Alla camera Alfano, Bersani e Casini incoraggiano il premier ad andare avanti Monti chiede e ottiene "un mandato forte" da far valere al consiglio europeo Il 13 giugno, sotto l'incalzare della speculazione internazionale, che dopo l'iniezione di miliardi europei alle banche spagnole ha ricominciato a prendere di mira l'Italia, il premier Monti, dopo essersi consultato con Napolitano, ha convocato d'urgenza a Palazzo Chigi i tre leader della maggioranza che lo sostiene, Alfano, Bersani e Casini. Scopo del vertice era quello di chiedere ai segretari di PDL, PD e UDC-Terzo polo di ricompattare la maggioranza, dopo le fibrillazioni in parlamento sulla legge "anticorruzione", le tensioni sulle nomine alla Rai, le polemiche sul numero e la sorte degli "esodati" e quant'altro sta ostacolando la navigazione del governo e, soprattutto, ottenere da essi un "mandato forte" da spendere al prossimo vertice europeo del 28 giugno. E da parte loro i tre leader glielo hanno assicurato, almeno a parole, senza riserve. Ancora una volta, insomma, nuove fiammate speculative e il riaccendersi della crisi hanno funzionato come i migliori alleati del tecnocrate liberista borghese Monti, aiutandolo a mettere in riga i rissosi partiti della sua "strana maggioranza" con lo spauracchio del baratro economico che incombe sempre davanti al Paese. E gli argomenti in tal senso non gli mancavano di certo, con lo spread, cioè il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, schizzato nuovamente a 490 punti il giorno precedente il vertice, per poi attestarsi a 475 a fine giornata, e con la Borsa di Milano scesa di un altro 0,7% dopo aver accusato perdite superiori anche al 2%. E mentre la presidente del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde ammetteva che ci sono solo tre mesi di tempo per "salvare l'euro", e la ministra austriaca Maria Fetker si lasciava andare a dichiarazioni, frettolosamente smentite da Monti, secondo cui dopo la Spagna anche l'Italia stava per chiedere l'aiuto dell'Europa. È mettendo questo quadro allarmante sul tavolo che Monti ha posto la sua richiesta di "mandato pieno" ai tre leader, e in particolare, a garanzia di ciò, l'impegno ad accelerare i tempi dell'approvazione dei provvedimenti in parlamento, a cominciare dalla "riforma" del lavoro che deve ancora passare il vaglio della Camera, in modo da presentarsi davanti a Merkel e soci con il provvedimento in tasca: "Devo rappresentare loro la situazione economica del Paese e mi aspetto un segnale di rinnovata coesione politica", ha detto il premier, che ha convenuto con i suoi partner sulla non opportunità di una manovra aggiuntiva, perché "il Paese è già al limite". Aggiungendo però che quello che può esser fatto è "accelerare su tutti i provvedimenti aperti, a partire dalla riforma del mercato del lavoro, anticipando i tempi di approvazione". Accelerare sulla "riforma" del lavoro Il giorno dopo Monti ha ripetuto queste sue richieste alla Camera, sia pure con un tono volutamente dimesso, per non dare l'impressione che tutto fosse stato già deciso nel vertice a quattro e che il parlamento venisse solo chiamato a prenderne nota, ma con la stessa sostanza già fissata nell'incontro di Palazzo Chigi: "Il suggerimento (sic) che io ho dato ai capi dei partiti che sostengono il Governo - ha detto infatti il premier - è quello, se possibile, di un'intensificazione dell'azione, in particolare, per quanto riguarda i tempi. Vi sono decisioni nelle Aule parlamentari o nelle Commissioni; tutto quello che sarà possibile fare, sotto la guida dei rispettivi Presidenti, alla Camera e al Senato, per portare a conclusione il più rapidamente possibile questi provvedimenti, se sono condivisi, gioverà a togliere quell'idea di 'mezza cottura' soltanto, che permette ad osservatori, non sempre, magari, mossi da innata simpatia verso il nostro Paese, di scrivere: sì, c'è la tale riforma, buona o ottima, ma chissà se il Parlamento l'approverà". Si riferiva evidentemente alla "riforma" del lavoro della Marchionne del governo, Elsa Fornero. Della quale, parlando qualche giorno dopo dalla platea di Bologna messagli compiacentemente a disposizione dal quotidiano suo sponsor la Repubblica, ha preso le difese dicendo: "È stata sottoposta a qualche stress, ma quella del lavoro è la sua seconda riforma. E verrà presto rivalutata. La prima, quella previdenziale, viene citata come il modello della riforma delle pensioni". Anche Alfano, Bersani e Casini hanno recitato la loro parte, ripetendo in maniera più elaborata quanto già deciso nel vertice e per confermare in sostanza il loro appoggio a Monti e l'invito ad andare avanti sulla sua strada. Non senza però che il leader del PDL, Alfano, si prendesse la soddisfazione, tra gli applausi polemici dei suoi deputati, di ricordargli maliziosamente "che il tema della velocità non è del parlamento perché, in talune circostanze, e mi riferisco alla riforma del mercato del lavoro, se lei avesse voluto imprimere un ritmo più veloce a quello che era il tema decisivo per il giudizio dei mercati, avrebbe potuto scegliere, a norma della Costituzione, un decreto-legge, e noi lo avremmo sostenuto con un percorso più celere". Invece il leader del PD liberale, Bersani, come al solito si è voluto distinguere come il più decisivo e leale portatore d'acqua al governo del massacratore sociale, esordendo con un plateale quanto servile: "Signor Presidente, cari colleghi, Presidente Monti, lei ha fatto bene a rivendicare le ragioni fondate dell'Italia; garantiamo il pieno sostegno alla sua azione, consapevoli del momento, come è sempre stato in questi mesi; e voglio dire, non a lei, Presidente, ma a qualche facile commentatore fuori di qui, che qui non ci sono palle al piede; qui c'è gente che si sta caricando di una mediazione difficile con il Paese in un passaggio difficile". Quanto al democristiano Casini, ha cercato di battere tutti in fatto di appoggio senza se e senza ma al governo, proponendo addirittura una mozione di fiducia al governo da votare in parlamento in modo da ufficializzare il rinnovo del "mandato forte" a Monti prima del vertice europeo. Le bugie di Monti sulla "non necessità di manovre aggiuntive" Il tecnocrate liberista borghese non ha certo aspettato il 28 giugno per cominciare a spendere questo mandato, visto che il giorno stesso delle sue comunicazioni alla Camera, parlando da Berlino dove si era recato per ritirare un premio, ha annunciato "un grande piano di dismissioni del patrimonio pubblico, immobili e partecipazioni". Cioè una grande svendita di beni pubblici per decine e decine di miliardi. Quanto poi alla "riforma" Fornero, con al centro la soppressione dell'art. 18, che vuole portare come uno scalpo al vertice europeo, il premier si è rivolto agli industriali che la criticano per essere troppo "timida", vaticinando che "le imprese vedranno quanto potente sarà l'impatto di aver ora la libertà di procedere con licenziamenti individuali". Tanto che si è guadagnato il plauso entusiasta del ministro delle Finanze tedesco, Schaeuble, che lo ha incitato ad "andare avanti con le riforme" perché lui è "l'uomo giusto al posto giusto nel momento giusto". Non solo, ma a riprova della falsità della sua dichiarazione che non ci sarà una manovra aggiuntiva, già si parla abbastanza dettagliatamente di un decreto da 4-5 miliardi di tagli alla spesa pubblica, secondo la spending review studiata da Bondi, da varare prima del Consiglio europeo, con al centro altri tagli alla sanità per 1,5 miliardi, la fine della sanità universale legandola al reddito Isee, altri tagli ai trasporti, una nuova stretta al trattamento dei dipendenti pubblici, e così via. 20 giugno 2012 |