"Il manifesto" confessa che "ha ben poco a che fare col socialismo realizzato" Perché a distanza di 35 anni dalla sua fondazione e a 17 dalla caduta del muro di Berlino, "Il manifesto" riporta ancora nella testata la dicitura "quotidiano comunista"? Non ce lo chiediamo noi, che abbiamo avuto sempre chiaro che si tratta di un quotidiano in realtà trotzkista, che col comunismo non ha nulla a che spartire. Ma se lo chiedono gli stessi trotzkisti di via Tomacelli, che devono avere delle forti crisi di identità, in questi tempi di abiure e di revisione della storia: "Quotidiano comunista. In che senso?", si interroga infatti Loris Campetti in un fondino del 10 maggio scorso, dal quale apprendiamo anche che un tentativo di eliminare l'"anacronistica" quanto imbarazzante testatina ci fu già nel 1998, per iniziativa proprio dei fondatori Pintor e Rossanda, ma fu allora respinto dalla maggioranza del collettivo del giornale. Campetti individua "almeno tre ragioni valide" per mantenere ancora oggi l'ingombrante testatina ; alle quali però, prima ancora di svelarle, antepone una lapidaria premessa: "Il comunismo che abbiamo in mente in via Tomacelli ha ben poco a che fare con la sua materializzazione nelle forme storicamente determinate o con la sua rappresentazione". Quindi, via non soltanto il simulacro di socialismo rappresentato dai regimi revisionisti dell'Est crollati col muro di Berlino, ma anche, nello stesso mucchio, la Rivoluzione d'Ottobre, l'edificazione del socialismo nell'Urss di Lenin e Stalin, la rivoluzione cinese e il socialismo nella Cina di Mao: cioè il cuore rosso e glorioso della storia del movimento operaio internazionale. E allora, quale comunismo? "Il comunismo è Itaca", è la prima, stupefacente "ragione valida" di Campetti. Ossia un miraggio, un'astrazione, il pretesto per giustificare un "lungo viaggio nel capitalismo" che per i trotzkisti di via Tomacelli è destinato evidentemente a non avere mai fine. La seconda ragione è "tenere a bada la cattiva bestia dell'omologazione". Anche se Campetti immediatamente aggiunge: "senza precluderci feconde contaminazioni". Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma. Ma è la terza ragione, quella più sorprendente di tutte, e che forse spiega il vero motivo per cui il quotidiano trotzkista esita ancora a disfarsi della testatina "quotidiano comunista": "Non credo che la testatina sotto una testata ben più importante che rimanda a Marx faccia paura e ci tenga lontane chissà quali masse di potenziali lettori o di ipotetici acquirenti di spazi pubblicitari", ragiona infatti Campetti, che così conclude: "È abbastanza probabile, invece, che la rimozione di "quotidiano comunista" ci costerebbe in termini di copie e di affezione. Sarebbe dunque un'operazione sbagliata, culturalmente, politicamente e persino economicamente". Come dire che a prescindere da qualsiasi altra motivazione è il mercato capitalista stesso che frena "Il manifesto" dal disfarsi della dicitura "quotidiano comunista". 31 maggio 2006 |