La mannaia di Monti sulle pensioni
Abolizione della pensione di anzianità. Blocco per 2 anni dell'adeguamento al costo della vita sopra i 936 euro lordi. Passaggio al sistema contributivo per tutti. Innalzamento dell'età pensionabile per gli uomini tra 66 e 70 anni e per le donne nel privato tra i 62 e 70 anni. Automatismo tra età pensionabile e aspettativa di vita

Non c'era davvero bisogno di "luminari" (ammesso che lo siano) di scienze finanziarie, economiche e sociali per confezionare una manovra di lacrime e sangue come quella varata dal governo della grande finanza e della UE, Monti, il 4 dicembre scorso. Una maxistangata di 30 miliardi di euro tutta sulle spalle dei pensionati, dei lavoratori e delle masse popolari. Non c'è nessuna discontinuità con il precedente governo di destra del neoduce Berlusconi. Non c'è nessuna equità nella distribuzione dei sacrifici tra le varie classi sociali. Anzi, il segno principale che caratterizza la prima manovra del neo-presidente del consiglio è proprio una grande, odiosa, insopportabile ingiustizia sociale. È un segno che si intravede un po' in tutti i provvedimenti contenuti nel decreto ora in discussione in parlamento. Tra questi, primeggiano le pensioni contro le quali c'è un vero e proprio accanimento considerato che già il governo Berlusconi ci aveva messo mano più volte, l'ultima nel maxiemendamento alla legge di stabilità, la vecchia Finanziaria, prima di dare le dimissioni. Un accanimento iperliberista ingiustificato, specie nei confronti delle donne, non solo perché con i provvedimenti previdenziali controriformatori già in atto e in programma nel tempo il sistema italiano era stato ormai più che comparato con quelli dei principali paesi europei, come Francia e Germania, ma anche perché la tenuta finanziaria dell'Inps risulta abbondantemente in attivo.
Ma a Monti interessava fare cassa e allora niente di più facile che mettere le mani nelle tasche di milioni di pensionati con reddito medio basso. Solo con il blocco della rivalutazione delle pensioni sopra i 936 euro mensili lordi, per un recupero parziale dell'inflazione, ai pensionati viene estorto 3,8 miliardi nel 2012 e 6,7 miliardi nel 2013. Il mancato recupero di questi due anni di blocco diverrà permanente.
Monti è stato definito giustamente dalla segretaria dello SPI-CGIL, Carla Cantone, "il tartassatore della previdenza" tali e tanti sono i provvedimenti peggiorativi messi a punto dal ministro del welfare, Elsa Fornero, quella delle lacrime di coccodrillo. Non c'è praticamente nulla che sia sfuggito alla mannaia governativa: l'elevamento dell'età pensionabile di uomini e donne; l'abolizione di fatto della pensione di anzianità: il passaggio per tutti al calcolo della pensione col sistema contributivo; penalizzazioni per chi lascia il lavoro prima dei nuovi requisiti; il blocco dell'indicizzazione per le pensioni sopra il doppio di quella minima. A proposito di equità alla rovescia, nelle nuove pensioni di Fornero e Monti non c'è l'adeguamento, se si esclude un ridicolo ritocco, delle aliquote contributive dei lavoratori autonomi che attualmente pagano solo una percentuale del 20% rispetto al 33% del lavoro dipendente. Inoltre, non c'è nulla per aiutare i giovani a maturare una pensione decente, visto che con la normativa vigente a fine carriera, nella migliore delle ipotesi otterranno un assegno sotto al 50% dello stipendio percepito.
È però nel dettaglio dei provvedimenti che emerge tutta la dimensione e la brutalità di questa controriforma previdenziale.

Età pensionabile
Già dal 1° gennaio 2012 l'età pensionabile degli uomini è fissata entro una soglia che va da 66 a 70 anni. Ciò ha come effetto immediato che un lavoratore che maturava i requisiti per il pensionamento nel 2012 con quota 96 (61+35) dovrà aspettare ancora per 5 anni. Per le donne del settore privato la soglia per la pensione di vecchiaia viene fissata tra i 62 e i 70 anni. Quella minima di 62 anni crescerà progressivamente fino ad equiparare nel 2018 quella degli uomini a 66 anni. Il che può produrre una rincorsa continua. Ad esempio, una lavoratrice del settore privato che nel gennaio 2012 avrà 60 anni di età e 36 anni di contributi avrebbe raggiunto la pensione di vecchiaia il 1° febbraio 2013. Con quanto previsto dal decreto potrà andare in pensione di vecchiaia a 66 e un mese nel 2018. Anche qui è stato introdotto uno scalone di ben cinque anni per ritardare il pensionamento.
Assai più penalizzante la condizione delle donne nel settore pubblico. Con la normativa attuale sarebbero andate in pensione dal 1° gennaio 2012 a 65 anni, con un salto immediato di 4 anni rispetto ai 61 con le norme vigenti prima che l'ex governo Berlusconi le modificasse in un sol colpo. Con il nuovo decreto si aggiunge un ulteriore anno portando l'età del pensionamento a 66 anni.

La speranza di vita
Tra l'altro, Monti ha confermato l'automatismo del legame tra età pensionabile e aspettativa di vita. Questo automatismo farà sì che nel 2021 l'accesso al trattamento pensionistico si avrà a 67 anni. Inoltre sarà adeguata agli incrementi di speranza di vita anche la soglia dei 70 anni. Ciò vuol dire che l'età del pensionamento di vecchiaia si spingerà oltre la soglia stessa dei 70 anni. Un fatto questo che riguarderà in particolare le nuove generazioni.

Pensione di anzianità
La pensione di anzianità (che la Fornero chiama con un certo disprezzo anticipata) è stata di fatto abolita; almeno nelle forme che conoscevamo sin qui, nonostante che sia stata negli anni più volte massacrata con modifiche peggiorative, a partire dalla cancellazione dei 35 anni di contributi indipendentemente dall'età anagrafica. La ministra di Monti ha infatti: cancellato le quote (il mix di età anagrafica e anni di contributi), ha aumentato gli anni di contributi necessari, andando oltre i 40 anni di lavoro e introducendo una soglia minima di età anagrafica sotto la quale si pagano penalizzazioni salate. Pertanto, per accedere alla pensione di anzianità, nel 2012 ci vorranno 41 anni e 1 mese di contributi per le donne, 42 e 1 mese per gli uomini. Nel 2013 tale requisito sarà aumentato di un mese e nel 2014 di un ulteriore mese.
Se è vero che nella nuova normativa sarà superata la finestra di scorrimento, è anche vero che è stato confermato il legame automatico del pensionamento all'aspettativa di vita che comporterà nel 2013 un incremento di tre mesi per il pensionamento e nel 2016 scatterà un ulteriore incremento di 4 mesi. Da rilevare che nella normativa attuale il legame automatico con l'aspettativa di vita non si applicava ai lavoratori con 40 anni di contributi. Ora invece varrà anche a loro con lo scopo di ritardare il ritiro dal lavoro. Mentre la penalizzazione del 2% per ogni anno di anticipo all'accesso al pensionamento di anzianità ha lo scopo di renderlo economicamente non conveniente.

Sistema contributivo per tutti
Un'altra caratteristica di questa controriforma pensionistica è quella di cancellare i diritti acquisiti per i lavoratori ancora attivi in attesa di maturare i requisiti della pensione. Che si riscontra per esempio nella decisione di attuare per tutti il calcolo contributivo pro-rata (meno favorevole) delle pensioni. Anche per quei lavoratori che nel 1995, anno in cui fu attuata la "riforma" previdenziale Dini, avevano maturato 18 anni di contributi e quindi conservarono il calcolo retributivo della pensione.

 
Blocco della rivalutazione delle pensioni
Tra i provvedimenti più odiosi, lo ripetiamo, c'è il blocco per due anni (2012 e 2013) della rivalutazione (già molto parziale) delle pensioni in base all'andamento dell'inflazione. Non tutte, bontà loro! Quelle superiori a 936 euro mensili lorde (pari al doppio di quella minima) che sono la stragrande maggioranza, 8 pensioni su 10. E pensare che in una prima stesura si salvavano solo le pensioni più basse di appena 468 euro mensili. Ai pensionati coinvolti, non saranno corrisposte le indicizzazioni previste pari al 2,6% per il 2012 e dell'1,9% per l'anno successivo. Con una perdita secca di almeno 240 euro l'anno per la prima fascia pensionistica interessata, a salire in modo progressivo per le altre superiori.
La rapina messa in atto dal nuovo governo ai danni dei pensionati vale 3,8 miliardi di euro per il primo anno e di 6,7 miliardi per il secondo. Il taglio di questa spesa pensionistica rimarrà permanente, non essendo previsto nessun risarcimento futuro. Vedremo se in parlamento sarà confermato o attenuato. Allo stato si tratta di una misura che spinge i pensionati verso la povertà già molto diffusa e in crescendo, come testimoniano recenti statistiche dell'Istat.

Lavoratori in mobilità
Spostando in alto i requisiti per andare in pensione si apre un problema molto serio che riguarda quei lavoratori delle aziende in crisi e sono tante che, con accordi sindacali, sono andati in mobilità o in cassa integrazione lunga in modo da arrivare alla pensione. Ora c'è il rischio che questi lavoratori al termine degli ammortizzatori sociali rimangano senza lavoro e senza salario. A questo proposito il governo ha previsto che per 50 mila di questi lavoratori in mobilità o in cassa integrazione rimangano le vecchie regole previdenziali. E se sono di più, come pare già evidente a una prima visione del problema? Inaccettabile questo limite artificioso!

Le richieste dei sindacati
Il taglio delle pensioni è stato uno dei motivi, se non il principale, che hanno spinto le tre confederazioni CGIL, CISL e UIL a proclamare, dopo tanti anni, uno sciopero generale unitario di 3 ore attuato il 12 dicembre. Insieme hanno sottoscritto un documento inviato a governo e parlamento per chiedere delle modifiche alla manovra che, per le pensioni significa: ripristinare il sistema di indicizzazioni attualmente in vigore; per le pensioni di anzianità, riconoscere una maggiore gradualità nell'abolizione delle cosiddette quote; equiparare il requisito contributivo per l'accesso al pensionamento, a prescindere dall'età anagrafica a 41 anni e 1 mese dal 2012 sia per uomini che per donne; eliminare la penalizzazione del 2% per ogni anno in caso di pensione anticipata prima dei 62 ani di età. Per le donne, i sindacati chiedono maggiore gradualità nell'accesso al pensionamento di vecchiaia; inoltre l'eliminazione del limite delle 50 mila unità per i lavoratori in mobilità per conservare il vecchio regime previdenziale; aumentare di almeno di 4 punti percentuali (il governo ne prevede solo due) delle aliquote di contribuzione previste per i lavoratori autonomi.
In queste richieste di modifica di Bonanni, Angeletti e Camusso c'è una logica meramente emendativa e per giunta al ribasso. Mentre c'è un'accettazione di fondo della controriforma Fornero-Monti. Perciò, anche se ottenessero qualcosina per esempio sulle indicizzazioni, in generale a noi pare una linea perdente in partenza.

14 dicembre 2011