I 90 bombardieri F-35 costeranno oltre 10 miliardi Il governo vara il nuovo "modello di difesa" interventista Meno soldati, più armi per la guerra imperialista. In perfetta continuità col governo Berlusconi Stracciato l'articolo 11 della Costituzione Mentre porta avanti senza sosta il suo spietato programma liberista di massacro sociale contro i lavoratori e le masse popolari, alla chetichella e nel silenzio compiacente dei mass-media di regime il governo Monti pensa anche a riarmare e riorganizzare le forze armate italiane secondo un "nuovo modello di difesa" sempre più aggressivo e interventista. Il 6 aprile il Consiglio dei ministri (Cdm) ha varato infatti il disegno di legge delega, presentato dal ministro della Difesa, ammiraglio Di Paola, "per la revisione dello strumento militare nazionale", le cui linee guida erano state delineate dal Consiglio supremo di difesa dell'8 febbraio, presieduto da Napolitano, e approvate dal Consiglio dei ministri del 14 febbraio, nonché dalle commissioni Difesa di Camera e Senato (cfr. Il Bolscevico n. 7 e n. 8 del 2012). Secondo il comunicato ufficiale del Cdm, la "riforma" persegue due obiettivi: il primo è quello dell'"attuazione di strumenti operativi qualitativamente e tecnologicamente progrediti", resi indispensabili dal "rischio di terrorismo internazionale, la minaccia di proliferazione delle armi di distruzione di massa e l'instabilità di alcune aree del Mediterraneo e del Medio oriente". Il secondo è quello della "necessità di contenere i costi, a causa dell'attuale congiuntura economica e finanziaria". Riguardo al primo obiettivo traspare evidente nella sua formulazione l'intento di adeguare rapidamente le forze armate ai mutati scenari geo-politici nello scacchiere mediterraneo e mediorientale, con riferimento in particolare alle rivoluzioni arabe, di cui l'intervento italiano a fianco di Usa e Nato in Libia ha rappresentato un primo banco di prova, ma anche ai possibili nuovi teatri di intervento imperialista, come in Siria e Iran. Riguardo al secondo si lamenta una scarsità di risorse destinate alla difesa, lo 0,84% del PIL, a fronte di una media europea dell'1,61%, e che il 70% di tali risorse sia assorbito dalle spese per il personale, mentre quelle destinate all'operatività e agli investimenti dello strumento militare fanno la parte della Cenerentola essendo limitate rispettivamente al 12% e al 18%. si prospetta quindi un riequilibrio della spesa, portando al 50% quella per il personale e al 25% sia le spese per l'operatività che quella per gli investimenti in nuovi sistemi d'arma tecnologicamente avanzati. In questo quadro si procederà ad una riduzione del personale militare da 183 mila a 150 mila uomini, e di quello civile da 30 a 20 mila unità. Nessuna riduzione delle spese militari Ma va detto subito che non c'è nessuna riduzione della spesa militare, come il governo e i mass-media compiacenti cercano di far credere all'opinione pubblica. Al massimo un diverso impiego degli stessi stanziamenti dell'anno scorso, non escludendo possibili "sforamenti" alla fine del processo di riorganizzazione. Le cifre sulle risorse sono molto sottostimate a bella posta. L'Istituto svedese per il disarmo (Sipri), ci attribuisce l'1,4% del Pil, e l'associazione Sbilanciamoci, nel contestare i "risparmi" vantati dal ministro, chiarisce infatti che nelle cifre del governo non figurano le spese per le missioni internazionali, né le spese per i sistemi d'arma, accollate al ministero dello Sviluppo economico. Questa sottostima serve a giustificare il fatto che il ministero della Difesa è l'unico che non ha subìto tagli alla spesa. Cosicché il fatto di non chiedere aumenti viene presentato già come il contributo dei militari alla politica dei sacrifici sopportata da tutto il resto del Paese. In ogni caso per Di Paola il "riferimento tendenziale" per il bilancio della Difesa dovrebbe essere il 2% del Pil, superiore addirittura alla media europea, e questo la dice lunga su dove vogliono andare a parare i militaristi e guerrafondai nostrani. C'è poi un altro aspetto che viene taciuto: se il personale viene tagliato di 33 mila militari e 10 mila civili, ma i soldi dei loro stipendi sono destinati a nuovi armamenti e alle truppe operative, chi manterrà questi 43 mila nuovi "esodati"? Giacché, come aveva spiegato Di Paola, non saranno certo gettati sul lastrico come accade invece senza troppi complimenti agli operai e agli impiegati civili, ma verranno reinseriti gradualmente in altri settori della pubblica amministrazione, o potranno usufruire di prepensionamenti, aspettative, part-time, e così via. Dunque saranno semplicemente a carico del bilancio di altri ministeri, e questo è un altro trucco contabile per non far figurare aumentato il bilancio della Difesa. Non risulta che la ministra Fornero, presente alla riunione del Cdm, così spietata con i lavoratori "esodati", abbia avuto nulla da eccepire su tutto ciò. Un esercito, quindi, "più snello" ma più offensivo, più capace cioè di assicurare la "proiettabilità" nelle aree considerate di interesse strategico, perché, come aveva già ribadito Di Paola nel precedente Cdm, la difesa dell'Italia "la si garantisce non solo e non tanto alle frontiere, bensì fuori di esse, a distanza, là dove i rischi e le minacce si manifestano e si alimentano". In questo quadro rientra anche il riconfermato acquisto dei cacciabombardieri F-35, arma tipicamente offensiva e d'attacco, non di difesa, capaci di operare a largo raggio e di portare perfino bombe nucleari. L'averne diminuito il numero da 131 a 90 è solo fumo negli occhi, un contentino per l'opinione pubblica giustamente indignata per questa abbuffata di miliardi in nuovi strumenti di guerra (ne costeranno quasi 11), mentre al Paese viene chiesto di tirare la cinghia oltre ogni limite di sopportazione. Nessun ritiro, neanche parziale, dalle missioni di guerra Invece sulle spese militari che servono a proiettare l'imperialismo italiano nel mondo non si lesina affatto, come dimostra anche la visita di Stato di Monti in Libano, quando incontrando le truppe italiane nel sud del paese ha ribadito che l'Italia "manterrà l'impegno in Unifil nonostante il momento difficile". E soprattutto ora che siamo in una "fase delicata segnata dalla crisi siriana e da attività terroristiche". Quindi non solo il governo Monti si muove in perfetta continuità con la linea di politica estera e militare espansionista e interventista del governo Berlusconi, ma addirittura va ancora oltre, visto che il neoduce, sia pure a semplice titolo demagogico ed elettoralistico, quando era scoppiata la crisi la scorsa estate, aveva ventilato un parziale ritiro delle truppe italiane dal Libano "per risparmiare". Mentre invece, parlando da Beirut, Mario Monti ha dichiarato solennemente che "non ci saranno riduzioni, nel prossimo futuro, del numero dei nostri soldati"; con ciò muovendosi in piena sintonia col nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, sempre pronto ad ammonire chiunque osi accennare a un ritiro, anche solo parziale, dalle varie missioni di guerra a cui l'Italia partecipa. Tutto ciò è pienamente coerente con il nuovo modello di esercito interventista che il governo si appresta a realizzare. Un esercito che non ha più nulla a che vedere con i compiti strettamente difensivi assegnatigli dall'articolo 11 della Costituzione del 1948, da tempo e ripetutamente ignorato e violato di fatto e ormai ridotto a carta straccia, per permettere all'imperialismo nostrano di far valere senza più alcuna remora le sue ambizioni espansioniste nel mondo. 26 aprile 2012 |