Rievocando alla vigilia del 25 Aprile un episodio che sarebbe accaduto nella formazione partigiana di Primo Levi Luzzatto, Mieli e Lerner diffamano la Resistenza Non concedere nulla al revisionismo storico Il libro dello storico torinese Sergio Luzzatto, Partigia. Una storia della Resistenza, pubblicato dalla Mondadori di Berlusconi proprio alla vigilia dello scorso 25 Aprile, non è la prima, né sarà l'ultima, operazione di revisionismo storico volta a diffamare la Resistenza, però è certamente da annoverare tra le più subdole e pericolose delle tante a cui abbiamo assistito in questi anni: non soltanto per la biografia dell'autore, considerato per i suoi lavori precedenti uno storico di area antifascista, ma anche per il pretesto ambiguo scelto per sviluppare le sue tesi revisioniste, un episodio che sarebbe accaduto nella formazione partigiana in cui aveva militato per un breve periodo lo scrittore Primo Levi, prima di essere catturato dai repubblichini e deportato ad Auschwitz. Nonché per i puntuali interventi sui principali organi di stampa che hanno rilanciato e amplificato tali tesi, tra cui quelli particolarmente velenosi di Paolo Mieli sul Corriere della Sera del 17 aprile e di Gad Lerner su la Repubblica del 17 aprile. Dicendo di esserne stato "ossessionato", Luzzatto è partito da alcuni scarni e riservati accenni fatti da Levi in un suo libro (Il sistema periodico, 1975) su un "segreto brutto" relativo a un episodio accaduto nella sua appena costituita e ancora inesperta e disorganizzata banda partigiana in Val d'Aosta nel dicembre 1943, subito prima che un infiltrato fascista la facesse cadere in mano alle milizie nere. Si sarebbe trattato dell'esecuzione di due suoi membri, colpevoli di aver commesso atti di prevaricazione, forse anche furti, ai danni della popolazione, gettando discredito sull'intera banda e quindi mettendo in pericolo la sopravvivenza di tutti. Secondo le parole dello stesso Levi, lui e gli altri ne uscirono sconvolti, al punto da esporsi più facilmente alla cattura: "Eravamo stati costretti dalla nostra coscienza ad eseguire una condanna, e l'avevamo eseguita, ma ne eravamo usciti distrutti, destituiti, desiderosi che tutto finisse e di finire noi stessi", racconta lo scrittore. Per dirla in estrema sintesi, da questo oscuro episodio e dal fatto che dopo la liberazione esso sarebbe stato rimosso facendo passare i due giustiziati come uccisi dai fascisti in combattimento, Luzzatto trae lo spunto per svolgere la sua riflessione revisionistica sulla lotta di liberazione dal nazifascismo e i suoi presunti "tabù storiografici mantenuti a lungo" e "violati solo dalla letteratura" (come appunto in quello scritto di Levi, ndr); fino a giungere a conclusioni del tutto analoghe a quelle del rinnegato Giampaolo Pansa sul suo libro revisionista Il sangue dei vinti, che riabilita i fascisti repubblichini quali "vittime" delle vendette post-resistenziali degli ex partigiani e degli antifascisti. Infatti, secondo la sua ricostruzione dell'episodio, e malgrado che lo stesso Levi affermi che lui e i suoi compagni furono costretti ad eseguire la condanna a morte "dalla loro coscienza" (cioè con una decisione presa, sebbene comprensibilmente a malincuore, in piena libertà di giudizio e non perché forzati da una qualche autorità superiore, per quanto riconosciuta come poteva essere quella del capo banda), l'esecuzione dovette essere comunque "ingiusta", quantomeno "smisurata rispetto all'entità delle colpe", e per di più eseguita secondo "giustizia sovietica", ossia senza processo e con una sventagliata di mitra alle spalle. E per estensione fu tutta la guerra partigiana, sempre secondo lui, ad essere costellata di episodi simili, in cui i partigiani "si trovarono a dover sopprimere uomini entro le loro stesse file, per le ragioni più diverse e variamente gravi". E magari "imputando ai vinti anche quanto commesso dai vincitori". Sapiente contributo della stampa di regime Dopo la Liberazione, aggiunge poi Luzzatto, le esecuzioni sommarie continuarono sui fascisti, anche presunti tali ma in realtà innocenti, causate dal "sovrappiù di rabbia, di odio, di brutalità documentato dalle cronache di quella primavera italiana, il dantesco contrappasso che venne inflitto dagli antifascisti a tanti fascisti". Siamo insomma arrivati in pieno alle tesi di Pansa, al quale infatti Luzzatto riconosce che "nulla si inventa", e che al contrario della "vulgata revisionista" nei suoi scritti c'è "rispetto per la storia". Ovviamente la "conversione" di un altro ex antifascista pentito, finito oggettivamente a far compagnia al rinnegato Pansa, tanto più se storico di riconosciuta autorevolezza borghese come Luzzatto, non poteva che suscitare gli entusiasmi scontatissimi di fogliacci anticomunisti e dichiaratamente berlusconiani come Libero e Il Giornale, che difatti gli hanno dedicato pagine a dir poco encomiastiche. Meno sbracati, e perciò tanto più subdoli e velenosi, anche perché provenienti da due ex esponenti della "sinistra extraparlamentare", quelli invece dell'ex Lotta Continua Gad Lerner e dell'ex Potere Operaio Paolo Mieli, rispettivamente su la Repubblica e su Il Corriere della Sera. Mieli dedica al libro di Luzzatto una lunga recensione, in cui riporta e sottolinea ampiamente i passaggi che discreditano la guerra partigiana e l'antifascismo e confortano viceversa le tesi revisionistiche già abbondantemente propalate da Pansa. Più coperto e più attento a non sbilanciarsi troppo verso il revisionismo storico invece l'intervento di Lerner, che per quanto riguarda le accuse di Luzzatto alla guerra partigiana di aver praticato la "giustizia sovietica", non le controbatte, ma se la cava dicendo che la sua indagine "non ha molto da rivelare sul piano storico - le atrocità della Resistenza come guerra civile sono già dissodate - sollecitandoci invece a una discutibile revisione iconografica e sentimentale". Più che altro, all'editorialista di La7 dell'industriale Cairo e de la Repubblica del magnate De Benedetti, nonché coordinatore del PD nella zona del Piemonte dove ha la residenza, premeva difendere non la Resistenza, ma la memoria e l'immagine di Primo Levi. E non tanto per i suoi pur brevi e tragici trascorsi di partigiano, quanto per la sua figura di simbolo e testimone della Shoah: e infatti a questo è dedicato quasi interamente il suo interesse e il suo intervento. Sulle orme di Montanari e Pansa È comunque significativo che questi due rinnegati contribuiscano non poco, e in maniera concentrica proprio dai due principali organi portavoce della grande borghesia, a dare risalto a questa ennesima operazione di denigrazione della Resistenza e dell'antifascismo. Mieli lo fa dal versante di destra, seguendo le orme del rinnegato Pansa, Lerner da quello di "sinistra", calcando quelle che dal rinnegato Otello Montanari nel 1990 in poi, hanno percorso altri dirigenti del PCI, poi PDS e oggi DS, come Achille Occhetto, Nilde Iotti, Antonello Trombadori, Piero Fassino, Luciano Violante, Giorgio Napolitano e tutti gli altri rinnegati di questo partito che hanno gettato fango sulla Resistenza e sui partigiani e riabilitato i reduci di Salò. Non a caso questa operazione è avvenuta alla vigilia dell'anniversario della Liberazione e della formazione del governo delle "larghe intese" tra il PD e il nuovo partito fascista del neoduce Berlusconi. E non a caso è stata realizzata anche stavolta con i suoi soldi, sul modello già ben collaudato del famigerato Libro nero del comunismo. In molti infatti hanno sottolineato la stranezza, non facilmente spiegabile con ragioni puramente commerciali, che Luzzatto, da sempre sotto contratto con Einaudi, abbia scelto proprio in questa occasione di far pubblicare il suo libro dalla Mondadori. Si tratta in sostanza di un'operazione politica del tutto simile a quella che fu imbastita dopo la caduta del muro di Berlino e alla vigilia della liquidazione del PCI revisionista, quando l'ex partigiano rinnegato Otello Montanari, con un articolo sul quotidiano di destra Il Resto del Carlino di Bologna ("Chi sa parli"), svelando le presunte "atrocità" dei partigiani e degli antifascisti ai danni dei fascisti dopo la Liberazione nel cosiddetto "triangolo della morte", spianò la strada alla mutazione genetica liberale del partito revisionista e all'abbandono della discriminante antifascista da parte dei rinnegati di quel partito, in vista dei futuri inciuci con la destra borghese per il comune sostegno al capitalismo e al regime neofascista. 26 giugno 2013 |