva filtrare i nomi di Petruccioli, per la presidenza, e di Meocci, o di Saccà, per la direzione generale. Il suo piano appariva con ciò a tutto tondo: installare alla presidenza della Rai un uomo formalmente appartenente alla "opposizione", ma della sua ala più neoliberale e vicina alla destra, come il rinnegato Petruccioli, e tenersi ben stretta la direzione effettiva dell'azienda piazzandoci un suo fedelissimo, come Meocci o Saccà. In pratica la riproposizione del precedente duetto Annunziata-Cattaneo, basato su un "presidente di garanzia per tutti" (finto) e un direttore ai suoi ordini (vero), che aveva garantito al neoduce un facile controllo della tv pubblica. Con una salda maggioranza in Cda, un destro a lui non ostile come Petruccioli alla presidenza e un Dg di provata fede berlusconiana, il neoduce si sentiva tranquillo anche nell'eventualità di un cambio di governo dopo le elezioni del 2006. Per questo, fiutata la trappola e rompendo le uova nel paniere agli stessi DS che avrebbero accettato ben volentieri l'inciucio ("Sarebbe da pazzi non votare Petruccioli", aveva dichiarato il consigliere diessino Rognoni), Prodi ha puntato i piedi e respinto al mittente la proposta: "A nome e su richiesta dell'Unione - dettava da Creta il leader del `centro-sinistra' - mi sono impegnato per raggiungere con il governo e la maggioranza un'intesa su un assetto complessivo del vertice aziendale che garantisse l'indipendenza e l'autonomia della Rai. Debbo purtroppo prendere atto che la maggioranza intende procedere unilateralmente alla nomina del direttore generale". Un estenuante balletto E' cominciato così l'estenuante balletto che si è protratto fino ai primi di agosto. Una dopo l'altra cadevano altre candidature avanzate dal governo, come quella dell'ex ragioniere dello Stato, Andrea Monorchio, e quella del presidente dell'Upa (associazione degli inserzionisti pubblicitari, legata a doppio filo a Mediaset), Giulio Malgara. Nel frattempo il "consigliere anziano" Curzi faceva le veci del presidente vacante, proponendo nientemeno che la liberista guerrafondaia Emma Bonino a dirigere il Cda e la riconferma del fascioleghista Cattaneo, scaricato da Berlusconi, alla direzione generale, perché secondo lui, in fondo, avrebbe "ben operato": davvero il rimbambimento dei trotzkisti e falsi comunisti del PRC è giunto a uno stadio parecchio avanzato! La cosa ancor più grottesca è che dopo oltre due mesi di trattative e di rotture tra maggioranza e "opposizione", alla fine è rispuntato il nome di Petruccioli, che dopo una visita "chiarificatrice" a palazzo Grazioli, dimora romana di Berlusconi, se ne è uscito con la nomina in tasca. E per tutto ringraziamento, il neoeletto presidente del Cda, si è provvidenzialmente astenuto nella votazione su Meocci, che così ha ottenuto, 4 a 3, il gradimento del consiglio di amministrazione come direttore generale della Rai. è andata cioè a finire esattamente come voleva il neoduce fin dall'inizio. E questo la dice lunga su come la "sinistra" borghese si opponga solo a parole al nuovo Mussolini, mentre nei fatti è sempre pronta ad accordarsi con la destra neofascista, ogni volte che è possibile, nella spartizione dei centri del potere. Il risultato è che ora al vertice del potere formale della tv pubblica che sta per essere privatizzata, siede un esponente della "sinistra borghese", noto per essere un rinnegato della prima ora, tra i principali affossatori con Occhetto, D'Alema e Veltroni del PCI revisionista e fondatori del PDS neoliberale, un carrierista borghese che anche come presidente della Vigilanza sulla Rai non ha mai alzato un dito per opporsi alla proditoria occupazione, omologazione e declassamento dell'azienda da parte del neoduce Berlusconi e delle sue truppe cammellate. Un interlocutore perfetto per chi detiene il potere decisionale reale nell'azienda, quel Meocci allevato all'ombra della DC veneta di Rumor e Bisaglia, cresciuto politicamente con Follini e Casini per poi approdare alla corte di Berlusconi, difendendo fedelmente i suoi interessi di monopolista dell'etere come membro dell'Authority per le telecomunicazioni. Una carica, quest'ultima, che dovrebbe oltretutto renderlo incompatibile con la direzione di un'ente già da lui sottoposto a controllo. 21 settembre 2005 |