Dopo il proclama mussoliniano di Berlusconi che ha invocato la polizia contro le occupazioni di scuole e università Maroni pronto a intervenire per reprimere le lotte studentesche Per il momento preferisce sospendere la minaccia, costringendo il neoduce a una parziale smentita di se stesso "Vorrei dare un avviso ai naviganti, molto semplice: non permetteremo che vengano occupate scuole e università. Perché l'occupazione di posti pubblici non è una dimostrazione, un'applicazione di libertà; non è un fatto di democrazia. È una violenza: nei confronti degli altri studenti, nei confronti delle famiglie, nei confronti delle istituzioni, nei confronti dello Stato. Convocherò oggi il ministro degli Interni e darò a lui istruzioni dettagliate su come intervenire attraverso le forze dell'ordine per evitare che questo possa succedere". Questo l'inaudito proclama mussoliniano con cui Berlusconi, affiancato dalla sua gerarca Gelmini, ha invocato l'intervento della polizia nelle scuole e nelle università per stroncare il movimento di lotta che sta dilagando in tutta Italia e che evidentemente comincia a spaventarlo. Chiamato in causa in questo modo spiccio e autoritario, come fosse un qualunque manager di una delle sue aziende pronto a prendere ordini dal "capo", Maroni pare che prima abbia mostrato sorpresa e incredulità, poi irritazione per quella che gli è parsa un'invasione in un campo di sua competenza; infine, convocato d'urgenza insieme al sottosegretario Mantovano (AN) a Palazzo Grazioli, avrebbe espresso al premier la sua contrarietà ad attuare in questa fase una richiesta tanto grave e perentoria quanto gravida di rischi e di incognite, di fronte a un movimento così esteso e in ascesa come quello degli studenti, che godono anche dell'appoggio di gran parte del corpo insegnante e dei genitori, dall'asilo fino all'università. Anche perché tra questi ultimi ci possono essere elettori del suo stesso partito. Coro di indignazione e di proteste Preoccupazioni, quelle del ministro degli Interni leghista, ben fondate, visto che la provocazione mussoliniana del neoduce aveva immediatamente infiammato la lotta nelle scuole, moltiplicando subito le occupazioni e i cortei di protesta. A cominciare da quello spontaneo e non autorizzato che la mattina dopo, muovendo dalla Sapienza, ha sfilato in massa per le vie di Roma per andare a contestare la gerarca Gelmini davanti al Senato, mentre stava facendo il suo intervento in aula. Senza contare il coro di indignazione e di proteste che l'intimidatorio e protervo intervento del neoduce aveva sollevato nei corpi accademici, tra i presidi e i rettori di molte facoltà ed atenei in tutta Italia, occupati o no, tra i giornalisti, da lui accusati di propalare false notizie sulle dimensioni della protesta e minacciati di farli richiamare all'ordine tramite intervento sui loro direttori di testata, e via elencando. Detto per inciso si è distinto invece per stoltezza il bertinottiano Gennaro Migliore, che per attaccare l'intervento di Berlusconi non ha trovato di meglio che evocare Giuseppe Stalin e i carriarmati sovietici a Praga e Budapest. Persino dalle forze di polizia erano venuti segnali di inquietudine, per il ruolo di cieco strumento di repressione di un legittimo dissenso di massa a cui il neoduce pretendeva di chiamarle: "È un grave errore - aveva dichiarato facendosi interprete di questo disagio il segretario del sindacato di polizia Silp-Cgil, Claudio Giardullo - inasprire lo scontro sociale nel Paese, specie quando si discute di riforme dei diritti fondamentali come l'istruzione e il lavoro". Di fronte alle motivate riserve del suo ministro Berlusconi ha dovuto perciò prenderne atto, cavandosela con una formuletta che scaricava la patata bollente nelle sue mani: "Non voglio violenza ma pretendo che tutti possano studiare. Vedi tu come, trova tu la soluzione". Non che con questo egli intendesse accantonare del tutto l'idea di una soluzione "militare" per riportare l'"ordine" nelle scuole e nelle università, come quelle che lui ha già sperimentato nei mesi scorsi a Napoli e prima ancora a Genova nel 2001. GlieIo aveva già chiesto Feltri sul suo fogliaccio neofascista e razzista "Libero", e glielo ha ricordato anche il capo dei gladiatori Cossiga, che se ne intende, suggerendogli di infiltrare il movimento di agenti provocatori per scatenare disordini e dare così il pretesto alle "forze dell'ordine" di "mandare all'ospedale" quanti più studenti, professori e persino "maestre ragazzine" possibile per stroncare le lotte e le occupazioni. Semplicemente il neoduce ha dovuto smorzare tatticamente un po' i toni per non rischiare un effetto boomerang. Tant'è vero questo che il giorno dopo, durante il pranzo con gli industriali e i banchieri a Palazzo Madama prima di volare in Cina per il summit sulla crisi mondiale, non ha perso l'occasione per vantarsi che "con me è finalmente tornato lo Stato". E in tutte le sue dichiarazioni successive non ha fatto che alternare le forzature presidenzialiste e fasciste con la faccia di bronzo del "sincero democratico" vittima della disinformazione della stampa che distorce il senso del suo vero pensiero. Come quando da Pechino, dopo aver incassato l'imbarazzo dei suoi stessi alleati di AN e Lega nel seguirlo sul terreno dello scontro immediato e frontale col movimento di lotta nelle scuole e nelle università, ha dovuto abbozzare una parziale e sconcertante smentita di se stesso, negando sfacciatamente di aver "mai detto né pensato" a un intervento della polizia; salvo poi ricominciare a parlare di una "minoranza" di studenti "facinorosi" con il "supporto dei giornali" che monopolizzano le manifestazioni e ledono i diritti degli altri che vogliono imparare; ai quali occorre - ha insistito - garantire "la possibilità di non essere disturbati da costoro". Vertice al Viminale per "monitorare" le lotte studentesche Comunque, per dar seguito alle richieste del neoduce, il giorno dopo il suo proclama mussoliniano si è tenuto un vertice al Viminale definito "riunione tecnica" per "monitorare" le manifestazioni e le occupazioni in corso e programmate, con la partecipazione del capo della polizia Manganelli, il capo di stato maggiore dell'arma dei carabinieri Gallitelli, il direttore dell'Aisi Piccirillo e il vicecapo di gabinetto del ministero degli Interni Piscitelli. Anche se, per marcare la sua irritazione per la mancanza di riguardi del premier, Maroni non ci è andato ma l'ha fatto presiedere dal suo vice Mantovano. Nel comunicato emesso al termine del vertice si ribadisce "la necessità di tenere costantemente aggiornato il quadro informativo, che presenta elementi di fluidità, con una permanente analisi delle ipotesi di rischio". Si ricorda poi che dal 1° al 23 ottobre si sono tenute circa 300 manifestazioni nell'intera penisola, con 150 scuole e 20 facoltà occupate, col che è lo stesso Viminale a smentire Berlusconi e la Gelmini quando parlano di "infime minoranze" di contestatori. E dopo aver assicurato che sarà garantita "piena possibilità di dissenso, purché espresso nel rispetto della legge e degli altrui diritti", si lanciano velate ma chiarissime minacce ai rivoltosi confermando "fermezza e determinazione nel prevenire qualsiasi tipo di degenerazione violenta, i cui responsabili saranno identificati e denunciati all'autorità giudiziaria". E a questo proposito si investono i rettori e i presidi della responsabilità di "permettere la continuità didattica e rafforzare la prevenzione di possibili atti violenti". Un chiaro avvertimento "ai naviganti" che suona più o meno così: per il momento la minaccia del neoduce resta sospesa e la polizia rimane fuori dalle scuole e dalle università, anche perché non ci potrebbe entrare senza essere chiamata dai presidi e dai rettori. Ma le tiene attentamente sotto tiro, ed è pronta a intervenire non appena le si offrisse il pretesto. Che potrebbe essere creato, per esempio, dalle provocazioni dei gruppi studenteschi berlusconiani o dai fascisti infiltrati nel movimento per disgregarlo e deviarlo dai suoi giusti obiettivi. 29 ottobre 2008 |