Sui media della destra e della "sinistra" borghese Ricostruzioni reticenti, falsificate, opportuniste, demonizzanti e affossatrici del '68 In occasione del 40° anniversario del '68 hanno scritto paginate intere i grandi media borghesi, come "la Repubblica" e "La Stampa", i giornali dei falsi partiti comunisti, come "Liberazione" e "La Rinascita della sinistra", e anche la rivista "Micromega". Persino il fogliaccio fascista il "Secolo d'Italia" vi ha dedicato ampio spazio. Sono stati interpellati diversi ex sessantottini voltagabbana, hanno detto la loro in qualche modo leader della "sinistra" e della destra borghese, come Veltroni e Fini, e il centro studi trotzkista Livio Maitan vi ha tenuto un apposito convegno. Presumibilmente seguiranno altre velenose pagine sul '68. Dalla lettura di questi servizi emergono delle ricostruzioni reticenti e falsificate di quella grande stagione di lotta (che dal '68 durerà fino al '75), non obiettive, non veritiere, opportuniste. Ricostruzioni da un lato demonizzanti e catastrofiste e dall'altro pessimiste e liquidatorie. Mancano i fatti sia internazionali che nazionali che furono causa e detonatore della Grande Rivolta del Sessantotto, la lotta di liberazione del popolo vietnamita contro l'aggressore imperialista Usa, la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria cinese, lo sfruttamento capitalistico nelle fabbriche, l'autoritarismo nelle università, le ingiustizie sociali e la negazione dei diritti più elementari. Contarono anche le lotte dei pacifisti contro la guerra nel Sud-Est asiatico e dei neri per i diritti civili in America del Nord. Non hanno citato le masse che di essa furono protagoniste, studentesche e universitarie all'inizio, poi operaie, femminili e popolari in genere. Hanno negato la grande influenza che ebbe il pensiero di Mao e la diffusione del marxismo-leninismo specie tra i giovani, mentre si preferisce mettere sul piedistallo altri filosofi democratici borghesi ma non rivoluzionari, come Marcuse, Sartre, quando non reazionari come Nietzsche e Evola da parte dei fascisti. Hanno riproposto le tesi dello scrittore Pier Paolo Pasolini che si schierò contro la lotta degli studenti (definiti "figli della borghesia") e a favore della repressione dei poliziotti (indicati come "figli del proletariato"). Hanno ridotto il tutto a una generica protesta giovanile, a una ribellione dei figli ai padri, a una contestazione di tipo libertario, poi degenerata sul terreno nichilista e terroristico. Neppure citando quelle che furono le caratteristiche politiche di fondo del '68: anticapitaliste, antimperialiste, antifasciste e tra i giovani anche antirevisioniste. I soli "protagonisti" del '68 proposti sono coloro che facevano capo a organizzazioni "ultrasinistre", operaiste, spontaneiste, trotzkiste, anarcosindacaliste: dai Quaderni Rossi a Potere operaio, a Lotta continua e altre simili. I quali identificano la loro storia personale e quella del gruppo di cui facevano parte, con il movimento di lotta, il suo sviluppo ed epilogo che, a loro dire fu di sconfitta. Molti di questi che negli anni hanno avuto una brillante carriera borghese nel giornalismo, nella televisione, nella politica parlamentare, nella dirigenza di grandi aziende e di banche si vergognano di quel passato, non sanno che parlarne male, non trovano quasi niente di positivo da segnalare. Un esempio di questo lo si trova nel servizio pubblicato in "Micromega" diretto dal trotzkista Paolo Flores d'Arcais, che parla di "marxismo eretico" rispetto a quello rappresentato dal PCI, basato su Marx, Mao e Marcuse, mentre in realtà si trattava di operaismo, di anarchismo; parla di Asor Rosa e di Tronti che provenienti dalla sinistra socialista daranno vita a Quaderni Rossi e successivamente con Negri a Classe operaia e a Potere Operaio. Dal quale uscirà Autonomia operaia, con alcuni che finiranno tra i "terroristi rossi". Nel suo racconto pubblicato su "Liberazione" del 30 dicembre scorso, Franco Berardi, detto Bifo, disegna il suo percorso politico del '68 (dalla Fgci, a Potere operaio e Autonomia operaia) che lui definisce erroneamente "anarco-maoista". La prima parte della definizione, quella anarchica, risponde al vero, la seconda, quella maoista, no. Mao invitava a ribellarsi contro i reazionari, in modo organizzato, sotto la direzione del Partito comunista marxista-leninista, per prendere il potere politico da parte del proletariato e instaurare il socialismo. Nel convegno del Centro studi Livio Maitan dedicato al '68, tenuto all'inizio di febbraio, hanno preso la parola una serie di "illustri" imbroglioni trotzkisti del '68, Flores d'Arcais, Franco Piperno, Franco Russo e Alain Krivine, ognuno a discettare sul tema. Qui le analisi e le interpretazioni sul "perché il '68 ha perso" sono le più diverse e tuttavia tutte erronee. Flores d'Arcais sostiene che la forza non fu utilizzata per ottenere "riforme di struttura" intese come "case matte" per avanzare progressivamente verso il cambiamento della società. Una strada che assomiglia molto alla "via italiana al socialismo" di Gramsci e Togliatti. Il risultato, alla fine della parabola riformista e parlamentarista è il PD di Veltroni. Per Piperno il '68 va inteso come un movimento che non aveva come obiettivo né le "riforme" né la presa del potere, ma "l'affermazione immediata di sé e della propria autonomia". Insomma il movimento è tutto, le forme organizzative e i fini sono nulla. Per Russo il '68 è stata un'occasione mancata. Perché? Mistero. Lui sa solo dire che ciò è dipeso "dalla nostra incapacità di inventarsi categorie nuove, di riarticolare il problema della rappresentanza, del rapporto tra politica e società". Costui evidentemente considera categorie vecchie e inservibili il marxismo-leninismo e le esperienze di socialismo fatte nell'Urss di Lenin e Stalin e nella Cina di Mao. Nello speciale de "la Repubblica" c'è un intervento di Michele Serra che riduce il '68 (anche lui) ad "un'alluvione libertaria e ribelle" inquinata "dal terrorismo" che invece di sostituire il vecchio ordine gettò "le fondamenta di un caotico individualismo narciso, ingordo di diritti e sordo a qualsiasi dovere". E ospita un'intervista all'anarchico-verde Daniel Cohn-Bendit, uno dei leader del '68 in Francia. Per lui la scelta giusta fu di seguire le teorie della scrittrice ebrea Hannah Arendt, di sostenere la spinta libertaria (riformista) contro le "ideologie totalitarie" che si rifacevano alla rivoluzione cinese e a quella cubana. Penose le dichiarazioni sul '68 del trotzkista e narcisista Ivan della Mea e di Francesco Guccini, considerati tra i più noti cantautori italiani di protesta. Il primo ha scritto un articolo per "La Rinascita" giornale del PdCI, dove butta tutto sull'ironia, l'impegno politico per la rivoluzione, l'eskimo, anche se ricorda la sua esperienza in Potere operaio e in Lotta continua e la delusione che ne seguì. Il secondo ha addirittura rilasciato un'intervista a una rivista fascista (Charta minuta) per dire che il '68 fu solo "un fatto umano", "un fenomeno di costume". Per dire che i suoi miti non furono Marx e Marcuse ma Bob Dylan, Hemingway e l'America. Per dire che il suo ideale era quello libertario, era la "fiaccola dell'anarchia" come scrisse nella sua canzone più famosa "La locomotiva". Egli non è mai stato un vessillo della rivoluzione, ma un tranquillo riformista. Da segnalare la perniciosa operazione messa in campo dai giornali della destra fascista per ripensare e revisionare il '68 in occasione del quarantennale. Un'operazione che appare evidente nello speciale di Charta minuta, un settimanale vicino ad AN, dove sono chiamati ad esprimersi lo storico di destra Franco Cardini, e due comunisti pentiti Giampiero Mughini, Ferdinando Adornato con fandonie del tipo: il vento del '68 non andava per nulla a sinistra; il '68 autentico non si declinava per nulla nelle categorie del marxismo; l'omologazione contestatrice spense la creatività giovanile. Un'operazione sviluppata anche sul "Secolo d'Italia" che riporta un intervento "peloso" di Fini, osannato, udite udite, dal direttore di "Liberazione" Piero Sansonetti, che lo definisce coraggioso. Il leader di AN fa una mezza autocritica. In sostanza dice che la destra sbagliò a demonizzare quel movimento che non andava regalato alla sinistra. Il '68, insiste "non era necessariamente destinato a incanalarsi nella deriva della sovversione rossa". A suo dire, a quel malessere giovanile a quel "magma" si poteva dare un'egemonia di destra, dato che prima di Marcuse, Evola aveva scritto su "Rivolta contro il mondo moderno". Ciò che non dice Fini, a quel tempo era segretario nazionale del Fuan, la federazione universitaria del MSI, è che i fascisti furono accaniti oppositori di quel movimento di lotta, si macchiarono di vigliacche provocazioni e spedizioni squadristiche davanti alle scuole e nelle piazze, si schierarono dalla parte dello Stato e delle istituzioni borghesi, si fecero parte attiva con i servizi segreti della strategia terroristica delle stragi per suscitare il golpe dei militari, e la fascistizzazione del paese, come poi avvenne con l'affossamento della prima repubblica e l'avvento della seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista. È curioso, ma non poi tanto, che nel momento stesso in cui Fini furbescamente strizza l'occhio ai giovani dichiarando giusta la loro "aspirazione all'uguaglianza", Veltroni non si periti, presentando il programma elettorale all'assemblea costituente del PD, di attaccare quella stagione di lotte, da una prospettiva che potrebbe andare bene anche alla Confindustria: "fatemi dire - afferma infatti - a quarant'anni dal '68, che chi allora proponeva il '6 politico' produceva un falso egualitarismo che perpetuava le divisioni sociali e di classe esistenti". Il problema vero è che "il 6 politico" dava un colpo mortale al "talento" e al "merito" tanto cari alla destra e ai padroni e ora rilanciato dal leader liberale e neonazionalista del PD. 20 febbraio 2008 |