Interessante iniziativa del gruppo informazione studentesco Martenghi discute di Mao e della sua opera al liceo Pasteur di Roma Il rappresentante del PRC diserta il confronto Dal corrispondente della Cellula "Rivoluzione d'Ottobre" di Roma Lunedì 19 dicembre si è svolto nei locali del Liceo scientifico statale Pasteur di Roma, durante la settimana di didattica alternativa, un dibattito sulla vita e l'opera di Mao Zedong. Il dibattito si è svolto in un'aula dell'edificio e ha riscosso una buona partecipazione da parte degli studenti e dei docenti. Gli oratori invitati erano la compagna Monica Martenghi del PMLI e Nando Simeone, vicepresidente della provincia di Roma, di Rifondazione Comunista, il quale, però, non si è presentato senza fornire alcuna giustificazione. Un dibattito che è spaziato dalle caratteristiche della Rivoluzione d'Ottobre e la rivoluzione cinese, dai rapporti fra l'Urss e la Cina prima e dopo la morte di Stalin, il colpo di Stato kruscioviano del XX Congresso del PCUS e il contributo di Mao allo smascheramento del revisionismo e del socialimperialismo sovietico, la controrivoluzione ungherese, la questione del Tibet, le caratteristiche dello Stato socialista e il comunismo, la violenza rivoluzionaria e la violenza controrivoluzionaria. Il dibattito è iniziato con un intervento di Emiliano, uno degli studenti organizzatori dell'evento, durante il quale ha descritto gli episodi salienti della vita di Mao. Dopodiché sono iniziate le domande da parte degli studenti alla compagna Monica. La prima domanda posta riguardava il rapporto tra la rivoluzione socialista russa e quella cinese. Dopo un breve saluto ai presenti, la compagna Monica ha provveduto a chiarire che rapporto ci fosse tra la rivoluzione russa e quella cinese, denunciando innanzitutto i tentativi dei revisionisti di far passare la rivoluzione cinese come un'alternativa alla rivoluzione russa. La compagna ha colto l'occasione per invitare gli studenti a non accontentarsi di leggere la storia nei libri ufficiali della borghesia, in quelli scolastici o apertamente anticomunisti come il "Libro nero del comunismo" di Berlusconi perché la storia, come qualsiasi altro avvenimento, può essere letta da due punti di vista diversi e contrapposti, quello borghese e quello proletario e occorre sempre andare alla fonte. In questo caso non si può sapere cosa è stata la rivoluzione cinese se non si legge ciò che Mao, che ne è stato il principale artefice, ha scritto a questo proposito. Date le differenti situazioni concrete nei due paesi, la rivoluzione non poteva essere completamente identica in Russia e in Cina. Le due rivoluzioni, pur differenziandosi sul piano tattico, sono invece identiche sul piano strategico: entrambe avevano infatti come obiettivo l'eliminazione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, la conquista del potere politico da parte del proletariato e l'instaurazione della dittatura del proletariato. Nonostante la rivoluzione cinese sia stata per gran parte opera dei contadini, essa vide senza alcun dubbio la classe operaia e il suo Partito, il Partito comunista, nel ruolo di guida nel processo rivoluzionario. Mentre la compagna Monica Martenghi si soffermava sullo stretto legame tra la rivoluzione che portò alla nascita della Repubblica popolare cinese e quella che portò alla nascita dell'URSS, un'insegnante ha chiesto se il tentativo di controrivoluzione ungherese del 1956 fosse avvenuto mentre Stalin era ancora in vita, con il malcelato tentativo di attaccare la figura storica di Stalin. La compagna Monica ha chiarito che tale avvenimento, pur avendo avuto luogo dopo la morte di Stalin, avvenuta nel 1953, e dopo il colpo di stato kruscioviano al XX Congresso del PCUS del febbraio '56, fu in realtà un atto controrivoluzionario duramente criticato da Mao. La stessa insegnante ha quindi avanzato invece l'antistorica ipotesi che Mao avesse supportato i controrivoluzionari e criticato i sovietici, basandosi sul fatto che proprio nel 1956 la Cina avesse stanziato truppe dell'esercito sul confine con l'Unione Sovietica. In realtà, come confermano i suoi stessi commenti sull'accaduto, Mao non pensò mai di sostenere i controrivoluzionari , né diede a intendere di volerlo fare. La compagna Monica ha quindi chiarito qual era il giudizio di Mao sul XX Congresso del PCUS e sulla restaurazione del capitalismo in Unione sovietica e che quindi il rapporto fra i due paesi, dove ormai regnavano due sistemi economici e sociali completamente diversi, mutò sostanzialmente. Ancor di più quando l'Unione sovietica si trasforma in un paese socialimperialista, come lo definì Mao, cioè socialista a parole e imperialista nei fatti. Uno studente ha quindi chiesto se la Cina di Mao invase il Tibet. Un tema al quale si è immediatamente agganciata una professoressa sfoderando le tesi anticomuniste più abusate, arrivando addirittura a paragonare l'esercito popolare cinese ai marines statunitensi, e la liberazione del Tibet con la guerra imperialista in Iraq. La compagna Martenghi ha chiarito come la liberazione tibetana non sia nemmeno lontanamente paragonabile alle aggressioni imperialiste statunitensi; dopo vari anni di trattative, la sottoscrizione di un accordo in 17 punti fra il governo centrale della Cina e le autorità locali, che fu da queste ultime non rispettato, e dopo varie provocazioni militari da parte del governo tibetano, fino alla controrivoluzione fomentata nel '59, non vi fu altra soluzione che quella militare appoggiata dalla stragrande maggioranza della popolazione, composta per lo più da contadini e allevatori poveri che volevano liberarsi del sistema feudale di servitù. Una controrivoluzione sostenuta e aiutata dall'imperialismo inglese e americano che volevano inglobare il Tibet nel loro sistema coloniale, Chiaramente c'è una differenza abissale tra la politica elaborata da Mao per il Tibet e la feroce dittatura revisionista e fascista dei giorni nostri della cricca di Pechino. Nel contrastare le idee sbagliate sul Tibet la compagna Monica è stata sostenuta da alcuni studenti che hanno rilevato, fra l'altro, come il Tibet corresse davvero il pericolo di diventare una nazione-fantoccio nelle mani degli imperialisti, e come gli imperialisti americani avessero intenzione di stabilire basi missilistiche nel territorio tibetano. La domanda successiva verteva sulla fine del socialismo in Cina: il socialismo era davvero morto assieme a Mao? Mao è morto nel 1976, già due anni dopo la sua morte è iniziata la restaurazione capitalistica in Cina e per opera di quelle stesse forze contro cui Mao aveva combattuto duramente e verso le quali aveva lanciato la Grande Rivoluzione culturale proletaria. Mao sapeva perfettamente, anche sulla base dell'esperienza dell'URSS, che nel socialismo la lotta di classe non è finita, ma deve continuare perché vi sono ancora le classi e le contraddizioni di classe, esiste ancora la borghesia e il pericolo di restaurazione capitalistica. E quindi elabora la teoria della continuazione della rivoluzione nelle condizioni della dittatura del proletariato e la Grande rivoluzione culturale proletaria. La borghesia non era più in possesso dell'apparato statale e dei mezzi di produzione, è vero, ma è vero anche che sopravviveva l'ideologia borghese e la borghesia ancora influenzava e aveva posti di potere nella sovrastruttura dello Stato socialista. Ma dov'era la borghesia, secondo Mao? La borghesia secondo Mao si trovava infiltrata nel Partito comunista e nello Stato socialista! Proprio per questo si doveva "Bombardare il quartier generale", come recita il dazebao che Mao scrisse il 5 agosto '66 in appoggio agli studenti dell'università di Pechino che avevano scritto il primo dazebao della rivoluzione culturale. Essa fu una rivoluzione politica vera e propria, che investiva l'uomo in ciò che ha di più profondo, ossia nella concezione del mondo. Al sentir parlare di Rivoluzione culturale, l'insegnante di cui sopra volle parlare di un'esperienza vissuta dal padre di un'amica. Questi, racconta l'insegnante, era un artista che, rientrato da Hong Kong, scriveva le musiche di opere teatrali; durante la Rivoluzione culturale lui e la sua famiglia furono duramente criticati dalle masse e costretti a fare autocritica; furono dunque spediti nella Cina nel nord per due anni a lavorare in campagna; il musicista, prosegue il racconto, rischiò addirittura la vita per portarsi dietro il suo pianoforte. Fece bene, ha chiesto l'insegnante, il musicista a portarsi dietro il pianoforte? Questo racconto ha provocato la reazione di Emiliano, il quale ha risposto che non era il caso di scandalizzarsi se furono commessi degli errori e degli eccessi durante la rivoluzione; la compagna Monica ha aggiunto che non si può ridurre la questione della rivoluzione culturale al semplice problema di un pianoforte. La Cina di oggi dimostra che Mao aveva ragione. Che la Rivoluzione culturale era necessaria. Il problema è che una Rivoluzione culturale non è bastata, come già Mao aveva avvertito, per sancire la vittoria definitiva del proletariato sulla borghesia. La Rivoluzione culturale cinese, ha proseguito la compagna, ha avuto un'enorme influenza in Cina e a livello mondiale, suscitando e incoraggiando grandi lotte di liberazione nei paesi del Terzo mondo, le grandi rivolte giovanili, operaie e popolari nei paesi capitalistici dell'Occidente a partire dalla Francia e dall'Italia con la Grande Rivolta del Sessantotto. Quando si tenta di sminuire questa rivoluzione, attaccarla per i suoi presunti "eccessi", in realtà l'obiettivo è quello di conservare lo stato esistente delle cose, ossia il dominio incontrastato dell'imperialismo in tutto il mondo, si vuole sradicare l'idea stessa che è giusto combattere per cambiare radicalmente l'Italia e il mondo, che è giusto battersi per il socialismo. Una società socialista che non è un'utopia, ma che è stata concretamente realizzata in Urss di Lenin e Stalin e in Cina di Mao. È per questo che essi sono oggetto di calunnie e feroci attacchi anticomunisti. È stato poi chiesto qual è la funzione dello Stato secondo la concezione marxista-leninista. Il comunismo, ha risposto la compagna in cui non esistono le classi e la lotta di classe e non esiste più la necessità dello Stato; lo Stato socialista ha il compito di lavorare per raggiungere il comunismo, e quindi tendere anche all'eliminazione di se stesso, a differenza dello Stato borghese, la cui funzione è quella di mantenere il predominio della borghesia sul proletariato e quindi di perpetrarsi. L'ultima, ma interessantissima domanda riguardava la violenza: se il comunista tende ad una società pacifica, non è una contraddizione l'uso della violenza? La compagna Monica ha indicato come il comunismo è la società dove non vi saranno più guerre né giuste né ingiuste, non vi sarà più la necessità di usare la violenza, ma la storia ha dimostrato che per rovesciare la borghesia dal potere e conquistare il potere politico da parte del proletariato, per instaurare il socialismo e quindi avanzare verso il comunismo, non vi è altro strumento che l'uso della violenza rivoluzionaria, che è sempre di massa e mai un atto di violenza individuale, di piccolo gruppo o terroristico. Questa domanda ha acceso un interessante dibattito sulla differenza fondamentale tra violenza rivoluzionaria e violenza controrivoluzionaria. C'è una grande differenza tra la violenza della polizia che irrompe nottetempo per manganellare i manifestanti No Tav in Val Susa che protestano per salvaguardare la loro salute e il loro territorio, e la violenza del proletariato e delle masse che vogliono liberarsi dalle catene della società capitalista. La conferenza si è conclusa con un caldo applauso. Concluso il dibattito la compagna si è intrattenuta con alcuni studenti a parlare di Mao e di altri argomenti riguardanti il socialismo e il Partito, oltre che a diffondere i due interessanti opuscoli di Scuderi "Mao e il socialismo" e "Mao, la concezione del mondo e le due culture". 21 dicembre 2005 |