Le mani dei criminali sulla Cassazione Mafiosi e massoni uniti per insabbiare i processi 8 arrestati tra cui una poliziotta. Indagato anche un prete gesuita Per quasi un decennio ci aveva pensato il giudice Corrado Carnevale, presidente della I sezione della Cassazione, soprannominato significativamente l'ammazzasentenze, a cancellare i processi di mafia e terrorismo, usando spesso il pretesto di piccoli vizi di forma. Oggi un'altra sconcertante vicenda getta nuove ombre sul Palazzaccio. L'inchiesta condotta dai pm della Dda di Palermo coordinati dall'aggiunto Roberto Scarpinato, denominata Hiram (in gergo esoterico, una colonna portante della Massoneria) ha portato alla luce un sodalizio criminale tra mafia e massoneria volto ad "insabbiare", rallentandoli o aggiustandoli, processi di mafia in cui erano imputati affiliati delle cosche del trapanese e dell'agrigentino, in sostanza "amici" del boss latitante numero uno, Matteo Messina Denaro. Comandi che partivano dai mandamenti di Cosa nostra siciliana e che utilizzavano due intermediari umbri come terminale ultimo dentro i palazzi di Giustizia. La commistione tra mafia e massoneria in realtà non è una novità. Basta ricordare quanto si scoprì a metà degli anni '80 dietro le quinte del circolo Scontrino di Trapani, frequentato da massoni e dai boss, ma dove c'erano anche politici, professionisti, banchieri, uomini, e donne, di cultura, esponenti di rango internazionale, amici della Libia e della Turchia. Sei logge c'erano dentro lo Scontrino, dalla Iside 2 alla loggia C, la prima affiliata alla P2 di Gelli, e dove gli studi esoterici erano però l'ultima delle preoccupazioni, si occupavano di altro quei massoni, anche di seguire alcune vicende processuali. Aggiustare i processi, ma non solo, anche rallentarli, o far sì che finissero dinanzi ai giudici che erano sensibili ai consigli. Ora la storia si ripete e la massoneria torna a farsi intermediaria tra i mafiosi e gli impiegati della Cassazione. Otto le persone finite in manette tra cui l'orvietano Rodolfo Grancini, 68 anni, faccendiere dalle amicizie politiche altolocate e Guido Peparaio, 55 anni, ausiliario di cancelleria presso la seconda sezione penale della Corte di Cassazione a Roma e per molti anni in forza al Palazzo di Giustizia di Perugia. L'accusa è concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, accesso abusivo e rivelazione del segreto d'ufficio, peculato. Agli arresti è finita anche la poliziotta palermitana in servizio presso lo Sco del ministero degli Interni, Francesca Surdo e l'imprenditore di Mazara del Vallo mafioso e massone Michele Accomando. Iscritto nel registro degli indagati un prete gesuita di alto lignaggio, Ferruccio Romanin, rettore della chiesa di Sant'Ignazio a Roma. Il meccanismo funzionava come una piramide alla cui base c'erano la mafia di Mazara del Vallo, Marsala e Canicattì. I clan mafiosi con procedimenti pendenti in Cassazione, a Accomando, loro uomo di assoluta fiducia, che a sua volta aveva come punto di riferimento romano Grancini che si rivolgeva a Guido Peparaio, a suo modo un "genio" nel dipanare quelle complicatissime maglie burocratiche da cui dipendevano la carcerazione e la libertà degli imputati, il quale a sua volta aveva i suoi complici nelle diverse sezioni di merito dell'Alta corte. Per questi servizi i mafiosi pagavano tranche da 5 mila a 15 mila euro. Accomando faceva da collettore delle mazzette che poi girava in un conto corrente fittiziamente intestato a Grancini, che a sua volta versava in contanti a Peparaio che pagava i suoi complici nei diversi uffici della Cassazione dove transitavano i processi "caldi". Più le cause si diluivano nel tempo più la cifra corrisposta aumentava. I pm hanno scoperto anche un secondo livello: il personaggio chiave era la poliziotta Francesca Surdo a cui spettava il compito di violare il sistema informatico della polizia per acquisire notizie sullo stato delle indagini, apparentemente segretissime, a carico dei boss che poi passava a Grancini. Nonostante gli sforzi della banda però spesso i processi arrivavano ugualmente in discussione. Ed era a questo punto che entrava in scena il gesuita Ferruccio Romanin che "previo pagamento", dicono i giudici, scriveva delle lettere di "intercessione". Le accorate lettere a favore di alcuni esponenti mafiosi venivano congegnate in prima bozza a Grancini che poi le sottoponeva ad Accomando e agli avvocati. Quest'ultimo aveva un filo diretto con Romanin. Scoprire chi erano i giudici a cui indirizzava le missive e quanto questi fossero "sensibili" all'interessamento del Romanin è quello che ora vogliono sapere i pm palermitani che sono volati a Roma per un'operazione senza precedenti, dirigendo personalmente la perquisizione negli uffici della Suprema corte alla caccia di altre complicità e connivenze col sodalizio criminale di Grancini-Accomando convinti che quella venuta fuori sia solo la punta dell'iceberg. Gli altri arrestati sono gli imprenditori agrigentini Calogero Licata, Calogero Ruscello e Nicolò Sorrentino di Marsala. Agli arresti, ma non per mafia, anche il ginecologo palermitano Renato Di Gregorio, che con l'intercessione di Grancini è riuscito ad insabbiare per tre anni il suo processo per abusi sessuali su minore. Iscritto nel registro degli indagati invece il gran maestro della Serenissima Gran Loggia Unita d'Italia, Stefano De Carolis, accusato di aver aiutato Accomando a far insabbiare il procedimento contro il fratello del boss Mariano Agate, che si dice che sia lui stesso un massone e il suo nome comparve pure tra gli iscritti della loggia Iside 2. Dopo gli arresti i pm della Dda di Palermo vogliono chiarire i rapporti di Grancini con il senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri, che lo incontrava anche a Roma senza problemi. Grancini infatti aveva il suo ufficio nella sede di Orvieto del "Circolo del buon governo" di Dell'Utri, di cui era stato uno dei soci fondatori e ne era ancora il segretario. In particolare i magistrati palermitani vogliono veder chiaro su due dei suoi incontri con Dell'Utri, osservati dai carabinieri all'hotel Metropole della capitale: poco prima, il faccendiere aveva ricevuto alcuni dei suoi migliori clienti, Sorrentino e Licata, che chiedevano di bloccare in Cassazione la pratica di un imprenditore agrigentino accusato di mafia. L'inchiesta punta a chiarire che tipo di incontri si svolgessero nel "Circolo del buon governo" che ufficialmente non era più attivo da tempo ed invece, sulla base delle intercettazioni disposte dal pool di magistrati, sembra ci fosse un gran movimento. Inoltre, nei computer e nei documenti sequestrati, si cercano i riscontri agli impegni che Grancini prendeva coi suoi speciali "clienti", dove assicurava l'impegno di amici altolocati. Proprio come quelli che aveva riunito nel "Circolo" di Orvieto, dove tra i 2.200 iscritti figuravano ambasciatori, alti prelati e dirigenti ministeriali. 9 luglio 2008 |