Il senatore (PD) Lusi ha rubato 13 milioni all'ex Margherita
Bersani e Rutelli non potevano non sapere

 
Tra il 2008 e il 2011, l'ex tesoriere della Margherita e attuale senatore del PD Luigi Lusi ha rubato 13 milioni di fondi pubblici dalle casse della disciolta Democrazia e Libertà - Margherita.
Per questo motivo, il procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna ha iscritto il suo nome sul registro degli indagati con l'accusa di appropriazione indebita.
Interrogato il 17 gennaio dagli inquirenti, Lusi non ha potuto fare altro che ammettere le proprie responsabilità e ha candidamente confessato di aver volontariamente sottratto il denaro per interessi "privatissimi" e "immobiliari"; in tutto poco meno di 13 milioni di euro, prelevati dal conto del partito su cui ha tutt'ora diritto ad operare anche l'ex segretario Francesco Rutelli (attuale leader di Alleanza per l'Italia ApI) e su cui è continuato ad affluire la montagna di denaro pubblico rubato al popolo e girato sotto forma di rimborso per le spese elettorali alle varie cosche parlamentari senza alcun controllo da parte dello Stato.
L'inchiesta è partita nel novembre scorso grazie a una segnalazione della Banca d'Italia che aveva notato alcuni movimenti sospetti sul conto corrente bancario intestato a "Democrazia e Libertà - Margherita", partito che, nell'ottobre del 2007 è confluito nel PD, ma che è sopravvissuto come fondazione e ha dunque conservato insieme a tutto il suo patrimonio mobiliare e immobiliare, anche il "diritto" ai rimborsi elettorali.
Secondo i dati forniti da Bankitalia risulta che tra il gennaio del 2008 e l'agosto del 2011 ci sono stati almeno 90 bonifici in uscita per un totale di 12 milioni 961 mila euro. Tutti con un identico beneficiario, la "T. T. T. srl.", e una medesima quanto curiosa causale: "Prestazioni di consulenza". Di più: la Finanza ha appurato che quasi tutta la somma sottratta è frutto dei lauti rimborsi elettorali riconosciuti all'ex Margherita nel 2008 e dei versamenti del PD pattuiti in seguito alla fusione coi DS.

Case e ville coi soldi rubati al popolo
Dall'inchiesta è emerso che la "T. T. T. srl", destinataria dei 12 milioni 961 mila euro, è una società "direttamente riconducibile a Luigi Lusi" che, guarda caso, di professione fa l'avvocato penalista specializzato in "contratti d'affari e real estate". Dunque la "TTT Srl" e le presunte "prestazioni di consulenza" non sono altro che una copertura per "giustificare" il trasferimento di fondi da un conto di cui Lusi è amministratore ad un altro di cui è proprietario. La riprova sta nel fatto che la società lavora proprio nel business di cui Lusi tiene a segnalare la competenza, il real estate. E infatti - documenta la Finanza - coi soldi dei rimborsi elettorali la Srl di Lusi ha acquistato un prestigioso immobile a Roma, in via Monserrato 24, per 1 milione e 900 mila euro più una villa a Genzano (Roma), dove risiede, e bonifica in due distinte occasioni, 1 milione 863 mila e 2 milioni 815 mila euro alla "Paradiso Immobiliare".
Non solo. Con il denaro pubblico "succhiato" al popolo dalla Margherita, la "TTT" e quindi Lusi bonifica 270 mila euro alla "Luigia Ltd.", società di diritto canadese, "riconducibile anch'essa allo stesso Lusi"; gira 49 mila euro sul suo conto personale e 60 mila su quello del suo studio legale a titolo di "fondo spese" e impiega 5 milioni e 100 mila euro per saldare imposte che, evidentemente, non sono quelle dovute al Fisco dal disciolto Partito. Oltre a destinare 119 mila euro allo studio di architettura "Giannone-Petricone" di Toronto (Canada). Una coincidenza definitivamente rivelatrice, visto che l'architetto canadese Pina Petricone è la moglie di Lusi.
Gli inquirenti avrebbero anche appurato che negli ultimi due anni si sono registrati almeno altri due movimenti "sospetti" effettuati con lo scudo fiscale di Tremonti e inerenti un rientro di capitali dall'estero intestati alla moglie di Lusi, Pina Petricone, e uno in capo alla "TTT srl.", la società controllata dalla scatola canadese dell'ex tesoriere e utilizzata per mettere in piedi il sistema di fatture per operazioni inesistenti necessario a far sparire i 13 milioni.
Messo con le spalle al muro dalle prove schiaccianti, il senatore del PD, oltre ad ammettere tutte le accuse, si è laconicamente impegnato a "restituire in tempi brevissimi" una parte del denaro che ha sottratto al partito e a patteggiare circa un anno di pena. "Avevo bisogno di soldi e li ho presi, ora posso restituire cinque milioni" ha confessato beffardamente Lusi ai giudici.

Rutelli "cieco" Bersani "muto"
Di fronte a tutto ciò si stenta a capire come sia stato possibile che nessun esponente della Margherita o del PD, in un arco di tempo così lungo (2008-2011), abbia mai sospettato della falsificazione dei bilanci. Com'è possibile che nessuno, a cominciare dall'ex segretario Rutelli e da Bersani, abbia mai avuto sentore delle spericolate operazioni finanziarie che Lusi faceva sul conto del partito?
Dove erano i membri del Comitato di Tesoreria: Giuseppe Vaccaro (emanazione di Letta) Ivano Strizzolo (fedelissimo di Marini) e il suo presidente Gianpiero Bocci (luogotenete di Fioroni)? Cosa faceva il collegio dei Revisori contabili composto da: Giovanni Castellani, Mauro Cicchelli e Gaetano Troina? E l'assemblea federale? E il controllo finale della Camera?
Insomma come è possibile che tutti i "quattro livelli di controllo" di cui ciancia Rutelli siano stati elusi?
Tra l'altro nel giugno dello scorso anno, Arturo Parisi aveva segnalato, in seno all'Assemblea federale chiamata ad approvare il bilancio, "opacità di bilancio che imponevano risposte dettagliate".
"Ricordo voci in uscita per milioni di euro - dice Parisi - giustificate come 'attività di partito'... Peccato che la Margherita non esisteva più da 4 anni". Ciononostante, l'"organismo di verifica" chiamato a una revisione su quelle opacità (ne facevano parte tra gli altri Rosy Bindi, Dario Franceschini, Giuseppe Fioroni, Enrico Letta) non solo non ha mai eccepito nulla ma addirittura non si è mai riunito per discutere della questione.
In riferimento a ciò gli inquirenti vogliono anche verificare che fine abbia fatto il denaro, girato da Lusi a Dario Franceschini, per "contrastare l'ex diessino Bersani nelle corsa alle primarie PD". Nel rendiconto di bilancio figurano 4 milioni di euro spesi per "attività politica". Ossia, 3 milioni e 750 mila euro in più del tetto di spesa prescritto dal regolamento interno del PD e fissato a 250mila euro.
Insomma, che fine hanno fatto i soldi? Li ha intascati solo Lusi oppure se li sono spartiti anche gli ex dirigenti della Margherita poi confluiti nel PD, nell'Udc e in ApI, per le loro "legittime attività politiche"?
Tra i beneficiari dei finanziamenti elargiti da Lusi figurerebbe anche il neopodestà di Firenze Matteo Renzi (PD, ex democristiano) che per bocca del suo portavoce Marco Agnoletti ammette di aver ricevuto solo un appoggio "politico" ma si rifiuta ostinatamente di chiarire se Lusi abbia appoggiato anche finanziariamente la convention dei "rottamatori" nel novembre scorso o altre iniziative simili, ivi compreso le campagne elettorali per le primarie del PD e poi quella per le elezioni amministrative.

L'omertà dei boss politici
Gli inquirenti sospettano che Lusi avendo in mano i cordoni della borsa era in realtà il vero padrone del partito e poteva decidere quale corrente finanziare e i candidati da eleggere. In sostanza Lusi aveva mano libera sui fondi, come egli stesso ha confessato in un memoriale redatto dai suoi avvocati agli inizi di dicembre 2011. Ed è proprio in base a questo potere e confidando sull'omertà dei vari capibastone politici a cui pagava le campagne elettorali, che Lusi ad un certo punto si è sentito quasi in "credito" col partito e ha deciso di saldarlo appropriandosi di tutto il denaro che gli serviva senza nessun controllo e senza rendere conto a nessuno.
Insomma un vero e proprio "sistema Lusi" attraverso cui le varie cosche parlamentari e i vari boss politici facenti capo all'ex Margherita, PD e ApI si finanziavano le campagne elettorali coi soldi pubblici estorti ai contribuenti e calpestando la volontà popolare che al referendum del '93 decretò a stragrande maggioranza l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti parlamentari reintrodotto dal governo D'Alema sotto forma di contributo per le spese elettorali.
Non a caso Lusi al termine del suo interrogatorio sibillinamente ha detto agli inquirenti: "Sono responsabile di tutto e per tutti?"
Fatti dunque che chiamano direttamente in causa Rutelli il quale, di fronte all'ostinazione del suo fidato tesoriere di tenere i conti del partito nascosti, non è mai intervenuto per fare chiarezza e non si è nemmeno degnato di rispondere alle lamentele interne che chiedevano più trasparenza nei bilanci della Margherita.
Interrogato il 16 gennaio dalla Procura in qualità di persona informata dai fatti, Rutelli con perfetta faccia di bronzo ha affermato di essere stato all'oscuro di quanto Lusi combinava e si è coperto di ridicolo quando, al termine dell'interrogatorio, ha detto ai cronisti di non poter entrare nel merito della questione, perché tenuto al "rispetto del segreto istruttorio".
In sostanza Rutelli, che addirittura si dice "incazzato e addolorato" per quanto è successo, vorrebbe far credere che: pur essendo cointestario di un conto dove ci sono 30 milioni di euro che fanno gola a tutti e sono contesi col coltello fra i denti fra le varie fazioni che fanno capo agli ex Margherita del PD, ex nell'Udc ed ex nell'ApI, egli non si è mai preoccupato di controllare perché, ha affermato alla trasmissione televisiva Otto e mezzo "Di Luigi Lusi mi fidavo ciecamente... Siamo stati ingannati, è stata tradita la nostra fiducia. È evidente che è un furto".
Mentre Bersani, in un primo momento ha cercato di minimizzare affermando che: "Noi non sappiamo nulla di questa vicenda e aspettiamo di avere chiarezza. Poi, se verranno accertate responsabilità individuali, il PD prenderà provvedimenti secondo le regole" ovvero la sospensione dal partito che è stata decisa solo quando la posizione di Lusi, in seguito alla sua piena confessione, era diventata ormai indifendibile.
Insomma se questi sono gli "effetti benefici" del famigerato "Codice etico" e del "Manifesto dei valori" con cui il PD si vanta di "aver regolato in modo autonomo la propria vita interna" c'è poco da sperare.

8 febbraio 2012