Ennesima strage di profughi in Sicilia Sei giovani egiziani muoiono nel tentativo di raggiungere la riva catanese I superstiti vengono identificati con la forza e internati nel Cara di Mineo Dal corrispondente della Cellula "Stalin" della provincia di Catania All'alba dello scorso 10 agosto si è consumata l'ennesima strage di profughi in Sicilia. Sei giovani egiziani di età compresa tra i 17 e i 27 anni sono morti nel tentativo di raggiungere la battigia della Playa di Catania. Il vecchio e piccolo motopeschereccio sul quale un centinaio di migranti di nazionalità egiziana, eritrea e siriana aveva attraversato il Mediterraneo si era arenato a circa 15 metri dalla costa. Pensando di poter raggiungere la spiaggia "a piedi" i sei giovani avevano deciso di tuffarsi ma, prima di poter toccare terra, sono annegati in un canale profondo a poca distanza dalla riva. I primi a dare l'allarme sono stati i gestori dello stabilimento balneare "Lido Verde" che intorno alle 8 di mattina hanno visto decine di persone correre dalla spiaggia verso la strada. Sull'arenile c'erano già due cadaveri, trasportati dalla corrente, gli altri quattro verranno recuperati in seguito dai vigili del fuoco e dalla capitaneria di porto in mare. Gli investigatori e la Procura distrettuale, vista la piccola stazza dell'imbarcazione, non escludono l'ipotesi dell'esistenza di una "nave madre" che avrebbe trainato il piccolo peschereccio in legno lasciandolo poi al largo della Sicilia. I migranti superstiti sono stati soccorsi e portati nei centri di prima accoglienza, tra di loro 5 donne, una delle quali incinta, e 55 minorenni dei quali 17 non accompagnati. Sono in seguito scattate le procedure di riconoscimento e internamento di circa 50 migranti nel Cara di Mineo che nel catanese "ospita" i richiedenti asilo. Si tratta di una struttura tristemente nota per le pessime condizioni igieniche, il sovraffollamento e l'isolamento. All'interno di essa i migranti, letteralmente isolati e ghettizzati, aspettano mesi o anni la libertà di lasciare il Cara e la loro condizione rimane indefinita finché la richiesta di asilo non riceve risposta mentre per molti essa viene respinta. 42 migranti siriani, fuggiti dalla guerra, intenzionati a raggiungere parenti e amici in Germania, Svezia e Norvegia, hanno rifiutato di farsi identificare per contrastare la normativa europea sul diritto d'asilo, ossia il regolamento 343/2003 (c.d. Dublino II). Esso prevede che i richiedenti protezione internazionale possano essere accolti solo nel primo Stato in cui arrivano o il primo Stato in cui vengano effettivamente identificati. Sono stati così portati alla scuola Andrea Doria (nel quartiere di San Cristoforo a Catania) che è servita da struttura detentiva per quattro giorni. Anche in questa occasione la Prefettura ha continuato a non garantire medici, interpreti, psicologi e mediatori culturali che potessero aiutare ed interpretare i bisogni dei migranti. Solo grazie al lavoro svolto dall'Arci e dalle associazioni antirazziste alcuni professionisti sono intervenuti per dare il proprio contributo. Dei 42 migranti rinchiusi nella scuola venti sono riusciti a scappare mentre i rimanenti hanno raccontato di vere e proprie torture subite da parte della polizia che voleva costringerli a sottoporsi a identificazione con foto-segnalazione e rilevazione di impronte digitali. Alcuni bambini siriani hanno parlato di donne alle quali è stato strappato il velo con la forza, di bambini trattenuti dalla polizia al fine di obbligare gli adulti a farsi identificare. Picchiati, inoltre, due migranti che hanno cercato di opporsi, di cui uno con un braccio rotto e l'altro con la gamba fasciata. Una donna siriana denunciava agli attivisti radunati in presidio fuori dalla scuola: "hanno picchiato me e mio figlio e mi hanno costretta a farmi prendere le impronte. Mi hanno tolto il velo con la forza, mi hanno legata e mi hanno sciolto i capelli per prendermi le impronte". Un migrante, riferendosi alla polizia, continuava a ripetere ironicamente "Bashar al-Assad è meglio di loro". Infine, i migranti sono stati tutti identificati dalla polizia scientifica e trasferiti al Cara di Mineo il 14 agosto (proprio nel giorno di lutto cittadino a Catania per la morte dei 6 migranti). Il sindaco piddino del capoluogo etneo, Enzo Bianco, in barba a quanto accaduto, dichiarava che Catania si sarebbe fatta carico "del dramma delle persone che sono sbarcate e le sta accompagnando in un momento di drammatico dolore". A suo dire questo sfaterebbe "il mito di un paese razzista o con nessuna tolleranza nei confronti delle difficoltà degli altri. Il nostro è un paese attento al tema della sicurezza e della legalità, ma anche Catania è attenta ai valori della solidarietà". La verità è che, per l'ennesima volta, l'immigrazione viene affrontata soltanto come un problema di ordine pubblico mentre le reazioni a livello istituzionale su questa ennesima strage rimangono deboli. Con la chiusura totale dell'Italia e dell'Unione europea di fronte al problema di enorme portata che riguarda l'esodo e l'accoglienza dei profughi che, lasciati alla mercé di trafficanti senza scrupoli, attraversano il Mediterraneo in condizioni disumane e, infine, arrivati in Italia, vengono rinchiusi nei lager. 4 settembre 2013 |