Approvata definitivamente dal parlamento nero a colpi di fiducia la manovra del massacro sociale sponsorizzata da Napolitano. E costui risponde a muso duro alla Fiom e ai giuristi che gli chiedono di non firmarla 54 miliardi tutti sulle spalle delle masse popolari L'aumento dell'Iva costerà 385 euro a famiglia. Anticipato al 2014 l'aumento dell'età pensionabile per le lavoratrici del settore privato. Ridotti i tagli ai parlamentari. I grandi evasori non finiranno in carcere La polizia carica i manifestanti e i "Sindacati di base" che assediano montecitorio Il 7 settembre al Senato e il 14 alla Camera il parlamento nero ha approvato a colpi di voti di fiducia la manovra del massacratore sociale Berlusconi, sponsorizzata da Napolitano e benedetta da Bruxelles. Una manovra ulteriormente aggravata dai rimaneggiamenti all'ultimo tuffo chiesti espressamente dal Quirinale per renderla "più credibile" agli occhi della Banca centrale europea (BCE), dopo il "lunedì nero" del 5 settembre che aveva visto un crollo del 5% della Borsa di Milano e schizzare verso quota 400 il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, e alla vigilia della riunione della BCE che doveva decidere se continuare ad acquistare i nostri titoli per evitare il fallimento dell'Italia. "Bisogna inserire nella manovra misure più efficaci, nessuno può sottovalutare il segnale allarmante che arriva dai mercati", aveva avvertito Napolitano in un inatteso messaggio alle forze parlamentari che si accingevano a esaminare il provvedimento, suggerendo anche in via riservata a Berlusconi e Tremonti di "rafforzare" la manovra inserendo l'aumento dell'Iva e un "intervento strutturale" sulle pensioni, nonché di anticipare l'approvazione della manovra a prima della riunione di Bruxelles. Musica per le orecchie del neoduce, che non aspettava altro che un nuovo alibi dal Quirinale e da Bruxelles per tornare alla carica con l'aumento dell'Iva, da lui sempre proposto ma regolarmente stoppato da Tremonti. E per rimettere le mani sulle pensioni, dopo la figuraccia del precipitoso ritiro del taglio degli anni di università e di militare riscattati nelle pensioni di anzianità. Da qui una nuova frenetica trattativa con Tremonti e con la Lega per una ennesima modifica in corsa del maxiemendamento governativo presentato al Senato, che alla fine si è conclusa con l'inserimento dell'aumento di un punto dell'aliquota Iva del 20%, e con l'anticipo dal 2016 al 2014 dell'aumento progressivo dell'età pensionabile a 65 anni anche per le lavoratrici del settore privato. Berlusconi avrebbe voluto far partire l'aumento dell'età pensionabile già dal prossimo anno e tagliare anche le pensioni di anzianità per tutti, ma a questo la Lega si è per ora opposta: aveva già abbastanza problemi per far digerire alla propria base il voltafaccia sulla promessa che giammai avrebbe accettato che si mettessero le mani sulle "pensioni del Nord", tanto che Bossi ha dovuto disdire un comizio a Treviso, per timore di contestazioni. Ma se ne riparlerà certamente molto presto, forse in una manovra aggiuntiva da inserire nella legge Finanziaria, insieme alla svendita ai privati dei beni pubblici e delle aziende di Stato. Come c'è da aspettarsi anche il ritorno del condono tombale (fiscale, edilizio e previdenziale insieme), che Berlusconi non ha mai smesso di accarezzare, tanto che lo ha fatto inserire in un ordine del giorno, a firma del suo recente acquisto Scilipoti, approvato insieme alla manovra. Rispunta una (mini) "tassa di solidarietà" Come foglia di fico in cambio dell'aumento dell'età pensionabile (il "do ut des" rivelato da Berlusconi alla festa dei rampolli fascisti di "Atreiu"), Bossi e Tremonti hanno voluto la reintroduzione del "contributo di solidarietà" a carico dei redditi medio-alti, quello che aveva fatto "sanguinare il cuore" al neoduce e che era riuscito a far sparire, ma solo per i dipendenti privati, autonomi e professionisti. Ma ad ogni modo ha fatto di tutto perché fosse ridotto a una misura puramente simbolica, il 3% (detraibili) per i redditi sopra i 300 mila euro l'anno, una misura che tocca appena 34 mila contribuenti, lo 0,075% del totale, e che frutterà solo 144 milioni in tre anni. Una norma oltretutto clamorosamente iniqua e anticostituzionale, poiché non solo stabilisce una odiosa disparità di trattamento con i dipendenti pubblici e i pensionati, che restano tassati ancora al 5% sopra ai 90 mila euro e al 10% sopra i 150 mila, e per giunta non detraibili, ma anche perché questi ultimi verrebbero tassati tre volte, dovendo subire anche un'ulteriore aliquota del 3% per la quota eccedente i 300 mila euro. Mentre i super ricchi sarebbero tassati solo un'unica volta al 3%. E i rentiers la farebbero addirittura del tutto franca, poiché le rendite non entrano in dichiarazione dei redditi essendo tassate alla fonte. Voto di fiducia in un parlamento assediato Per soprammercato il neoduce ha ottenuto la drastica riduzione del contributo a carico dei parlamentari con doppia attività e un ulteriore allentamento delle misure "antievasione". Dopo la cancellazione dei nomi dei contribuenti dalle dichiarazioni dei redditi online e dell'obbligo di inserire i dati bancari in dichiarazione, già decisa con le precedenti modifiche, ha voluto e ottenuto anche un ultimo blitz sulla norma "manette agli evasori", quella che vietava la concessione della condizionale a chi evade più di 3 milioni, già evirata peraltro dalla mancata retroattività: ha fatto inserire cioè la postilla che tale somma deve rappresentare almeno il 30% del fatturato dell'azienda. Per puro caso rientrano in questa casistica anche i contenziosi fiscali in cui sono coinvolte le aziende del premier, come ad esempio la Mondadori. Oltre a tutto ciò, nel vertice a Palazzo Grazioli del 6 settembre, è stato deciso anche di blindare il maxiemendamento così modificato col voto di fiducia, il 49° di questo governo neofascista dal suo insediamento, in modo da avere la manovra già licenziata dal Senato il giorno dopo e approvata definitivamente dalla Camera la settimana successiva. Cosa che è stata sbrigata senza problemi da un parlamento nero per metà al soldo del nuovo Mussolini e per l'altra metà imbelle e rassegnata a fare solo presenza per non far mancare il numero legale. Mentre invece fuori dalle due aule, risuonava la protesta dei "sindacati di base" e dei manifestanti che hanno assediato Palazzo Madama e Montecitorio per tutta la durata delle due votazioni. Entrambe le manifestazioni sono state duramente caricate dalla polizia, con i manifestanti respinti a furia di manganellate e lacrimogeni che però non si sono dispersi, ma hanno percorso in corteo il centro di Roma portando la protesta anche davanti a Palazzo Grazioli, residenza del nuovo Mussolini. Il blitz su Iva e pensioni Con questi ulteriori peggioramenti la manovra approvata dal Senato sale da 45,5 a 54 miliardi di qui al 2013, senza contare la delega fiscale e assistenziale destinata a far salire la stangata a oltre 70 miliardi. E tutti, per un verso o per l'altro, a carico dei lavoratori e delle masse popolari. Secondo proiezioni della Cgia di Mestre, gli effetti combinati della manovra di luglio e di quella di ferragosto emendata, produrranno in media un salasso di circa 5.700 euro a famiglia da qui al 2014. Il solo aumento dell'Iva massima dal 20 al 21%, che la rende tra le più alte d'Europa, e che frutterà un gettito di 4,3 miliardi l'anno, costerà secondo i primi calcoli delle associazioni dei consumatori circa 385 euro a famiglia. All'aumento dei generi direttamente interessati si aggiungerà infatti anche quello indiretto dei generi di prima necessità e agevolati, attualmente tassati al 4 e al 10%, per effetto dei rincari di benzina, trasporti e costi di produzione vari. L'aumento dell'età pensionabile per le donne del settore privato (nel pubblico era già entrato in vigore l'anno scorso), anticipato al 2014 dopo che già era stato avvicinato al 2016 nella versione di ferragosto, dovrebbe portarle a 65 anni come per gli uomini nel 2026 e non più nel 2032. Ma per effetto del sommarsi dello slittamento delle finestre di uscita e dell'adeguamento dell'età pensionabile alle aspettative di vita, si stima che raggiungeranno i 65 anni già nel 2022. mentre nel 2026 andranno in pensione non a 65, bensì a 67 anni e 7 mesi. Beffa sui tagli alla "casta" e sulle "misure antievasione" Le modifiche alle norme di "moralizzazione" dei privilegi della "casta" e a quelle "antievasione", poi, sono una vera e propria beffa. Il taglio già irrisorio della indennità solo per i parlamentari che hanno anche un reddito autonomo superiore del 15% dell'indennità stessa, scende dal 50% secco al 20% per la quota sopra i 90 mila e al 40% per la quota sopra 150 mila euro. É stato calcolato quindi che un parlamentare che guadagna 20 mila euro lordi extra (il 15% dell'indennità pari a 134.124 euro annui), non ne perderà più 67.062 come stabilito nella manovra versione ferragosto, bensì solo 8.800: un bel regalo del neoduce per tenersi stretta la maggioranza in parlamento. Quanto alle norme "antievasione", non solo non è stato aggiunto nulla al maxiemendamento per far pagare chi evade ed elude le tasse, quel 10% cioè di ricchi (altro che solo lo 0,075%!) che possiedono il 45% della ricchezza nazionale, ma sono stati oltretutto graziati anche dalla galera se evadono più di 3 milioni, se la somma evasa non supera il 30% del fatturato dell'azienda. Il che favorisce sfacciatamente le grandi aziende, proprio quelle cioè che rappresentano il grosso dei 120 miliardi annui di evasione stimata. L'arroganza di Napolitano contro gli appelli a non firmare Ovviamente abbiamo parlato qui solo delle ultime modifiche alla manovra, che per il resto ha mantenuto invariate tutte le altre misure inique, antipopolari, fasciste e anticostituzionali che abbiamo già trattato in precedenza in altri articoli su "Il Bolscevico": a cominciare dal famigerato articolo 8 della manovra, che sopprime di fatto i contratti nazionali e lo Statuto dei lavoratori, introduce la libertà di licenziamento e legalizza le nuove relazioni industriali mussoliniane introdotte da Marchionne con gli "accordi" capestro di Pomigliano e Mirafiori. A cui si aggiungono l'anticipazione di fatto delle modifiche liberiste e federaliste alla Costituzione attraverso le norme sulle liberalizzazioni e privatizzazioni (art. 4), i tagli ai ministeri, alle regioni e agli enti locali, i ticket sanitari, il blocco delle liquidazioni dei dipendenti pubblici per due anni, la stretta sulle cooperative, l'imposta di bollo del 2% sul trasferimento di soldi all'estero degli immigrati, la soppressione delle piccole procure per mettere sotto controllo i pm troppo intraprendenti, il collegato sulla "riforma" fiscale e assistenziale che taglierà spietatamente tutte le detrazioni fiscali nelle buste paga e le pensioni di reversibilità e invalidità, e così via. Sul carattere fascista e anticostituzionale dell'art. 8 voluto a tutti i costi dal gerarca nero al "Lavoro e Welfare", Sacconi, la dimostrazione più lampante e indecente viene dallo stesso Marchionne, che dal salone dell'auto di Francoforte ne ha apprezzato "la chiarezza bestiale", sentenziando che con esso "quello che ci serviva ci è stato dato". Una dichiarazione talmente sfacciata, per spirito revanscista antioperaio e disprezzo verso i diritti dei lavoratori sanciti dalla Costituzione, da giustificare ampiamente l'appello che nell'ambito della richiesta di stralcio e non conversione in legge dell'art. 8, il segretario della Fiom, Landini, rivolgeva al capo dello Stato "in quanto garante della nostra Carta costituzionale", a non firmare "una legge in contrasto con i principi costituzionali". Appello a cui però il nuovo Vittorio Emanuele III rispondeva picche, con una nota dal tono arrogante in cui si dichiarava sorpreso "che da parte di una figura di rilievo del movimento sindacale si rivolgano al Presidente della Repubblica richieste che denotano una evidente scarsa consapevolezza dei poteri e delle responsabilità del capo dello Stato". Una risposta infastidita e a muso duro che valeva implicitamente anche per l'appello rivoltogli dal gruppo di giuristi che hanno elaborato i quesiti referendari sull'acqua pubblica, e che hanno promosso una raccolta di firme sull'incostituzionalità dell'art.4 della manovra, invitandolo a non promulgarlo per impedire "che la fretta di privatizzare e liberalizzare ulteriormente l'economia al di fuori di una struttura di principi giuridici solidi e condivisi, lungi dal fare l'interesse del popolo italiano", finisca per fare invece quello "degli speculatori internazionali che hanno generato la crisi". Ancora una resa totale della "opposizione" parlamentare Al plauso ufficiale della Confindustria per le misure che "rafforzano l'efficacia della manovra", e a quello del nuovo Vittorio Emanuele III e della BCE, ha fatto riscontro anche stavolta la resa totale della "opposizione" parlamentare, che pur votando contro si è guardata bene, obbedendo alle raccomandazioni del Quirinale, dall'ostacolare in qualsiasi modo la fulminea approvazione della manovra da massacro sociale. Le flebili proteste che si sono levate in parlamento sono state esclusivamente per il metodo (il voto di fiducia) e non sul merito (la manovra stessa). Del resto lo stesso PD, per bocca del liberale Bersani e altri dirigenti di quel partito, non aveva ripetuto fino alla noia che sui saldi, vale a dire sull'entità del massacro, non aveva nulla da eccepire? È anche per questo che il 6 settembre, alla festa democratica di Genova, il rinnegato D'Alema è stato contestato da decine di manifestanti che gli hanno urlato: "Vergogna, vergogna, state avallando i provvedimenti del governo, questa non è opposizione". Ed è giusto, perché solo sollevando la piazza, e non con l'opposizione di cartone della "sinistra" borghese, si può affossare la manovra e abbattere il massacratore sociale Berlusconi. 21 settembre 2011 |