Riflettendo sulle modifiche della Camera alla legge sulla violenza sessuale La repressione non risolve la violenza sessuale sulle donne Il 14 luglio la Camera ha approvato il disegno di legge (ddl) sulla violenza sessuale con un voto trasversale, dai partiti della maggioranza a PD, IdV e UDC: 447 sì e 29 no. Nessun astenuto. Il testo passa ora all'esame del Senato. Il ddl, che va a modificare e integrare la legge 66 del 15 febbraio 1996, è tutto incentrato sull'inasprimento delle pene per violenza sessuale. Pene da sei a dodici anni di reclusione (oggi il massimo della pena è fissata a dieci anni), che scendono da due a sei nei casi di "minore gravità". Sanzioni più severe in caso di aggravanti (con pene dai sette ai quindici anni) nel caso in cui la violenza sia stata commessa ai danni di un minore di sedici anni (attualmente la soglia è di 14 anni), di una donna incinta, di una persona in condizioni di inferiorità fisica o mentale o di un disabile. L'aggravante scatta anche nel caso in cui la violenza sessuale venga commessa da un ascendente, da un genitore anche se adottivo o da un tutore o nel caso in cui il delitto avvenga sul luogo di lavoro con abuso di relazione di ufficio o di prestazione d'opera. Sanzioni più pesanti, da sette a sedici anni (la pena massima attuamente è di 12 anni) per violenza di gruppo. Raddoppiano i termini di prescrizione del reato nei casi di violenza sessuale. L'ente locale impegnato direttamente o tramite i servizi per l'assistenza della vittima e il centro antiviolenza, nonché la presidenza del consiglio, si possono costituire parte civile nel processo. Niente sulla protezione e l'aiuto alle vittime della violenza sessuale e sul problema della prevenzione. Fatto salvo un generico quanto aleatorio impegno a promuovere nelle scuole "iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione contro la violenza e discriminazione sessuale". In questo modo viene completamente fatta salva la natura repressiva e oscurantista del codice penale italiano in materia di violenza sessuale che salvaguarda i cardini della morale sessuale e familiare borghese e cattolica. Si inaspriscono le pene, ma si lascia inalterato il principio di "casi di minore gravità" che lascia ampia discrezionalità ai tribunali e facili scorciatoie penali agli stupratori. Non viene prevista la procedurabilità di ufficio, specie per i reati commessi in famiglia, che equivale a lasciare le donne sole a decidere se denunciare o no il proprio stupratore. Non viene riconosciuto il diritto a costituirsi parte civile ad associazioni e organizzazioni femminili che non siano istituzionalizzate. Infine, la legge non viene modificata là dove limita e punisce la sessualità dei minorenni di anni 14, anche quando essa è basata sulla libera volontà e la consensualità. Passa dunque la linea del governo del neoduce Berlusconi, sostenuto anche in questo caso da un'opposizione parlamentare sempre più addomesticata e omologata, secondo cui la violenza sessuale è sostanzialmente una questione di ordine pubblico e di salute mentale e si risolve inasprendo la repressione poliziesca e giudiziaria, la fascistizzazione e la militarizzazione del Paese. Basti pensare che il governo si è coperto proprio dietro i casi di violenza sessuale degli ultimi mesi per riesumare la milizia mussoliniana attraverso le ronde. È invece ormai evidente che la sanzione penale, per quanto dura e severa, non serve come deterrente allo stupro. Perché le radici delle violenze maschili sulle donne stanno nella cultura e nella morale borghesi e nella mancanza di diritti per le donne considerate un oggetto sessuale e completamente subalterne al potere maritale e familiare. Non a caso la violenza sulle donne viene perpetrata soprattutto in famiglia da parte di mariti, padri, fidanzati o ex partner. Essa cioè avviene in quella famiglia borghese e cattolica - fortemente gerarchizzata al suo interno, indissolubile ad ogni costo, dove le donne sono chiamate al ruolo di pazienti e servizievoli angeli del focolare -, che il papa, la Cei e il governo vogliono imporre come modello di famiglia per tutti. E mai come oggi il governo di Berlusconi e della terza repubblica alimenta forte il vento del maschilismo e del familismo borghese e cattolico che sono il brodo di cultura della violenza sulle donne. La battaglia contro la violenza degli uomini sulle donne, contro la "cultura dello stupro", è parte integrante della battaglia contro la cultura e la morale borghesi e cattoliche e il loro modello di famiglia e per difendere i diritti femminili acquisiti e conquistarne dei nuovi. Se le donne non conquistano una reale indipendenza economica, la possibilità di avere una casa, un lavoro, servizi sociali e assistenziali adeguati per se stesse e i propri figli, esse rimangono alla fine vittime dei propri aguzzini, specie in famiglia. E soprattutto, le radici della violenza sessuale non potranno mai essere estirpate se le donne non conquistano una reale eguaglianza economica, sociale, culturale, morale, familiare e maritale con l'uomo, trasformando così interamente il loro ruolo sociale e il rapporto fra i sessi. 29 luglio 2009 |