Mosca e Washington studiano il da farsi Massacri interetnici in Kirghizistan La presidente ad interim del Kirghizistan, Roza Otunbayeva, dopo una visita alla città meridionale di Osh devastata dagli scontri interetnici iniziati il 10 giugno, ha riferito che il numero delle vittime potrebbe arrivare a 2 mila morti, migliaia di feriti e circa 400 mila sfollati, dei quali almeno 100 mila profughi fuggiti nel vicino Uzbekistan, per la maggior parte della minoranza etnica uzbeka. Ha comunque sostenuto che "non c'è bisogno di un intervento di peacekeeper internazionali, il governo è in grado di tenere la situazione sotto controllo anche da solo", e ha confermato la data del 27 giugno per il previsto referendum costituzionale. Tutto è oramai sotto controllo, ha sostenuto il governo di Bishkek che ha indicato i sostenitori del deposto presidente Kurmanbek Bakiyev quali responsabili di provocazioni che avrebbero dato il via agli scontri interetnici per far saltare il referendum del 27 giugno da cui dipende la legittimazione del nuovo governo provvisorio, salito al potere dopo le rivolte popolari che il 7 aprile scorso avevano portato alla cacciata di Bakiyev. Un'ipotesi possibile anche se nella parte meridionale del paese già nel 1990, ai primi segni del collasso dell'Urss erano scoppiati scontri violenti fra kirghizi e la minoranza uzbeka, che conta circa 800 mila persone, un quinto della popolazione del paese. Quella che è certa è l'attenzione alle vicende del paese, ricco di uranio e petrolio, da parte degli imperialisti di Mosca e Washington, che hanno entrambe una base militare nel paese e che non sono certo estranee alle recenti vicende politiche di Bishkek. Il corrotto regime di Askar Akaev, insediatosi nel 1990, era stato rovesciato nel marzo 2005 in seguito alla "Rivoluzione dei Tulipani" innescata dalle rivolte popolari organizzate delle forze d'opposizione, finanziate dagli Stati Uniti, nel sud del Paese. L'imperialismo americano già nel 2001 aveva avuto il via libera alla costruzione della grande base militare di Manas, fondamentale snodo logostico per l'intervento in Afghanistan. Subito affiancata dalla grande base militare russa a Kant. Bakiev però non si spostava decisamente nell'orbita filo americana e rinsaldava al contrario i rapporti politici, economici e militari con la Russia di Putin. Nel 2009 prometteva a Mosca di chiudere la base americana di Manas e di aprirne una seconda russa a Osh, in cambio di 2 miliardi di dollari di finanziamenti russi. Lo scorso febbraio una nuova giravolta, rinnovava il contratto di affitto col Pentagono e chiedeva alla Russia di iniziare a pagare l'affitto per la sua base. Dopo la sollevazione popolare che il 7 aprile scorso aveva portato alla cacciata di Bakiev e alla sua sostituzione con la presidente ad interim Otunbayeva, la prima telefonata a Bishkek che riconosceva la legittimità del nuovo governo e offriva sostegno economico arrivava da Mosca. Al Cremlino si sottolineava che "Bakiyev non ha mantenuto la promessa di chiudere la base Usa di Manas. In Kirghizistan ci dovrebbe essere solo una base, russa". Ma la Otunbayeva appena insediatasi si affrettava a garantire la permanenza della base Usa di Manas, prolungando di un anno il contratto di affitto. E passando la patata bollente al nuovo presidente e al nuovo governo che si insedieranno dopo le elezioni del 2011. 23 giugno 2010 |