Marcegaglia risponde a Marchionne sulla rottura della FIAT con Confindustria "Non vi è contrasto tra l'accordo del 28 giugno e l'articolo 8" "Le imprese possono accedere alle deroghe e alle flessibilità che ambedue offrono, fino al recesso del rapporto di lavoro" Il vergognoso silenzio della Camusso All'indomani della clamorosa decisione, assunta il 3 ottobre scorso, dall'amministratore delegato della FIAT, il nuovo Valletta Sergio Marchionne, di uscire da Confindustria, Emma Marcegaglia ha preso carta e penna per scrivere una lettera aperta ai presidenti delle associazioni di categoria di Confindustria per dire che la scelta della FIAT va rispettata in quanto l'adesione a Confindustria è e non può che essere libera e volontaria. Ma allo stesso tempo per esprimere il "disappunto per le motivazioni che sono state adottate". Di cosa si tratta? Marchionne aveva sostenuto che la firma definitiva dell'accordo interconfederale del 28 giugno aveva "fortemente ridimensionato le aspettative sull'efficacia dell'articolo 8, con il rischio "di snaturare l'impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale". Da qui l'annuncio di uscire dall'associazione degli industriali a far data dal 1° gennaio 2012, per poter "utilizzare la libertà d'azione applicando in modo rigoroso le nuove disposizioni di legge". Una tesi questa, che la Marcegaglia gli contesta in modo esplicito e netto. "Non vi è contrasto - scrive - tra le due fondamentali innovazioni introdotte negli ultimi mesi", l'accordo del 28 giugno e l'articolo 8 della manovra del governo. "Non è vero - aggiunge - che vi sia una qualsiasi oggettiva convenienza a lasciare Confindustria. "Stare dentro il sistema associativo non significa in alcun modo rinunciare a utilizzare gli strumenti legislativi che l'articolo 8 mette a disposizione delle imprese". Ogni imprenditore, insiste sul punto, "può beneficiare di tutte le flessibilità dell'accordo del 28 giugno e dell'articolo 8". Può cogliere "le opportunità che offre l'art. 8 di derogare in azienda attraverso accordi sindacali anche a disposizioni di legge" delicate come quelle che riguardano "le conseguenze del recesso del rapporto di lavoro", cioè il diritto al reintegro nel posto di lavoro a fronte di un licenziamento senza "giusta causa". A sostegno di questa conclusione il presidente di Confindustria cita il parere dei principali giuristi del lavoro e chiama in causa il ministro Maurizio Sacconi che aveva detto: "L'articolo 8 non è stato né depotenziato né sterilizzato dall'accordo del 28 giugno". A proposito dell'accordo, tiene a sottolineare che esso introduce "un sistema di relazioni industriali moderno, regolato ma non certo ingessato". Che "per la prima volta dà certezze ed esigibilità al contratto aziendale e permette intese modificative molto ampie per cogliere opportunità... per gestire al meglio le ristrutturazioni". Aldilà di qualsiasi altra considerazione, la presa di posizione della Marcegaglia ha il pregio di spazzare via le ambiguità e le ipocrisie che hanno accompagnato la firma definitiva dell'accordo interconfederale del 28 giugno da parte di Confindustria e di CISL, UIL e CGIL. Ecco quali. Esso, non metterebbe in discussione il contratto nazionale di lavoro, cosa non vera dal momento che a livello aziendale si può derogare dalle norme contrattuali nazionali. Lo stesso avrebbe depotenziato e neutralizzato l'articolo 8 e la sua forza distruttiva dei diritti dei lavoratori. Cosa non vera non solo perché la legge è sempre più forte di un accordo sindacale, ma anche perché la maggioranza dei cofirmatari ne danno una interpretazione opposta. Proprio su queste bugie, su questi inganni, Susanna Camusso, segretario generale della CGIL aveva giustificato di fronte agli iscritti e ai lavoratori l'adesione della Confederazione al suddetto accordo. Il suo silenzio vergognoso sulla vicenda è molto significativo, il fatto che non dica una parola finisce per avvalorare quanto sostenuto dal presidente di Confindustria. 19 ottobre 2011 |