Sulla mattanza alla scuola Diaz G8, De Gennaro depistò le indagini per non essere coinvolto Gianni De Gennaro, capo della polizia durante il G8 di Genova del 2001 e massimo responsabile operativo della catena di comando che ordinò la mattanza alla scuola Diaz in cui furono massacrati nel sonno e poi arrestati 93 manifestanti: "aveva con evidenza l'interesse a non far trapelare un suo diretto coinvolgimento nella vicenda Diaz" e durante le indagini fece di tutto per "alterare l'accertamento dei fatti, delle loro modalità e delle responsabilità politiche e penali dei fatti posti in essere durante quell'operazione". Lo scrivono i giudici della Corte di Appello di Genova nelle motivazioni della sentenza con cui il 17 giugno scorso hanno condannato De Gennaro a un anno e 4 mesi per istigazione alla falsa testimonianza assieme all'ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola (14 mesi). A entrambi è stata applicata la sospensione condizionale della pena e la non menzione mentre è stato disposto il risarcimento danni, in separato giudizio, alle parti civili. Nelle 69 pagine di motivazioni i giudici d'Appello Paolo Gallizia, Maria Rosaria D'Angelo e Raffaele Di Napoli, ricostruiscono i fatti di quella che uno stesso funzionario descrisse come una vera e propria "macelleria messicana" all'interno della Diaz e ribadiscono che l'attuale capo dei servizi segreti italini è stato condannato "per aver determinato il Colucci, quale persona a lui sottoposta gerarchicamente a commettere il reato di falsa testimonianza, in ciò abusando anche della funzione pubblica esercitata e connessa al suo ruolo di direttore generale del dipartimento di pubblica sicurezza". Nelle conclusioni i giudici sottolineano anche "la particolare gravità del fatto anche per il ruolo pubblico ricoperto dall'imputato". Secondo l'accusa De Gennaro convinse l'allora questore di Genova Francesco Colucci a modificare la sua deposizione di teste nel processo per i fatti della Diaz in riferimento al ruolo svolto dal responsabile della comunicazione del Viminale, Roberto Sgalla, inviato alla scuola Diaz per fornire dettagli all'opinione pubblica sulla cosiddetta "perquisizione". In sostanza, contrariamente a quanto dichiarato in commissione parlamentare, Colucci spiegò ai giudici che la presenza a Genova di Sgalla era stata decisa da lui e non, come precedentemente sostenuto, da De Gennaro. Non solo; all'udienza del 3 maggio 2007 Colucci addossò il comando dell'operazione al vicequestore aggiunto Lorenzo Murgolo e non al prefetto Arnaldo La Barbera, inviato da De Gennaro stesso il sabato del G8. Insomma una falsa testimonianza costruita a tavolino e suggerita a Colucci dallo stesso De Gennaro col chiaro obiettivo di non far emergere le sue gravi responsabilità nella vicenda. L'inchiesta sul depistaggio orchestrato da De Gennaro nacque in seguito ad alcune intercettazioni in cui Colucci riferiva a dei colleghi di aver ricevuto i complimenti del "capo" per la sua retromarcia. Da quelle telefonate emerge infatti che "il capo avrebbe ordinato a Colucci di rivedere le precedenti dichiarazioni sulla presenza sul campo del portavoce del capo della Polizia Sgalla per aiutare i colleghi imputati nel processo per l'irruzione nella scuola Diaz". "Bisogna che aggiusti un po' il tiro" è la frase che Colucci riferì all'ex capo della Digos Mortola dopo il colloquio con De Gennaro. Secondo i giudici d'appello, dunque, "la richiesta espressa ed esplicita di ritrattare" conteneva una minaccia: ripercussioni sulla carriera di Colucci "che proprio in quel periodo era in fase di valutazione per la progressione di carriera". De Gennaro, dunque, per il giudice "abusò anche della funzione pubblica esercitata e connessa al suo ruolo di Direttore generale del dipartimento della Pubblica Sicurezza". Questa condanna dovrebbe rappresentare un punto di partenza e non certo un punto di arrivo. Bisogna partire proprio da questa sentenza per andare fino in fondo nelle indagini e spazzare via la pesante cappa di omertà che da quasi dieci anni copre i mandanti politici e istituzionali della mattanza di Genova di stampo mussoliniano a cominciare dal neoduce Berlusconi, dall'allora vice presidente del Consiglio Fini e dall'allora ministro degli Interni Scajola. 19 gennaio 2011 |