Monti attacca lo Statuto dei lavoratori Non si è fatta attendere molto la velenosa risposta del governo alla presentazione in Cassazione dei referendum per il ripristino dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori cancellato dalla controriforma Fornero e per l'abrogazione dell'articolo 8 della Finanziaria 2011. È stato lo stesso premier Monti a darla il 13 settembre, ad appena due giorni di distanza dalla presentazione dei referendum, intervenendo in videoconferenza a un convegno dell'Università Roma 3 organizzato dalla Società italiana di scienze politiche presieduta dal costituzionalista di area PD Gianfranco Pasquino: "Certe disposizioni dello Statuto dei lavoratori, ispirate all'intento molto nobile di proteggere la parte più debole ritenuta essere quella del lavoratore, hanno potuto contribuire a determinare insufficiente creazione di posti di lavoro", ha detto infatti con burocratica freddezza il tecnocrate liberista borghese, rivelando con ciò che il governo punta ad abrogare l'intero Statuto dei lavoratori, dopo averlo già gravemente menomato di una sua parte fondamentale. Un attacco, quello di Monti, tanto più odioso in quanto vorrebbe dare ad intendere che l'abolizione della legge 300 del 1970 sarebbe nell'interesse degli stessi lavoratori, perché sgombrerebbe il terreno da un ferrovecchio che è di ostacolo allo sviluppo economico e all'occupazione. Subito prima, per preparare l'attacco, aveva infatti citato come esempio dello "scarto tra l'etica delle intenzioni e quella della responsabilità", il blocco degli affitti che era nato con l'intento di difendere i più deboli ma che "alla fine ha reso più difficile la disponibilità di case". Da notare inoltre la particolare perfidia che questo finanziere e massone internazionale ha messo nella sottolineatura che il lavoratore è la parte "ritenuta" più debole, per insinuare che anche questo concetto è solo un pregiudizio del passato che ha ormai fatto il suo tempo. Del resto è la stessa filosofia ultraliberista da lui già ostentata altre volte in passato come quando, sempre per invocare la libertà di licenziamento nelle imprese, ebbe ad esclamare con un sorrisetto di sufficienza: "ma che noia il posto fisso!". E non a caso si è subito guadagnato il sostegno entusiastico del leader PDL, Alfano, che in un commento su Twitter ha dichiarato: "Monti dice cose giuste sullo Statuto dei lavoratori. Abbiamo le stesse idee". In serata, dopo le polemiche suscitate dal suo intervento, un ipocrita comunicato di Palazzo Chigi faceva sapere che nelle parole del premier "non c'era nessun intento polemico legato all'attualità", e a dimostrazione di ciò citava un testo scritto da Monti nel 1985 da cui sarebbero stati ripresi i concetti espressi nella videoconferenza. Ma questa sua "precisazione" - una tecnica che Monti ha ben appreso dal suo predecessore Berlusconi - era del tutto superflua, dal momento che a parte Di Pietro, uno dei promotori dei referendum, che ha definito "un dolo e una malvagità gravissima" le dichiarazioni del premier, la reazione della "sinistra" borghese, quella che avrebbe dovuto insorgere indignata alla provocazione, è stata del tutto fiacca e inadeguata alla gravità del suo intervento, quando non addirittura di copertura e di complicità. La stessa segretaria della CGIL, Susanna Camusso, anziché rispondere per le rime a Monti e intimare l'altolà al governo, si è limitata a commentare: "Penso che sia la dimostrazione che questo governo non ha idea su cosa fare per lo sviluppo e per la crescita. Pare che il governo abbia esaurito qualunque spinta propulsiva. È la ripetizione di un film che abbiamo già visto". E se per il rinnegato D'Alema la grave provocazione di Monti veniva derubricata ad una semplice "frase palesemente sbagliata", il liberale ex Avanguardia operaia Bersani faceva ancor di peggio: prima tacendo per un giorno intero, e poi decidendosi ad intervenire, parlando alla festa del PSI a Perugia, ma solo per farfugliare: "È da 24 ore che volevo dirlo: è venuta fuori credo casualmente (sic) una discussione sullo Statuto. Tutte le norme fondamentali possono essere aggiustate. Ma quel testo è stato un fatto epocale di civilizzazione e cittadinanza". E per dirsi immediatamente dopo "assolutamente certo che (Monti, ndr) non volesse sollevare un problema". E difatti ha attaccato il referendum per il ripristino dell'art. 18 definendolo "un errore", assicurando invece che Mario Monti è "persona preziosa per il nostro Paese" e che gli vanno riconosciuti "meriti larghi". Una copertura, quella offerta dal leader del PD al premier, tanto più gratuita e vergognosa in quanto il suo attacco allo Statuto dei lavoratori non è per niente casuale, ma risponde ad un ben preciso disegno che era già stato interamente definito e avviato dal governo del neoduce Berlusconi e dal predecessore della Fornero, il neofascista ex craxiano Sacconi, e che il tecnocrate liberista borghese ha fatto subito suo fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi: prima mandando avanti a testa bassa la Marchionne in gonnella Elsa Fornero per aprire una prima breccia con la cancellazione dell'articolo 18, e ora, dopo averla incassata senza colpo ferire grazie alla maggioranza PDL-PD-Terzo polo che lo sostiene, e soprattutto grazie ai vertici collaborazionisti di CISL, UIL e UGL e all'opportunismo arrendevole e imbelle di quello della CGIL, invocando la cancellazione dell'intero Statuto, o comunque il suo svuotamento per farne un puro orpello senza alcun potere di difesa dei diritti fondamentali dei lavoratori. In altre parole, col suo attacco studiato a tavolino contro lo Statuto dei lavoratori, Monti detta la linea a tutto il governo, alla maggioranza che lo sostiene, al parlamento nero, alla stampa compiacente e ai sindacati collaborazionisti per una nuova e ancor più devastante campagna per la soppressione dei residui diritti dei lavoratori e la completa liberalizzazione del "mercato del lavoro", secondo gli esclusivi interessi del grande capitale italiano, della Ue imperialista e della grande finanza internazionale. 26 settembre 2012 |