Trattativa Stato-mafia Monti difende Napolitano, attacca la procura di Palermo e minaccia il bavaglio Il Pm Ingroia attacca il premier. Anm: "né abusi né bavaglio" Sul violento scontro istituzionale in atto fra il Quirinale e la Procura di Palermo in merito alle intercettazioni fra il capo dello Stato Giorgio Napolitano, il suo consulente giuridico, Loris D'Ambrosio, e l'ex ministro degli Interni e ex vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, imputato per falsa testimonianza nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, è intervenuto a gamba tesa anche il premier Mario Monti che in una intervista al settimanale di Comunione e Liberazione "Tempi", diretto da Luigi Amicone, difende a spada tratta Napolitano, si scaglia contro la Procura della Repubblica di Palermo rea di aver intercettato indebitamente il presidente della Repubblica e minaccia di "prendere iniziative adeguate" per tappare definitivamente la bocca ai magistrati. Nella suddetta intervista esclusiva, rilasciata l'8 agosto scorso a Palazzo Chigi e presentata in anteprima al Meeting di Rimini di CL domenica 19 agosto dove è intervenuto lo stesso presidente del Consiglio, Monti definisce "grave" il caso delle telefonate del Capo dello Stato intercettate dalla procura palermitana e aggiunge che "è peraltro evidente a tutti che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi". Pertanto ammonisce "è compito del governo prendere iniziative a riguardo". Il riferimento è al conflitto d'attribuzione sollevato da Napolitano il 16 luglio scorso dinnanzi alla Corte Costituzionale nei confronti della procura della Repubblica di Palermo per l'uso delle intercettazioni telefoniche e in particolare per quelle dove Mancino chiedeva a Napolitano e D'Ambrosio di imporre il coordinamento delle procure che indagano sulla trattativa Stato-mafia col chiaro obiettivo di "insabbiare l'inchiesta" che lo coinvolge direttamente. Non a caso alle telefonate di Mancino sarebbero poi seguiti i contatti tra D'Ambrosio con il procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, e con il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso. E in attesa della Camera di Consiglio della Corte Costituzionale che valuterà il ricorso del Capo dello Stato sotto il profilo dell'ammissibilità fissato per il 19 settembre prossimo, alle minacce di Monti ha risposto per le rime il sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia che in un'intervista a Sky Tg 24 ha affermato: "Il riferimento a noi e all'attività della Procura di Palermo" da parte del premier Mario Monti "lo definirei un po' ingeneroso", anche perchè "abbiamo avuto di recente conforto e sostegno nell'intervento del presidente emerito della Corte costituzionale, profondo conoscitore del diritto e della Costituzione che ci ha dato ragione... Noi - ha concluso Ingroia - abbiamo sempre rispettato la legge e le regole". Affermazioni condivise in pieno anche dall'Associazione nazionale magistrati che in una nota definisce "improprio ogni possibile riferimento a presunti abusi che sarebbero, comunque, oggetto di altre procedure di controllo, secondo gli strumenti previsti dalle normative vigenti... Da parte nostra, della magistratura, non ci sono mai stati sconfinamenti. Semmai ci sono stati da parte della politica" che ai magistrati vuole mettere il bavaglio. Alla canea di "corazzieri" schierati a difesa del Quirinale si è distinto il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari (già iscritto ai Gruppi universitari fascisti come del resto lo stesso Napolitano), il quale nel suo editoriale domenicale del 19 agosto si scaglia contro il presidente emerito della Consulta Gustavo Zagrebelski, reo di aver dato ragione sempre dalle colonne del quotidiano di Largo Fochetti ai Pm di Palermo e di aver osato invitare il Colle a ripensare al conflitto di attribuzione sollevato con la Procura del capoluogo siciliano, sostenendo fra l'altro che le conversazioni di Napolitano non dovevano essere neanche ascoltate e l'intercettazione doveva essere subito interrotta; mentre sulle indagini dei giudici siciliani Scalfari ha affermato che: "Ci sarebbero da esaminare i risultati delle inchieste che da vent'anni si svolgono a Palermo e Caltanissetta e che finora hanno dato assai magri risultati". Insomma una difesa d'ufficio a tutto tondo che ha impressionato perfino l'ex ministro PDL della Cultura Bondi il quale ha paragonato le tesi di Scalfari a quelle di Berlusconi constatando con soddisfazione che: "Le opinioni del Cavaliere sono sostenute anche da una penna potente". 5 settembre 2012 |