Napolitano, un borghese da sempre socialdemocratico eletto presidente della repubblica Lavorerà per la riconciliazione tra i partiti della destra e della "sinistra" borghese e tra le classi sociali, per il rilancio del capitalismo italiano in Europa e nel mondo e per il cambiamento a destra della costituzione Giorgio Napolitano, un borghese, da sempre socialdemocratico, diessino e senatore a vita, succede a Carlo Azeglio Ciampi. È l'undicesimo presidente della Repubblica. È stato eletto il 10 maggio al quarto scrutinio, quando ormai era sufficiente la maggioranza semplice, con i soli voti dell'Unione della "sinistra" borghese ai quali si sono aggiunti quelli dei senatori a vita Giulio Andreotti e Levi Montalcini, e del senatore Follini e del deputato Tabacci, entrambi dell'UDC. Su 1.000 presenti, fra deputati, senatori e rappresentanti delle Regioni, i voti a favore di Napolitano sono stati 543 (il quorum era 505), 347 le schede bianche (così come aveva indicato la casa del fascio, esclusa la Lega nord) 10 si sono astenuti, 42 voti sono andati a Umberto Bossi, altri 34 sono andati a nominativi vari, 14 le schede nulle e 10 i voti dispersi. La "sinistra" borghese non è così riuscita ad ottenere i voti della destra nonostante si fosse completamente calata le brache di fronte al nuovo Mussolini, Berlusconi, intessendo con costui una disgustosa trattativa sottobanco per portare il rinnegato D'Alema al Quirinale con il consenso della casa del fascio. Ne è testimone la scandalosa intervista al "Foglio" diretto dall'ex agente della CIA Giuliano Ferrara e di proprietà della famiglia del neoduce in cui il segretario della quercia Piero Fassino, in cambio di voti sottobanco per D'Alema al Colle, offriva addirittura all'ex premier l'impegno del futuro presidente della Repubblica a condurre in porto la controriforma costituzionale, a tenere a bada la magistratura per "evitare ogni possibile cortocircuito tra giustizia e politica", a garantire la "massima intesa possibile" sulle "grandi scelte di politica estera" e persino l'assicurazione di tornare al voto in caso di crisi del governo Prodi. Una sorta di "manifesto presidenzialista" in palese violazione di ogni regola istituzionale e costituzionale democratico-borghese che vorrebbe il presidente della Repubblica garante della Costituzione e non di un programma di governo; in barba alla volontà degli elettori del "centro-sinistra" che si erano illusi di farla finita con Berlusconi e nel pieno disprezzo della campagna referendaria e dello stesso esito referendario qualora risultasse bocciata la controriforma costituzionale della casa del fascio. Ma tutto ciò non è comunque bastato al neoduce Berlusconi e Fassino e l'Unione hanno dovuto ulteriormente genuflettersi e ripiegare su una figura più istituzionale e "bipartisan", gradita anche nelle sfere vaticane, come quella di Napolitano. Non vediamo dunque cosa ci sia da esultare per questa elezione, né per come è maturata ed è stata condotta in porto dalla "sinistra" borghese, né per la biografia del nuovo inquilino del Colle, né tantomeno per i suoi propositi futuri enunciati nel discorso del suo insediamento avvenuto il 15 maggio. Altro che primo "comunista" al Quirinale. Napolitano ha tutte le carte in regola per garantire il regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. La sua storia dimostra che egli è da sempre un socialdemocratico, e quindi anticomunista, un dirigente antioperaio, un europeista e un atlantista della prima ora, un presidenzialista e un federalista convinto, un nazionalista e un interventista. La sua biografia Napolitano è nato a Napoli il 29 giugno 1925 e come molti intellettuali borghesi divenuti poi dirigenti del PCI nel dopoguerra, viene dalle file fasciste. Da giovane infatti ha fatto parte dei GUF, i Gruppi universitari fascisti, collaborando al settimanale dei GUF di Napoli "IX maggio" e, ancora nel '42, partecipando alla Mostra di Venezia e all'annesso convegno degli universitari fascisti. Il padre, avvocato appartenente alla tipica borghesia napoletana del tempo, si era iscritto al Partito nazionale fascista entusiasmato dall'oratoria del duce e dall'impresa di Etiopia. Nel '45 Napolitano si iscrive al PCI e due anni dopo si laurea in legge. Dal '56 è nel Comitato centrale di Botteghe Oscure e nella direzione entra nel '63. Ha diretto le federazioni di Napoli e di Caserta. È il pupillo prediletto dell'ultradestro rinnegato Amendola e diviene lui stesso l'esponente storico della destra "migliorista" del PCI-PDS, colui che più sbracatamente ha lavorato prima per la socialdemocratizzazione e poi per la liquidazione del PCI e per la riunificazione con il PSI. È deputato dal '53 al '63 e dal '68 al '96. Capogruppo del PCI alla Camera dall'81 all'86, presidente della Camera dal '92 al '94. Nel 2005 è stato nominato senatore a vita da Ciampi. Nel periodo dei governi di "solidarietà nazionale" (1976-1979) è portavoce del PCI nei rapporti con il governo Andreotti sui temi dell'economia e del sindacato e continuò a sostenere quell'esperienza anche quando la segreteria del suo partito ne decretò la conclusione. Napolitano, in particolare, è un fervido sostenitore della "sterilizzazione" della scala mobile e più in generale della "politica dei sacrifici" iniziata sin dal '76 lanciando una vera e propria campagna contro gli aumenti salariali a costo di trovarsi in contraddizione con la Fiom e la stessa Cgil. La sua posizione antioperaia e antisindacale è confermata nel 1980 quando sottoscrive le parole del suo alleato Chiaromonte che definì i 35 giorni di lotta alla Fiat come "un rigurgito di estremismo e di massimalismo di marca operaistica". Successivamente, nel 1984, cerca fino all'ultimo un accordo con Craxi sul decreto che taglia la scala mobile e si oppone al referendum abrogativo dell'anno successivo. Nel frattempo, Napolitano dà la sua personale spinta al processo di demolizione della prima Repubblica così come era nei piani di Craxi e della P2. Nel 1983, da capo dei deputati PCI, si impegna per la nascita della Commissione bicamerale per le "riforme" istituzionali presieduta dal liberale Bozzi. Nel '92, da presidente della Camera, con lo stesso scopo promuove la costituzione della Commissione Iotti-De Mita. Guarda con simpatia le attività refendarie di Segni che introducono il sistema elettorale maggioritario, si dichiara favorevole al premierato e, negli anni '90, al federalismo. Già a partire dagli anni '70 svolge una intensa attività di conferenze all'estero in Gran Bretagna e in Germania. È il primo esponente del PCI che riesce a metter piede negli Stati Uniti, per partecipare a conferenze universitarie e ai convegni dell'Aspen Institute, e in Israele. Il suo filoimperialismo emerge già nel 1981 quando propone il "congelamento" dell'installazione dei missili americani a Comiso in attesa di un accordo internazionale, in luogo dell'opposizione alla loro installazione decisa dal suo partito. E ancora, nel 1991, quando si oppone alla richiesta del ritiro unilaterale del contingente italiano dall'Iraq nella prima guerra imperialista del Golfo. Senza contare il suo convinto sostegno alla superpotenza imperialista europea alla cui costruzione dedica il suo impegno fin dal 1989 quando viene eletto europarlamentare e soprattutto dal 1999 al giugno 2004, quando presiede la Commissione per gli Affari costituzionali del parlamento europeo. Dal 1995 è presidente del Consiglio italiano del Movimento europeo. Napolitano è il primo esponente del PCI a divenire ministro degli Interni dal maggio 1996 all'ottobre 1998 col governo Prodi. Un impegno che gli ha fatto guadagnare la definizione di "miglior ministro dell'interno degli ultimi vent'anni" da parte del Sap, il sindacato autonomo di polizia, che ha voluto così salutare la sua elezione a presidente. In effetti, Napolitano cancellò in un batter d'occhio i "timori" iniziali manifestati dalla destra borghese dimostrando fin da subito di essere in perfetta continuità con i suoi predecessori attuando una campagna contro la "microcriminalità", contro "qualsiasi atteggiamento di comprensione e lassismo che ancora affiorava nella sinistra", e promuovendo una legge, la famigerata legge Turco-Napolitano, contro l'immigrazione clandestina che fra l'altro ha introdotto i famigerati CPT, ossia i lager per gli immigrati. Soprattutto la sua permanenza al Viminale non ha prodotto nemmeno uno spiraglio di luce sulla P2, sulla strage di Milano, sul delitto Moro e su tutti i misteri, i delitti e le stragi che hanno insanguinato il nostro Paese negli ultimi 40 anni lasciando tutti i cassetti accuratamente sigillati. Non c'è quindi da stupirsi che Napolitano abbia oggi ricevuto le "vivissime felicitazioni" anche da parte della massoneria di Gustavo Raffi, gran maestro del Grande oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. Il discorso di insediamento L'elezione a presidente della Repubblica e la sua dichiarata volontà di essere il "presidente di tutti", lo ha spinto a spostarsi ancora più a destra. Nel suo discorso di insediamento ha svelato che la sua presidenza sarà nel solco tracciato dal suo predecessore e che lavorerà per rafforzare il regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. Egli infatti si propone innanzitutto l'obiettivo della riconciliazione tra i partiti della destra e della "sinistra" borghese e delle classi sociali insistendo ripetutamente sulla "ricerca di possibili terreni di impegno comune", del "reciproco riconoscimento, rispetto e ascolto", sulla necessità di "costruire basi comuni di memoria e identità condivisa", sulla "coesione sociale" e la "solidarietà". Il che significa in particolare superare completamente la pregiudiziale antifascista e giungere a una conciliazione fra fascisti e antifascisti arrivando, pur riconoscendo il "decisivo apporto" della Resistenza alla nascita della Repubblica italiana, ad attaccarla denunciandone "zone d'ombra, eccessi e aberrazioni" e mettendo sullo stesso piano "tutte le vittime". L'obiettivo di Napolitano è quello di ritrovare un'unità che assicuri "al nostro Paese il ruolo che gli spetta in Europa e nel mondo", ossia il rilancio della competitività e della capacità egemonica del capitalismo italiano nel mondo. Egli si riconosce perfettamente nel patriottismo nazionalistico del suo predecessore a cui ha riconosciuto sopra ogni cosa di aver dato "impulso ad una più forte affermazione dell'identità nazionale italiana ed un rinnovato sentimento patriottico". Un nazionalismo che sfocia nell'interventismo là dove subordina il "ripudio della guerra", contenuto nell'articolo 11 della Costituzione, alla necessità dell'Italia di svolgere pienamente il proprio ruolo a livello internazionale per "garantire la pace", ossia per difendere gli interessi dell'imperialismo italiano e mondiale. "I valori, tra loro inscindibili - ha infatti affermato -, del ripudio della guerra e della corresponsabilità internazionale per assicurare la pace e la giustizia nel mondo si confrontano con nuove, complesse e dure prove". Napolitano ha inoltre confermato che lavorerà per condurre in porto la controriforma costituzionale indipendentemente dall'esito referendario: "La legge di revisione costituzionale - ha detto - approvata dal Parlamento mesi orsono è affidata al giudizio conclusivo del popolo sovrano. Si dovrà, comunque, verificare poi la possibilità di nuove proposte di riforma capaci di raccogliere il necessario largo consenso in Parlamento". È scontato che un "largo consenso" tra i due poli del regime neofascista non potrà che produrre una "riforma" da destra della Costituzione del 1948. Disillusi anche coloro che pensavano che con il "laico" Napolitano si potesse almeno allentare il cordone ombellicale fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, che non a caso ha accolto con favore la sua elezione. "Come rappresentante dell'unità nazionale raccolgo il riferimento ben presente nel messaggio augurale inviatomi dal Pontefice Benedetto XVI, al quale rivolgo il mio deferente ringraziamento e saluto", ha sostenuto Napolitano. "Raccolgo il riferimento ai valori umani e cristiani che sono patrimonio del popolo italiano", prosegue, e di conseguenza esprime la convinzione che "debba laicamente riconoscersi la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso e svilupparsi concretamente la collaborazione, in Italia, tra Stato e Chiesa cattolica in molteplici campi in nome del bene comune". Insomma, anche Napolitano prefigura uno Stato confessionale e invece di stoppare le ingerenze e le pretese d'Oltretevere, le appoggia e le sollecita. A completare la triade mussoliniana "Dio, patria e famiglia", tanto cara anche a Ciampi e a Berlusconi, da Napolitano arriva infine anche il riconoscimento alle famiglie che "rappresentano la più grande ricchezza dell'Italia". Non ci meraviglia che il discorso di Napolitano abbia suscitato l'applauso convinto dei fascisti di AN e dei democristiani dell'UDC. Il neoduce Berlusconi non ha applaudito per opportunità politica, ma è nota la stima e la considerazione che nutre verso Napolitano fin da quando, nel 1994, come presidente del consiglio lo voleva nominare Commissario europeo. Tant'è che lo ha esaltato pubblicamente a conclusione dei colloqui che si sono tenuti al Quirinale il 16 maggio per la formazione del nuovo governo, nella cui occasione Napolitano aveva riconosciuto al neoduce Berlusconi "l'intensità dell'impegno da egli dispiegato in questi cinque anni e che ha permesso la stabilità e la continuità dell'intera legislatura". Non riusciamo invece a comprendere cosa il quotidiano del PRC, "Liberazione", abbia letto di "sinistra" nel discorso di Napolitano individuando solo qualche "concessione" alla destra. In verità, l'unico fatto nuovo dell'elezione di Napolitano è il completo accreditamento degli ex comunisti, per il PMLI revisionisti e riformisti, da parte della classe dominante borghese, che può ora disporre di due cani da guardia alla presidenza della Repubblica e della Camera: il mastino Napolitano e il barboncino da salotto Bertinotti. 17 maggio 2006 |