Napolitano: "avviare una nuova stagione costituente". Ma così si affossa definitivamente la costituzione del '48 Per il presidente della Repubblica "il 25 Aprile non è la festa di una parte sola". Dando ragione a Berlusconi Nel discorso del 25 Aprile mette al centro della Resistenza i militari non i partigiani A sentire i commenti dei giornali della "sinistra" borghese e trotzkista quello pronunciato da Napolitano il 22 aprile a Torino alla prima edizione di "Biennale Democrazia" è stato un discorso tutto improntato alla difesa della Costituzione e della Resistenza e contro le "tentazioni autoritarie" di Berlusconi: "Pericolo regime", titolava l'Unità del 23 anteponendovi, a mo' di scongiuro, l'occhiello "25 Aprile, Napolitano difende la Costituzione". "Napolitano sferza il Premier e difende la Resistenza", gli faceva eco il manifesto, mentre la Repubblica sottolineava "L'altolà di Napolitano" a considerare la Carta un "residuato bellico". Liberazione poi li superava tutti in entusiasmo quirinalizio pubblicando la faccia del capo dello Stato a tutta pagina col titolo "Carta canta", di cui la parola "Carta" in tricolore. Ma le cose stanno davvero così? In realtà, scorrendo il testo integrale della "lectio magistralis" che Napolitano ha pronunciato al convegno organizzato al Teatro regio dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, non ci vuol molto a capire che i suddetti giudizi ottimistici sono del tutto ingiustificati e opportunistici, in quanto tengono conto solo della prima parte del discorso del capo dello Stato, che in apparenza difende la Carta del '48 dalle "tentazioni autoritarie" di chi invoca una maggiore "governabilità", ma ignorano volutamente la seconda, che è tutta rivolta ad esortare le forze politiche ad accordarsi per "riformarla" in senso neofascista, presidenzialista e federalista. Altrimenti non si capirebbe perché il neoduce Berlusconi abbia incassato quel discorso con tutta tranquillità come un discorso (cfr. la Repubblica del 23 aprile, articolo di Claudio Tito) tutto sommato "equilibrato", in quanto "anche il capo dello Stato non nega la necessità delle riforme, né l'esigenza di garantire una maggiore governabilità". Mentre il coordinatore del Pdl, Sandro Bondi, si è affrettato ad emettere un comunicato in cui l'intervento di Napolitano viene definito "saggio" e "corretto". Né si capirebbe del resto, se le cose stessero come le ha presentate la "sinistra" borghese e trotzkista, la perfetta sintonia e il gioco di squadra a cui si è assistito nei giorni successivi tra Berlusconi e l'inquilino del Quirinale, nello svuotare come non era mai avvenuto finora le celebrazioni della Resistenza da ogni contenuto antifascista. Finte difese e attacchi reali alla Costituzione Che cosa ha detto dunque Napolitano al Regio di Torino? Ha detto, è vero, che la Costituzione "non è una specie di residuato bellico, come da qualche parte si vorrebbe talvolta far intendere". Ma poi ha anche sottolineato che "i valori dell'antifascismo e della Resistenza" dalla quale trasse origine "non restarono mai chiusi in una semplice logica di rifiuto e di contrasto", e quindi sono oggi "condivisibili anche da quanti fossero rimasti estranei all'antifascismo e alla Resistenza. Perciò il 25 aprile non è festa di una parte sola". Dando con ciò ragione a Berlusconi e a tutti i fautori della "pacificazione nazionale" e dell'equiparazione tra partigiani e repubblichini. E spianando così la strada al neoduce, già offertagli su un piatto d'argento dal candido Franceschini, per appropriarsi anche della Liberazione e trasformarla in "festa della libertà" (sottinteso dai comunisti e dagli antifascisti). È vero poi che ha detto, alludendo ai sempre più frequenti "strappi" di Berlusconi verso la magistratura, la Corte costituzionale e anche nei suoi stessi confronti, che rispettare la Costituzione significa anche riconoscere il "controllo di costituzionalità" e "l'autorità delle istituzioni di garanzia", e che queste "non dovrebbero mai formare oggetto di attacchi politici e giudiziari sprezzanti". Ma ha anche subito aggiunto che tutto ciò "non ha nulla a che vedere con una visione statica della nostra Carta, con una sua celebrazione fine a se stessa o con l'affermazione della sua intoccabilità". Ed è parimenti vero che ha citato una frase del filosofo liberale Bobbio secondo cui "la denuncia della ingovernabilità tende a suggerire soluzioni autoritarie". Ma poi ha dedicato tutto il resto del suo ragionamento alla legittimità, necessità e improrogabilità di "riformare" la Carta del '48, richiamando ed esaltando anzi i ripetuti tentativi già fatti, tra cui la Bicamerale golpista di D'Alema e la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Casa del fascio durante il 2° governo Berlusconi. Anche se nessuno di quei tentativi di cambiare la seconda parte della Carta relativa all' "ordinamento della Repubblica" andò a buon fine, "le forze politiche presenti in parlamento convergono largamente sulla necessità che quello 'ordinamento' richieda di essere riveduto e adeguato in più punti. Non si può solo denunciare il rischio che esso sia stravolto", ha pontificato a questo proposito Napolitano. Napolitano vuole una "nuova stagione costituente" L'inquilino del Quirinale, insomma, dà un colpo al cerchio e una alla botte, ma solo per sfondare meglio la botte, cioè per rimettere in moto il processo, attualmente bloccato, di una controriforma della Costituzione condivisa dalla destra e dalla "sinistra" del regime neofascista: "Ritengo che sia mia responsabilità - ha proseguito infatti Napolitano - esortare le forze presenti in Parlamento a uno sforzo di realismo e di saggezza per avviare il confronto su essenziali proposte di riforma della seconda parte della Costituzione, sulle quali sia possibile giungere alla più ampia condivisione. Lo spirito dovrebbe essere quello, come si è di recente autorevolmente detto, di una rinnovata "stagione costituente". Non c'è da ripartire da zero; non c'è da arrendersi a resistenze conservatrici né, all'opposto, da tendere a conflittualità rischiose e improduttive ; occorre che da tutte le parti si dia prova di consapevolezza riformatrice e senso della misura". Anche perché, ha ammesso alquanto spudoratamente l'inquilino del Quirinale, ormai vige una Costituzione materiale che è già molto diversa da quella scritta. Per esempio riguardo al federalismo, ai diversi equilibri tra il potere esecutivo e i poteri legislativo e giudiziario (a favore del primo), il "crescente ricorso alla decretazione d'urgenza e all'istituto del voto di fiducia e da ultimo con il rafforzarsi del vincolo tra governo e maggioranza parlamentare, così come il drastico ridursi della frammentazione politica in parlamento". Per tutto ciò, ha concluso, "è del tutto legittimo politicamente... verificare quali concreti elementi di ulteriore rafforzamento dei poteri del governo, e di chi lo presiede (sic), possano introdursi sulla base di motivazioni trasparenti e convincenti". Altro dunque che "altolà" a Berlusconi e alle sue spallate presidenzialista e mussoliniane! Altro che "difesa della Costituzione del 1948"! la verità è che il rinnegato Napolitano ha già messo in conto il suo affossamento anche formale, dopo quello già consumato di fatto durante la prima e la seconda repubblica, e la sua "opposizione" a Berlusconi riguarda solo la sua tentazione di procedere unilateralmente, senza un ampio consenso parlamentare. Tanto il nuovo Mussolini quanto il rinnegato del colle vogliono arrivare al più presto allo stesso obiettivo, e cioè alla Costituzione della terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista. Solo che il primo vuole arrivarci subito e per le spicce, anche a costo di calpestare tutte le regole. Mentre il secondo spinge per un approccio più graduale e condiviso anche dalla "sinistra" borghese, con lui stesso a fare da "garante". Tant'è che il discorso pronunciato da Vittorio Emanuele Napolitano il 25 aprile a Mignano Monte Lungo è convergente a quello pronunciato lo stesso giorno dal nuovo Mussolini a Onna: ha messo al centro della Resistenza i militari e non i partigiani. "Parlo -ha esordito Napolitano- della componente rappresentata dalle prove di dignità, di volontà combattiva e di eroismo dei nostri militari. Se nel passato quest'ultima componente è rimasta in ombra, a ciò si sta già da anni ponendo riparo, valorizzando fatti ed episodi di grande significato. È questo il senso della mia presenza oggi qui e due anni orsono, per il 25 aprile, a Cefalonia". E poi, nell'esaltare ripetutamente "il contributo dei militari al moto della Resistenza" e il loro "straordinario valore -militare, morale e politico- per l'Italia e per il suo futuro", ha chiesto ancora una volta "rispetto e pietà che debbono accomunare tutti", partigiani e repubblichini, fascisti e antifascisti. 29 aprile 2009 |