Secondo le dichiarazioni del "pentito" Brusca "La mafia investė nelle aziende di Berlusconi" "600 milioni di lire di pizzo al mese" A partire dagli anni Ottanta la mafia ha investito parte dei suoi capitali illeciti nelle attività dell'allora imprenditore Silvio Berlusconi. Un patto criminale che però non esentava il futuro premier dal pagamento del pizzo di 600 milioni di lire all'anno per l'installazione e la salvaguardia delle sue antenne televisive e dei suoi interessi in Sicilia. È quanto ha dichiarato il 18 maggio il "pentito" Giovanni Brusca al Pubblico ministero Nino Di Matteo nell'aula bunker di Rebibbia in merito al processo contro il generale dei carabinieri Mario Mori accusato di favoreggiamento alla mafia nell'ambito delle indagini sulla trattativa tra Stato e mafia. Secondo il racconto di Brusca, Berlusconi è stato oggetto di pressioni da parte dei mafiosi di Santa Maria del Gesù e ha avuto rapporti con i boss Stefano Bontade e Giovanello Greco. Il "pentito" ha inoltre parlato degli investimenti fatti da Greco, che poi si sarebbe rivolto a Gaetano Cinà, "l'intermediario di alto livello fra l'organizzazione mafiosa e gli ambienti imprenditoriali del Nord" dicendogli di volere riprendersi i soldi dati a Berlusconi. "Seppi da Ignazio Pullarà - ha aggiunto Brusca - che poi il boss Giovannello Greco, temendo di perdere i frutti dell'investimento fatto con Berlusconi, fece un blitz a casa di Gaetano Cinà per riprenderseli... Cinà, persona diversa dal medico pure lui mafioso poteva arrivare a Berlusconi tramite Dell'Utri". Brusca ha poi sottolineato che "a Milano non era solo Berlusconi che pagava" e ha precisato che l'attuale presidente del Consiglio "pagava una 'messa a posto' di 600 milioni al mese a Stefano Bontade e successivamente a Totò Riina". Poi però "Aveva smesso di pagare - ha affermato ancora Brusca - e gli venne fatto un attentato. Il mandante era Ignazio Pullarà. L'attentato fu programmato perché ricominciasse a pagare il pizzo". Per questa cosa, ha sostenuto ancora il boss mafioso "pentito": "Totò Riina si arrabbiò e tolse la guida del mandamento a Pullarà, affidandola a Pietro Aglieri. Fu proprio Ignazio a raccontarmi questi fatti. I rapporti con Berlusconi sono durati anche successivamente". Durante le oltre due ore di audizione Brusca ha parlato anche dei vari tentativi che all'epoca furono fatti da Cosa nostra per avvicinare l'allora presidente del Consiglio Bettino Craxi, attraverso l'intermediazione di Berlusconi e Dell'Utri e, a tal proposito, per la prima volta, Brusca ha tirato in ballo anche Fedele Confalonieri. Inoltre, il boss mafioso che azionò il telecomando nella strage di Capaci e per vendetta sciolse nell'acido il piccolo Antonino Di Matteo figlio di un "pentito", ha rilanciato le accuse anche contro l'ex ministro degli interni Nicola Mancino che: "è stato garante e terminale finale della trattativa" tra Stato e mafia e ha svelato, per la prima volta, che dopo l'arresto del capo di Cosa nostra, Totò Riina, avvenuto nel gennaio del 1993, il cognato del boss, Leoluca Bagarella, aveva progettato di uccidere Nicola Mancino. Secondo il pentito ci sarebbero state più trattative mafia-Stato: una risale al periodo successivo all'omicidio dell'europarlamentare DC Salvo Lima, luogotenente di Andreotti in Sicilia; l'altra al '93, dopo l'arresto di Totò Riina. Secondo la ricostruzione di Brusca, dopo l'omicidio di Salvo Lima (12 marzo 1992) "si sarebbero fatti sotto" due personaggi come Vito Ciancimino, padre di Massimo, e Marcello Dell'Utri. "Il primo portò la Lega (ma non ha specificato quale, ndr), l'altro un nuovo soggetto politico che si doveva costituire, o che già era costituito, non mi ricordo bene. Entrambi si proposero come alternative a Lima e al sistema politico di cui l'esponente andreottiano della Dc era stato il garante". Brusca ha fatto poi riferimento a un altro pezzo della trattativa, risalente al periodo successivo alla strage di Capaci (23 maggio 1992): in quel periodo "a farsi sotto" sarebbero stati altri soggetti, non specificati, ma che avrebbero avuto come terminale finale il ministro dell'Interno Nicola Mancino. Totò Riina avrebbe riferito a Brusca che nei confronti di questi soggetti si sarebbe presentato "con un papello tanto così (espressione accompagnata da un gesto delle mani) contenente una serie di richieste. Successivamente appresi che il soggetto interessato a fare cessare le stragi era Nicola Mancino. Da lui arrivò la richiesta: 'Cosa volete per finirla con le stragi?'". In quella fase della trattativa "eravamo insoddisfatti dell'esito" tant'è vero che il boss Leoluca Bagarella, sempre secondo Brusca, "si lamentava di essere stato preso in giro da Nicola Mancino 'gliela faccio vedere io', disse con l'evidente intento di ucciderlo". L'altra fase della trattativa riguarderebbe invece il periodo successivo all'arresto di Riina (15 gennaio '93). "In quel momento a me, a Leoluca Bagarella e a Bernardo Provenzano stava a cuore attenuare i maltrattamenti inflitti nelle carceri speciali di Pianosa e dell'Asinara. Poi non volevamo revocare il 41 bis, cosa controproducente, ma svuotarne il contenuto". Nel '93 ci fu un nuovo tentativo di avvicinare Berlusconi e di spingerlo a trattare, dato che, secondo Brusca, era già ritenuto scontato che sarebbe diventato presidente del Consiglio. "Dopo l'arresto di Riina ho contattato Vittorio Mangano, il cosiddetto stalliere di Arcore, perché si facesse portavoce di alcune nostre richieste presso Dell'Utri e Berlusconi", ha sostenuto il "pentito". "Lui - ha aggiunto - non ha mai fatto lo stalliere bensì era una garanzia verso le altre organizzazioni che potevano portare problemi". Mangano "era contentissimo di poterci ristabilire i contatti e ci spiegò che si era licenziato dall'impiego ad Arcore per non creare problemi a Berlusconi, ma che tutto era stato concordato anche con Confalonieri e che aveva ancora con loro buoni rapporti". A fare da tramite tra Mangano e l'allora imprenditore Berlusconi sarebbe stato un personaggio che aveva la gestione delle pulizie alla Fininvest. "L'episodio risale alla fine del '93. Gli volevamo chiedere - ha detto Brusca - tra l'altro di attenuare i rigori nei trattamenti dei detenuti a Pianosa e Asinara e di alleggerire il 41 bis". Brusca, infine, ha ammesso di non avere avuto più notizie sui contatti tra Mangano e i suoi referenti in quanto lo stalliere di Arcore venne poi arrestato nel corso del '94 e la trattativa per alleggerire il 41 bis si interruppe. 1 giugno 2011 |