Il governo vara una manovra da 45,5 miliardi con l'avallo attivo di Napolitano, nuovo Vittorio Emanuele III Per far uscire il capitalismo dalla crisi un massacro sociale senza precedenti Nella Costituzione il pareggio di bilancio e la totale libertà alle imprese. Deroghe al contratto nazionale e all'art. 18. Scure su Tfr e tredicesime degli statali. Tentato golpe sulle pensioni. Donne in pensione a 65 anni. Privatizzazioni e liberalizzazioni nei servizi pubblici. Soppresse le festività del 25 Aprile, 1° Maggio e 2 giugno. Cancellato il sistema di tracciabilità dei rifiuti. Misure di facciata per la "casta". Una stangata di 1.365 euro a famiglia Sollevare la piazza per abbattere il massacratore sociale Il 12 agosto, con il pretesto ufficiale di frenare la nuova ondata di crolli borsistici e di rispondere alle richieste della Banca centrale europea di un intervento urgente sui nostri conti pubblici, il Consiglio dei ministri, in una riunione di solo due ore e all'unanimità, ha approvato una nuova stangata antipopolare da 45,5 miliardi che anticipa di un anno, dal 2014 al 2013, il pareggio di bilancio perseguito dalla micidiale manovra di lacrime e sangue varata dal governo il 30 giugno scorso e approvata a tempo di record il 15 luglio dal parlamento nero, grazie anche alla resa incondizionata dell'"opposizione" sollecitata e ottenuta da Napolitano. Una manovra-bis da 20 miliardi nel 2012 e 25,5 per il 2013, secondo quanto dichiarato da Berlusconi e Tremonti, che anche stavolta non tocca minimamente i patrimoni e le rendite dei ricchi e i privilegi della "casta" dei politicanti borghesi, per scaricare invece i costi della crisi del sistema capitalistico solo sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari. Ma che anzi aggiunge nuove e ancor più odiose misure antipopolari a quella precedente, che costeranno in media, secondo le associazioni dei consumatori, ben 1.365 euro a famiglia, allargando e aggravando il massacro sociale portato avanti sistematicamente dal governo neofascista del neoduce Berlusconi. Le dimensioni della stangata Come non definire infatti massacro sociale misure come l'ulteriore anticipazione di ben 5 anni, rispetto a quanto già stabilito appena un mese prima, cioè dal 2020 al 2015, del progressivo innalzamento dell'età pensionabile a 65 anni per le lavoratrici del settore privato (nel pubblico impiego era già stato imposto l'anno scorso)? Da raggiungere oltretutto nel 2027 anziché nel 2032? O l'odioso e anticostituzionale rinvio di due anni del Tfr (Trattamento di fine rapporto o liquidazione), aggravato dalla cancellazione della tredicesima in caso di non raggiungimento degli obiettivi di riduzione della spesa, a carico dei lavoratori del pubblico impiego, già pesantemente puniti dal blocco degli stipendi e delle assunzioni previsto dalla manovra di giugno? Oppure, ancora, il taglio di ben 10,5 miliardi in due anni di trasferimenti a Regioni ed Enti locali (di cui 6 già nel prossimo anno), che sommati ai circa 15 già tagliati nel 2010, riducono praticamente a zero le risorse disponibili per finanziare i servizi e le spese sociali, per la sanità, la scuola, gli asili nido, i trasporti locali, l'assistenza agli anziani e ai disabili, la manutenzione delle strade e delle altre infrastrutture pubbliche e così via? A questo massacro sociale immediato ed evidente se ne aggiunge uno più insidioso e destinato ad avere conseguenze incalcolabili nel prossimo futuro: si tratta dell'inserimento dell'obbligo del pareggio di bilancio nella Costituzione, che mira a fornire il pretesto legale per tutti i tagli alla spesa pubblica e le stangate future che i governi borghesi riterranno "necessarie"; che si accompagna alla modifica dell'articolo 41 della Carta, per sopprimere ogni vincolo anche solo formale alla completa libertà di impresa, in base al principio ultra liberista che "è consentito tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge". Non a caso Tremonti ha voluto rimarcare che la manovra contiene un "meccanismo efficace di privatizzazione dei servizi locali e una normativa efficace sulle municipalizzate, oltre a norme per la semplificazione e le liberalizzazioni che anticipano la riforma dell'articolo 41 della Costituzione". Il ministro si riferiva evidentemente alle liberalizzazioni e alle privatizzazioni dei servizi pubblici, cioè agli incentivi stabiliti per i Comuni che dismetteranno mettendole sul mercato le aziende municipalizzate di servizi, il che fra l'altro contraddice in pieno la volontà popolare in difesa dei beni comuni espressa con il referendum di giugno contro la privatizzazione dell'acqua. Della stessa logica liberistica e perfino filo mafiosa fa parte anche la cancellazione, in quanto "spesa non indispensabile", del sistema computerizzato di tracciamento dei rifiuti pericolosi, dalla produzione fino allo smaltimento, ormai quasi completato e sul punto di entrare in funzione: un favore oggettivo alle ecomafie, come non ha potuto fare a meno di ammettere lo stesso ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Infame golpe fascista contro i diritti sindacali Altrettanto infame e anticostituzionale è il tentativo del governo di utilizzare la manovra e sfruttare il pretesto della crisi finanziaria e l'ombrello della UE per regolare i conti con la CGIL e dare un colpo demolitore decisivo ai diritti sindacali e politici dei lavoratori, inserendo tra le pieghe del provvedimento quelle misure liberticide e fasciste, come la libertà di licenziamento e la soppressione delle ricorrenze della tradizione proletaria e antifascista, che non era riuscito finora ad imporre per altra via: parliamo dell'articolo 8 del decreto governativo, che trasforma in legge erga omnes, cioè valida per tutti, gli effetti dell'accordo capitolazionista dello scorso 28 giugno sui contratti e la rappresentanza sindacale (firmato arbitrariamente anche dalla segreteria della CGIL), con la possibilità, nei contratti aziendali, di derogare dai contratti nazionali e dalle disposizioni di legge, compreso lo Statuto dei lavoratori. E ciò anche per quanto riguarda in particolare l'articolo 18 sulla giusta causa per i licenziamenti, il cui inserimento nella manovra è stato voluto espressamente dal ministro del Lavoro Sacconi, con il tacito assenso dei collaborazionisti Bonanni e Angeletti; insieme alla norma che estende retroattivamente l'accordo del 28 giugno agli accordi aziendali confermati con referendum dalla maggioranza degli interessati. Un evidente regalo, quest'ultimo, a Marchionne e al suo modello di relazioni industriali mussoliniane, e che lo mette al riparo dalle cause intentate dalla FIOM contro l'imposizione anche ai suoi iscritti degli accordi capestro di Pomigliano e Mirafiori. E parliamo anche dell'accorpamento alla domenica (vale a dire in pratica la soppressione) delle festività non religiose; che poi guarda caso sono proprio quelle che da tempo la destra neofascista e leghista chiedeva di abolire, cioè 1° Maggio (Giornata internazionale dei lavoratori), 25 Aprile (Liberazione dal nazifascismo) e 2 Giugno (festa della Repubblica). "Una vera operazione fascista e antidemocratica che cancella 100 anni di storia del sindacato confederale e del movimento dei lavoratori", l'ha definita giustamente il coordinatore della corrente "La CGIL che vogliamo", Rinaldini, il quale ha anche chiesto al segretario Susanna Camusso che venga sospesa la consultazione (fra l'altro ristretta ai soli iscritti) sull'accordo del 28 giugno rinviandola a dopo lo sciopero del 6 settembre. Misure demagogiche e di facciata contro la "casta" Per quanto riguarda invece i "tagli alla casta" le misure sono più che altro demagogiche e di facciata, come i 5-6 miliardi di tagli ai ministeri (che si ripercuoteranno però anche sulla quantità e qualità dei servizi), il taglio della metà dell'indennità ai parlamentari che hanno un reddito uguale o superiore all'indennità stessa, l'accorpamento dei piccoli comuni sotto i 1.000 abitanti, circa 1.500, e l'abolizione delle province sotto i 300 mila abitanti, circa 38 su 109, con la conseguente soppressione - come si è vantato Berlusconi - di circa 54 mila poltrone. Ma c'è da dire che queste due ultime misure, soprattutto l'eliminazione di tanti piccoli comuni, non saranno prive di ricadute negative anche per la vita delle comunità coinvolte (scuole, trasporti e altri servizi indispensabili). Dal lato delle entrate, scontata la contrarietà assoluta di Berlusconi ad una tassa sui patrimoni, e quella di Tremonti ad un aumento dell'IVA perché vorrebbe tenersela come carta di riserva per ridurre le tasse ai ricchi, il governo si è limitato ad alcune misure di sapore demagogico, come il cosiddetto "contributo di solidarietà" per tre anni sui redditi medio-alti, ossia una tassazione del 5% sui redditi sopra i 90 mila euro annui e del 10% su quelli al di sopra dei 150 mila euro (peraltro rimessa subito in discussione dallo stesso Berlusconi che teme ricadute sui suoi consensi elettorali), l'aumento della tassazione sulle rendite finanziare dal 12,5 al 20% (ma con l'esclusione dei titoli di Stato), l'aumento dei prelievi su giochi e tabacchi; più qualche blanda misura di contrasto all'evasione fiscale, come la tracciabilità dei pagamenti sopra i 2.500 euro (recentemente elevata da 500 a 5.000 euro dallo stesso Berlusconi) e l'aumento delle sanzioni per chi non rilascia scontrini e ricevute fiscali, fino alla chiusura dell'attività. Misure risibili e demagogiche per eludere l'unica che potrebbe colpire veramente e subito gli evasori fiscali: una drastica imposta progressiva sui medi e grandi patrimoni, che però il neoduce vede come il fumo negli occhi perché colpirebbe al cuore i ceti che maggiormente lo sostengono. Il ruolo di Napolitano e l'ipocrisia del neoduce Anche stavolta il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, spalleggiato peraltro dal governatore uscente di Bankitalia, nonché futuro presidente della Banca centrale europea (BCE), Draghi, ha giocato un ruolo fondamentale per il varo in tempi rapidi della manovra, al punto da interrompere le vacanze, mentre la crisi infuriava nei mercati finanziari, per convocare Letta, Tremonti, Bersani e Casini al Quirinale e sollecitare ai primi due un immediato intervento del governo, e ai due leader dell'"opposizione" quel clima di "coesione", in nome dei superiori interessi nazionali, che ormai va invocando ad ogni piè sospinto e che ha richiamato con enfasi anche al meeting di Comunione e liberazione, dove ha ricevuto un'accoglienza trionfale. E non appena ha ricevuto il decreto della manovra del massacro sociale l'ha subito controfirmata, non trovandoci "nessun profilo di incostituzionalità", nonostante ve ne siano invece di evidenti: come quelli che anticipano con legge ordinaria le modifiche agli articoli 41 e 81 della Costituzione, che aboliscono surrettiziamente l'articolo 18 e le festività "laiche", che impongono il blocco del Tfr e delle tredicesime dei dipendenti pubblici ed altri ancora. Quanto al massacratore sociale in capo, Berlusconi, da quel macellaio che è, dopo aver appena affondato i denti nella carne viva dei lavoratori e delle masse popolari, si è messo a piangere le classiche lacrime di coccodrillo, facendo finta di non aver voluto lui la stangata, ma di esservi stato costretto unicamente dai "mercati" e dalla BCE, facendo riferimento ad una lettera, che peraltro si è rifiutato di rendere pubblica, in cui le autorità monetarie europee subordinavano l'acquisto dei nostri titoli di Stato al varo immediato della manovra: "Il nostro cuore gronda sangue perché, come abbiamo sempre detto, mai avremmo voluto mettere le mani nelle tasche degli italiani", si è lamentato ipocritamente il neoduce, "ma andiamo nella direzione indicata dalla BCE che con l'acquisto dei nostri titoli ha frenato la speculazione internazionale contro l'Italia". Il nuovo Mussolini non si riferiva certo all'aumento dell'età pensionabile alle donne, o alle misure punitive ai pubblici dipendenti, e nemmeno all'attacco ai diritti dei lavoratori o ai tagli a regioni e comuni, bensì unicamente alla "tassa di solidarietà" che rischia di alienargli parte del suo elettorato, e che non gli è riuscito di scambiare con l'aumento dell'IVA a causa dell'opposizione di Tremonti, come gli è riuscito invece di bloccare il ventilato aumento dell'Irpef agli autonomi con reddito al di sopra dei 55 mila euro. Perciò ha messo subito in chiaro che la manovra potrà essere emendata in parlamento (quantomeno al Senato, mentre alla Camera ha fatto capire che metterà la fiducia), aprendo anche al "concorso dell'opposizione", ed ha avviato una trattativa con la Lega per accordarsi su qualche altra voce da tagliare, fermo restando la sua avversione viscerale per ogni ipotesi di patrimoniale, per poter abolire o quantomeno ridurre al minimo la "tassa di solidarietà". Se dipendesse solo da lui, come ha dichiarato senza il minimo pudore, al posto di questa tassa privatizzerebbe tutte le grandi aziende pubbliche (Rai, Enel, Eni, Poste, Ferrovie ecc.), venderebbe l'intero patrimonio dello Stato e tutte le 700 municipalizzate, taglierebbe le pensioni di anzianità e porterebbe subito l'età pensionabile a 67 anni, come chiedono infatti a gran voce i cosiddetti "frondisti" ultra liberisti del PDL a cui strizza l'occhio; e per soprammercato ci aggiungerebbe un altro "scudo fiscale", oppure un altro bel "condono tombale", col che prenderebbe i classici due piccioni con una fava: fare cassa e premiare i ricchi, gli evasori e i mafiosi, che poi rappresentano il suo bacino elettorale. In ogni caso, anche se alla fine fosse costretto ad approvare la manovra così com'è col voto di fiducia, potrà sempre attribuirne l'esclusiva paternità a Tremonti, del quale non vede l'ora di sbarazzarsi. Da parte sua la Lega si dice indisponibile a toccare le pensioni di anzianità, che il PDL (ma anche Casini) vorrebbero invece tagliare aumentando sia l'età pensionabile che gli anni di contribuzione, mentre lo stesso PD non è del tutto contrario a parlarne. Invece il partito di Bossi, Calderoli e Maroni è disponibile a tagliare le pensioni di reversibilità e di accompagnamento, cosicché mentre con una mano si erge a difensore delle "pensioni del Nord", con l'altra offre alla mannaia del neoduce quelle delle vedove e degli invalidi, pensando evidentemente che la maggior parte di esse stiano al Sud e quindi non riguardino il suo elettorato. Un autentico tentativo di golpe pensionistico. Alla fine il neoduce e i caporioni della Lega si sarebbero accordati per tagliare invece proprio le pensioni di anzianità, per eliminare del tutto la "tassa di solidarietà" e per attenuare i tagli ai comuni, come richiesto da Maroni che si è fatto interprete delle pressioni di molti sindaci e amministratori del Nord che sostengono la sua corrente. Anche per la presidente di Confindustria, Marcegaglia, "con l'aumento dell'IVA e le pensioni il decreto del governo diventerebbe accettabile". Mentre invece l'articolo 8 del decreto (quello voluto da Sacconi, ndr) non si tocca, perché "è coerente con l'accordo del 28 giugno e dà alle parti la possibilità di gestire una maggiore flessibilità" (intervista a La Repubblica del 28 agosto). Con lo sciopero indetto dalla CGIL e per la lotta di piazza Contro la manovra del governo, anche e soprattutto sotto la pressione della FIOM e della base sindacale, la segreteria della CGIL si è decisa a proclamare uno sciopero generale di 8 ore per il prossimo 6 settembre, ferocemente attaccato da governo, Confindustria e sindacati collaborazionisti, sciopero che invece noi appoggiamo e invitiamo tutti a sostenere. Bisogna anzi parteciparvi in massa anche per alzarne il livello rivendicativo e politico antigovernativo, che la segreteria Camusso cerca di circoscrivere a pura testimonianza se non piegare addirittura a "difesa dello spirito" dell'accordo interconfederale capitolazionista del 28 giugno, che ha spianato invece la strada all'attacco ai contratti nazionali e all'articolo 18 e alla vergognosa ammucchiata di inizio agosto tra governo, padroni, banchieri e sindacalisti collaborazionisti. In questo quadro salutiamo con favore la decisione dei sindacati di base, tra cui Usb, Orsa, Cib-Unicobas, Usi, Sincobas, Snater e Slaicobas, di indire anch'essi lo sciopero di 8 ore nella stessa giornata, ma sulla base di una piattaforma che unisce alla lotta "contro le manovre del governo e le politiche dell'Unione europea che vogliono tutelare le banche e la finanza", anche quella "contro il patto sociale e l'attacco ai diritti dei lavoratori". I lavoratori, le masse popolari e tutti i sinceri democratici e antifascisti, non devono delegare questa cruciale e irrinunciabile battaglia all'"opposizione" parlamentare di cartone, che non solo non chiama alla lotta nelle piazze per affossare il decreto del governo, ma auspica al massimo una schermaglia strettamente parlamentare per "modificarlo" (sempre ammesso che il governo non chiuda subito la partita col voto di fiducia). A parte infatti il democristiano Casini, che vorrebbe addirittura che si tagliassero le pensioni di anzianità e chiede solo "correzioni" che tengano conto dei carichi familiari, anche per il presidenzialista Di Pietro la manovra è fatta di "luci e ombre" (sic) e promette che "faremo la nostra parte in parlamento per correggere le cose che non vanno", mentre per Bersani la manovra del governo sarebbe solo "iniqua e inadeguata". Il segretario del PD liberale non sarebbe poi indisponibile a "discutere" di pensioni, è nettamente favorevole a liberalizzazioni e privatizzazioni, glissa come sempre sulla patrimoniale e nicchia sullo sciopero della CGIL, cedendo alle pressioni delle correnti interne vicine a CISL e UIL, tanto da dirsi preoccupato che con lo sciopero non si rompa lo "spirito unitario dell'accordo del 28 giugno". Nel PD sta anzi circolando un documento di alcuni deputati, appoggiato platealmente anche da Chiamparino, che attacca lo sciopero chiedendo addirittura di rinviarlo a dopo il "confronto parlamentare"! Quel che occorre invece, è sollevare la piazza, per affossare del tutto la micidiale stangata del governo e abbattere il massacratore sociale, Berlusconi. Solo con la lotta di piazza e un nuovo 25 Aprile sarà possibile buttare giù il nuovo Mussolini e stroncare il suo tentativo di far pagare la crisi finanziaria del capitalismo ai lavoratori e alle masse popolari e usarla come una leva per attuare il suo disegno piduista e golpista di controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione. 31 agosto 2011 |