Emarginata la Fiom Marchionne porta la Panda a Pomigliano alle sue condizioni Lettera ruffiana dell'ad per coinvolgere i lavoratori nel piano antioperaio e anticostituzionale della Fiat Sospensioni di operai a Pomigliano, Melfi e Mirafiori Alla fine, il vertice della Fiat ha deciso arrogantemente di ignorare l'ampio dissenso che si era manifestato nel referendum, con quasi il 40% di voti contrari, ha deciso di rifiutare la richiesta della Fiom di riaprire la trattativa per raggiungere un accordo condiviso da tutti, però nel rispetto del contratto nazionale di lavoro, delle leggi e delle garanzie costituzionali, come il diritto di sciopero, il diritto alla salute e la tutela contro i licenziamenti "ingiustificati". Ha deciso, dopo aver minacciato di delocalizzare in Polonia oppure di creare una nuova società dalla quale escludere tutti gli oppositori al diktat di Marchionne, di andare avanti nel piano annunciato che consiste in un investimento di 700 milioni di euro e nella produzione della nuova Panda, 280 mila esemplari l'anno, nello stabilimento di Pomigliano con i sindacati complici che hanno firmato l'accordo separato il 15 giugno scorso. Via libera al piano L'amministratore delegato, Sergio Marchionne, il 9 luglio ha convocato al Lingotto di Torino i segretari di Fim-Cisl e di Uilm-Uil Giuseppe Farina e Rocco Palombella, e il segretario della Fismic, Roberto Maulo. C'erano anche i segretari generali di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti; escluse invece sia la Fiom che la Cgil, per fare firmare loro un'intesa di attuazione del piano che ingloba senza alcuna modifica il suddetto accordo separato che instaura relazioni industriali di stampo neofascista. L'Ugl non era presente ma aveva già dato, in separata sede, il suo assenso. Un accordo capestro questo che, ricordiamolo, non ha precedenti nella storia sindacale degli ultimi 60 anni, che impone condizioni di lavoro durissime con turni 24 ore su 24 per sei giorni alla settimana, sabati e domeniche mattina compresi, riduce il tempo delle pause nelle catene di montaggio, sposta a fine turno la pausa mensa, porta a 120 le ore di straordinario obbligatorio e non contrattato sindacalmente, in certi casi non paga i primi tre giorni di malattia, azzera i precedenti contratti aziendali, introduce una clausola che impedisce ai lavoratori di contestare uno qualsiasi dei punti dell'accordo, men che meno scioperare, pena il licenziamento e una clausola per i sindacati con pesanti sanzioni e limitazioni di agibilità sindacale. Un accordo che, insomma, con un colpo solo deroga dal contratto nazionale, dallo Statuto dei lavoratori e da principi costituzionali. Raggianti i vari Bonanni e Angeletti al termine della riunione. È una svolta storica - ha affermato il primo - per le relazioni industriali e per l'economia italiana". "Non è mai successo in nessun paese che un'azienda decida di rilocalizzare" ha detto il secondo, aggiungendo: "il progetto va avanti grazie alla nostra intesa". Non importa se al prezzo di sudore e sangue dei lavoratori, vero signor Angeletti? E la chiusura di Termini Imerese dove la mettiamo? Anche per il ministro del Lavoro, il berlusconiano Maurizio Sacconi: "Èun accordo storico da esportare in altre imprese. Sono stati sconfitti - ha aggiunto in perfetto stile fascista - gli anti-italiani e i salotti cialtroni anti-Mezzogiorno". La reazione di Cgil e Fiom Debole e fin troppo diplomatica la reazione del segretario della Cgil, Guglielmo Epifani: "La decisione di incontrare solo due sigle - ha detto - è un fatto senza precedenti da parte della Fiat. Ognuno può incontrare chi vuole, ma è sbagliato scegliersi gli interlocutori al semplice scopo di farsi dar ragione. Questo - ha concluso - apre un problema formale di rapporti tra noi e la Fiat". Più duro Maurizio Landini, segretario generale della Fiom che ha affermato: "La Fiat ha scelto di procedere... sulla base dell'accordo separato che contiene deroghe al Contratto nazionale, alle leggi e violazioni costituzionali che può aprire la strada alla demolizione del Ccnl ed un peggioramento delle condizioni di lavoro. Ciò può contribuire al progetto del governo di smantellamento dello Statuto dei lavoratori". Per la Fiom è utile l'investimento a Pomigliano se esso permette di rafforzare l'occupazione, anche per l'indotto, ma rimane centrale l'impegno "al rispetto del Contratto nazionale, dei diritti e la dignità di chi lavora, da Pomigliano a tutto il resto del gruppo Fiat". Mentre siglava con Cisl, Uil, Fismic e Ugl il via libera al piano per Pomigliano Marchionne ha reso pubblica una "lettera aperta" ai lavoratori del gruppo Fiat. Una lettera ruffiana, scritta con un tono paternalistico nel tentativo di convincerli e coinvolgerli nel suo progetto che comporta fortissime rinunce e pesantissimi sacrifici. Una lettera ipocrita, ingannatoria, pretenziosa, intrisa di interclassismo, di più, di neocorporativismo, che culturalmente e politicamente ricorda il corporativismo del ventennio fascista. L'amministratore delegato della multinazionale torinese presente in Polonia (Tychy), Brasile (Betin), Argentina (Cordoba), Serbia (Kragujevac) e Turchia (Bursa) e ora con la Crysler anche in Canada e negli Usa, ci tiene a presentarsi come salvatore della patria. Vorrebbe far credere che il suo piano è per il bene degli operai (non per gli sporchi profitti dell'azienda), che gli interessi dei lavoratori sono identici a quelli dei padroni, che i sacrifici richiesti sono per il bene dell'Italia (capitalistica), specie in una situazione di crisi come l'attuale. È la solita vecchia storia del siamo tutti nella stessa barca e se affonda affondiamo tutti. La favola della Fiat per i lavoratori Ecco alcune perle. "Vi scrivo da uomo... abbiamo la possibilità di costruire insieme in Italia qualcosa di grande... Ci troviamo in una situazione delicata... Si tratta di un futuro che riguarda tutti noi". "La crisi ha reso più evidente e, purtroppo, per molte famiglie, anche più drammatica la debolezza della struttura industriale". Bontà sua Marchionne riconosce "che alla fine sono i lavoratori a pagarne direttamente - e senza colpa - le conseguenze". Ma è un'affermazione strumentale: non si deve credere che gli stiano effettivamente a cuore le condizioni dei lavoratori. Gli interessa solo la crescita della competitività da realizzarsi con un aumento dello sfruttamento, la riduzione del "costo del lavoro" e la cancellazione del conflitto sindacale. "Il vero obiettivo del progetto - scrive infatti - è colmare il divario competitivo che ci separa dagli altri". Per Marchionne, nella globalizzazione dei mercati non c'è alternativa. "La Fiat - scrive - è una multinazionale che opera in tutto il mondo. Se vogliamo che anche in Italia cresca... dobbiamo accettare la sfida e imparare a confrontarci con il resto del mondo... Le regole della competizione non l'abbiamo scelte noi... L'unica cosa che possiamo scegliere è se stare dentro o fuori dal gioco". "L'accordo che abbiamo raggiunto ha l'unico obbiettivo di assicurare alla fabbrica di funzionare al meglio". "Non abbiamo intenzione di toccare nessuno dei vostri diritti - afferma sapendo di mentire - non stiamo violando alcuna legge o tanto meno la Costituzione italiana". Non esiste nessuna contrapposizione tra azienda e lavoratori, tra operai e padroni, sostiene Marchionne, rivelando la sua concezione di stampo corporativo fascista. "Si tratta di costruire insieme il futuro che vogliamo, non può esistere nessuna logica di contrapposizione interna. Questa - afferma gonfiando il petto - è una sfida tra noi e il resto del mondo". E continua in crescendo: "c'è bisogno di uno sforzo collettivo, una specie di patto sociale per condividere impegni, responsabilità e i sacrifici" per il bene comune e del Paese. Certo, lo sforzo deve essere "collettivo" ma i frutti poi se li pappa il padrone. Balle, balle, balle! Marchionne si illude. Gli operai sanno benissimo che i loro interessi sono diametralmente opposti a quelli dei padroni, che a loro spetta di lavorare duro per un tozzo di pane e senza garanzie per il futuro e agli altri i profitti, proventi da nababbi, ville al mare e bella vita. D'altronde gli effetti devastanti delle nuove relazioni industriali volute dal vertice Fiat si fanno già sentire. "Nel giro di pochi giorni, a Pomigliano, Melfi e Mirafiori - denuncia la Fiom - siamo in presenza di lettere di contestazione e sospensione rivolte a delegati sindacali e iscritti alla Fiom - che rischiano di preludere ai licenziamenti - che mettono in discussione i diritti e le agibilità sindacali che hanno portato unitariamente le lavoratrici e i lavoratori ad azioni di mobilitazione". Questi atti repressivi della Fiat sono volti a soffocare le agitazioni sindacali in corso a Melfi per protestare contro la decisione unilaterale della direzione di aumentare la produzione del 10% con lo stesso personale mentre tanti lavoratori sono in cassa integrazione e negli altri stabilimenti del Gruppo per ottenere il pagamento del "premio di risultato" già dimezzato nel 2009 e che tarda ad essere erogato. 14 luglio 2010 |